Duribanchi / Verso il nuovo Governo, tra rivolte e mugugni

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Martedì 18 Ottobre 2022

 

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“Nessuno sa se veramente Mario Draghi consigli Giorgia Meloni. Ma se Giorgetti dovesse finire al MISE (non in quota Lega, tra l'altro) appare verosimile che la cosa sia accaduta. Nel frattempo, Berlusconi è andato a Canossa.”

Andrea Bosco

Hanno proclamato i presidenti delle Camere. Non ancora il governo. Al Senato – dopo il “giallo” risolto come sempre all'italiana – è andato Ignazio la Russa: senatore di lungo corso con qualche conosciuta nostalgia per il Ventennio. Alla Camera Lorenzo Fontana, leghista, uomo di Matteo Salvini, cattolico integralista, ammiratore di Putin. Tre lauree, una quarta in arrivo ma anche poca dimestichezza con la grammatica: per due volte su un questionario del Parlamento, interrogato sulle sue antecedenti attività aveva scritto qualche anno fa “inpiegato”.

Neppure si è difeso: “Non lui – ha spiegato un collega di partito – ma un suo anonimo collaboratore”. Un portaborse di deputato a compilare per conto terzi le scartoffie. Contestati ed offesi dalla sinistra, minacciati da antagonisti e neo-brigatisti sono stati, comunque, indicati ed eletti: sono la seconda e terza carica dello Stato. Anche se non ci piacciono converrà rispettarli. Sperando facciano bene il proprio lavoro. Sperando non incappino in assortite gaffes.

Dopo lungo sciabolar di lame, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si sono incontrati: a casa di Giorgia. Rospo che il Cavaliere ha dovuto ingoiare, gratificato (dopo averla definita in un “pizzino” deliberatamente lasciato in vista sui banchi del Senato “supponente, prepotente, arrogante, offensiva, ridicola, termine quest'ultimo edulcorato da un tardivo tratto di penna) dalla pulzella della Garbatella con un lapidario: “manca una componente: non sono ricattabile”. Il Cavaliere aveva rivendicato un ruolo ministeriale per la sua protetta Licia Ronzulli, aveva chiesto il ministero della Giustizia, e un suo uomo alle Comunicazioni. Aveva chiesto un numero di ministeri pari a quelli concessi alla Lega. E che gli fosse riconosciuto quel ruolo di “garante” presso l'Europa quotidianamente rivendicato dai media berlusconiani.

La rivolta dei berluscones al Senato, in occasione dell'elezione di La Russa (poi eletto con i voti determinanti dei franchi tiratori dell'opposizione) aveva determinato la frattura. Politica ma soprattutto umana. Il vecchio Barone che improvvisamente scopre che le lezioni del suo terzo assistente sono più apprezzate e frequentate della sue. Tante volte aveva rassicurato il suo inquieto popolo con quel fraseggio brianzolo “ghe pensi mi”. L'ego è sempre stato la cifra dominante del suo comportamento. Si racconta che informato delle attività “amatorie” di Fidel Castro accreditato di oltre 35.000 “conquiste” avrebbe chiosato: “Posso fare di meglio”.

CANOSSA – Il “Forza Ronzulli”, comunque, deve essere risultato indigesto a Meloni. Percepita probabilmente come un possibile cavallo di Troia, simile ai Casini, Follini, Fini che proprio a Berlusconi (negli anni del fulgore) avevano reso la vita difficilissima. Nessuno sa se veramente Mario Draghi consigli Giorgia Meloni. Ma se Giorgetti dovesse finire al MISE (non in quota Lega, tra l'altro) appare verosimile che la cosa sia accaduta. Come finirà non è dato sapere. Berlusconi è andato a Canossa. Quanto si sia “inginocchiato”, lo sapremo dal “pondus” dei ministeri riservati a Forza Italia.

Ad Arcore era stato convocato in fretta e furia Gianni Letta, il Mazarino dell'arcipelago berlusconiano. Era arrivato Fedele Confalonieri, fraterno amico del Cavaliere oltre che suo storico uomo azienda. I figli PierSilvio e Marina, con pragmatismo glielo avrebbero spiegato: “Devi riconciliarti con Giorgia. Come capo del governo, potrebbe modificare la legge sul conflitto di interessi”. Tradotto: via libera a nuovi soggetti televisivi. E soprattutto: una riforma dei criteri su cui è basata la raccolta pubblicitaria. Berlusconi alla fine si è arreso. Le sue (intatte, nonostante i guai fisici, raccontano) ambizioni politiche si sono piegate alla necessità di difendere l'azienda. Del resto, nessuno potrà imputare, eventualmente a Meloni, di non riformare quella legge. Non l'ha mai fatto la sinistra. Nessuno ha interesse a farlo. Perché, in Italia, gli oligopoli sono numerosi.

Le Idi di ottobre del centrodestra hanno fatto passare in secondo piano lo sfascio presente a sinistra. Personalmente trovo sarebbe stata cosa saggia da parte di Meloni offrire alla minoranza una carica, magari la presidenza della Camera. Un gentleman agrement che svelenisse i rapporti. Risulta che Meloni fosse propensa a farlo. Ma che l'appetito degli alleati di governo non l'abbia consentito. Per spiegare Ignazio La Russa al Senato, vale la pena di ricordare che in Italia le leggi si approvano in Senato. “Passano” o si “bloccano” in Senato. La Camera ha quasi una funzione notarile. Per questo Meloni ha voluto su quella prestigiosa poltrona un fedelissimo, esperto di agguati e di trappole parlamentari.

Pare che per il 25 ottobre il governo verrà, da Sergio Mattarella, licenziato. Mattarella: che sui ministeri ha la possibilità di “rifiutare” le candidature non ritenute spendibili. Come ben sanno Conte e Salvini che si videro cancellare quella dell'economista euroscettico, Savona. Sul tavolo ci saranno i temi del lavoro, del caro energia, della povertà montante, della guerra in Ucraina, dei flussi migratori, della sanità, della sicurezza e probabilmente della mala giustizia. Lo stesso Mattarella aveva indicato come “urgente” una riforma della screditata magistratura. Forse Mattarella chiederà garanzie per una riforma elettorale. Sarebbe auspicabile. Considerato che quasi il 40% degli italiani non ha votato.

FASCISMO – Non parlerò di sport, questa settimana. Parlerò di fascismo. E non solo perché in rapida successione sono state scandite le date delle ricorrenze della Marcia su Roma e quella infame della deportazione attuata dai nazifascisti degli ebrei del Ghetto di Roma, verso i campi di sterminio in Polonia. Ne parlo perché ho ascoltato e letto, in queste settimane, talmente tante cavolate (anche da illustri colleghi) da cercare – pur da modesto laureato in Storia – di fare un minimo di chiarezza.

Quando nasce il fascismo? Secondo lo storico sovietico Sandomirskij le prime manifestazioni del fascismo (il suo saggio è del 1923) si sarebbero avute prima del 1914-15. Per lui la culla del fascismo sarebbe stata la Francia: quei romanzi “sociali” di inizio secolo nei quali erano presenti con gli attacchi al governo debole anche un culto della personalità dalle sfumature nietzschiane. Non ultima la propaganda alla guerra civile della borghesia contro gli operai, accanto alle idee di cesarismo.

E' innegabile che Mussolini abbia tratto in Italia ispirazione da questo tipo di introspezioni. Il legame tra fascismo e società di massa si rivelò molto stretto. Già nel 1925 Ortega y Gassett lo spiegava nel saggio “Sobre el fascismo”. Dove si sviluppò più rapidamente il fascismo e perché? Renzo De Felice nel suo “Interpretazioni del fascismo” ipotizza si sia sviluppato nei paesi dove era rapido e intenso il processo di mobilità sociale. Dove predominante si presentava una economia agricolo-latifondista. Dove stante la crisi economica che la guerra aveva aggravato, dilaganti erano inflazione, disoccupazione e carovita. Dove era (elemento sottovalutato) in atto un processo di crisi e di trasformazione dei valori morali tradizionali. Dove la senilità del Parlamento (socialisti, comunisti ma anche buona parte di settori legati alla borghesia) “metteva a rischio la legittimità del sistema, accreditando l'idea di una mancanza di valide alternative di governo”. Infine – cito testualmente – “la guerra che non aveva risolto né i problemi legati all'irredentismo, né quelli coloniali. Tensioni che sfociavano nel nazionalismo e nel sorgere di tendenze revisionistiche rispetto all'assetto europeo stabilito con i trattati di Versailles, del Trianon, di Saint Germain”. E mi permetto di aggiungere: non solo.

Spiegano Krech e Crutchfield nel saggio “Theorie et problemes de psycoloogie sociale” che il fascismo si affermò attraverso una concezione della politica e della vita di tipo mistico, fondata sul primato dell'attivismo irrazionale, sul disprezzo dell'individuo ordinario, al quale era contrapposta l'esaltazione della collettività nazionale e delle persone ipotizzate straordinarie quali elites e superuomini, dalle quali discendeva il mito – centrale nel fascismo – del “capo”.

Come fu poi possibile la presa del Potere, la follia della guerra, l'oscenità delle leggi razziali, il sostanziale consenso di un paese ipnotizzato da un Duce, grottesco e megalomane? Mi affido, anche se la spiegazione è certamente parziale, allo storico anglosassone H.L. Matthews che ne “I frutti del fascismo” pubblicato in Italia nel 1946 osserva: “A molti fra noi, anche nei nostri paesi democratici, è capitato qualche volta di dire che quello che ci occorreva era un altro Mussolini. Erano i giorni in cui i turisti e gli osservatori di ritorno dall'Italia, osavano far rilevare che i treni giungevano in orario, che gli scioperi erano cessati e che gli italiani avevano smesso di incendiare edifici o di rompersi la testa combattendo nelle strade. Chi è ora incline a ridere di queste ingenue persone, farebbe bene a pensare a quei più recenti anni di appeasement in cui l'Asse aveva indotto tanti milioni di persone, in tanti paesi, a credere che il futuro del mondo gli appartenesse. Che i poveri vecchi, democrazia e liberalismo, stessero morendo, e di aver inaugurato un nuovo, giovane e vigoroso, modo di vivere”.

Matthews fu pubblicato da Laterza. Lo scovai per caso su una bancarella nei pressi dell'Università di Padova. Non faceva parte dei testi prescritti per il mio esame di Storia Moderna.