I sentieri di Cimbricus / Il fascino discreto dell'incertezza

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Martedì 18 Ottobre 2022

 

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“Lo sport, quello professionistico, è diventato lo specchio del mondo di oggi: ipocrita, all’apparente ricerca di una pozza limpida in cui specchiarsi, subdolo, il mercato in cui tutti devono comprare un biglietto, un abbonamento televisivo”.

Giorgio Cimbrico 

Il fascino discreto dell’incertezza, la bruma del dubbio, l’interrogativo su tutto quel che ci hanno raccontato o che abbiamo vissuto: tutto spazzato via e marchiato a fuoco dal VAR, dal TMO, dall’occhio di falco, dalla lente di ingrandimento, dal rallentato così super rallentato da dare un nuovo aspetto a quel che è veramente accaduto, dalla ricostruzione di una stoccata, di una schiacciata, di una palla indirizzata in lungolinea, di una meta, magari cominciando da lontano e cambiando l’esito di quel che è avvenuto dopo. 

E ancora: da arzigogoli che una volta chiamavamo bizantinismi (era un’azione da gol? allora rosso; non lo era? allora giallo. Oppure niente, simulazione, …), dall’eliminazione dell’esame peritale della plastilina (ora ci pensa un congegno e, in caso di nullo, scatta un segnale rosso a tre piazze), da interminabili lunghezze (partite di rugby che durano due ore e sette minuti, un freschissimo Liverpool-Manchester City con fischi finali al 99 e 53, con un dieci per cento abbondante in più della durata naturale: ho preso nota), da un atteggiamento che una volta si sarebbe detto draconiano: nel rugby i cartellini fioccano per una mano che sfiora il collo.

Prevenire, assicurare la salute dei giocatori, è l’ordine del giorno, il refrain. E intanto sono sempre più grossi e veloci e gli impatti sono di conseguenza più duri, più pericolosi. “Sanno cosa rischiano, è una loro scelta”, ha detto un allenatore famoso e ricco di esperienza che non si è fatto irretire da questa atmosfera. 

Lo sport, quello professionistico, è diventato lo specchio del mondo di oggi: ipocrita, all’apparente ricerca di una pozza limpida in cui specchiarsi, subdolo, il mercato in cui tutti devono comprare un biglietto, un abbonamento televisivo o per il pc o via telefonino o per il tablet che pare siano diventati gli strumenti più comodi o usati, alla ricerca del pixel perfetto.

A tutta questa gente, tra una pubblicità e una clip, cosa vuoi dare? Uno spettacolo esemplare, governato da regole auree e pazienza se quelli che guardano di tutto questo se ne fottono, digrignano e della moralità perduta dello sport non glene frega niente perché non ne sanno niente. 

Come in tante città che finirono in macerie, deve regnare un ordine ed è quello imposto in uno sport molto ricco, molto asettico, dai protagonisti sempre più chiusi se stessi che – l’avrete notato – specie i calciatori comunicano ormai solo mettendosi la mano davanti alla bocca. Per i lettori del labiale – come in certi film o racconti di spionaggio – la vita è diventata dura. Per accendere la miccia si può sempre sperare in qualche tweet. E’ il nuovo modo per diventare loquaci. 

E così noi – non è un plurale maiestatis, figurarsi – ce ne stiamo qui, come certi personaggi di Beckett, vicini a un albero rinsecchito, a ripeterci vecchie storie che hanno senso solo per noi: la meta non meta di Bobbie Deans, il gol non gol di Geoff Hurst, la mano de Dios di Diego Armando Maradona, il primo 10 netti di Armin Hary, certe stoccate che scatenarono l’inferno in pedana, i salti che vennero spietatamente dati nulli a Joao de Oliveira, il pugno fantasma di Alì, la meravigliosa meta, vicina ormai al 50° anniversario (sarà il 27 gennaio) di Gareth Edwards: due volte la palla andò in avanti e l’arbitro televisivo avrebbe suggerito a quello di campo di far oscillare le braccia in un gesto di diniego e dire “no try”. La galleria dei capolavori sarebbe vuota. 

Ecco, non vorrei che tutto questo finisse in un’operazione nostalgia. E’ solo una parte importante di quel che abbiamo avuto la fortuna di vivere, è stato ed è l’argomento di interminabili amarcord, è la struttura di pezzi che abbiamo spesso tentato, invano, di trasformare in racconti. C’è sempre qualcuno pronto a dire: ma sai, oggi è così. Eh già.