Pensieri in Barca / Per un soffio, per un punto, per un pelo

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Sabato 15 Ottobre 2022

 

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Verdetti feroci, sentenze a volte inaccettate. Lo sport vive di risultati sfiorati, sognati, perduti, rimpianti. Il bello dello sport è proprio questo: un soffio di vento, l’inciampo di un filo d’erba, un battito di ciglia possono rovesciare ogni trama.

Gianluca Barca

Quante competizioni sportive sono state decise da margini talmente irrisori da rendere assolutamente credibile il famoso paradosso di GPO –, al secolo Giampaolo Ormezzano –, che nel 1978 scrisse un epinicio dell’Olanda campione del mondo, solo per concludere che, no, quella finale di Buenos Aires non era finita con la vittoria 2-1 degli Orange: il tiro di Rensenbrink al novantesimo minuto era finito sul palo alla destra di Fillol, invece che dentro la porta degli albiceleste sudamericani.

E quindi niente elogio del calcio totale che così brillantemente aveva tenuto banco per tutti gli anni Settanta. Molto meglio il pragmatismo argentino, la durezza in difesa di Passarella, l’istinto del goleador di Kempes, contrapposto agli sprechi delle cicale d’Olanda.

Il bello dello sport è proprio questo, un soffio di vento, l’inciampo di un filo d’erba, un battito di ciglia rovesciano la trama.

E allora proviamo a ripercorrerla a salti e balzelloni la storia di alcuni tra quegli episodi nei quali Nike si è votata all’uno o altro contendente in modo così repentino da lasciare sorpreso il vincitore e lo sconfitto a bocca aperta, deluso a recriminare.

Nuoto '72: 400 misti, Larsson vs Mc Kee

A Monaco, nel 1972, lo svedese Gunnar Larsson vinse la medaglia d’oro battendo l’americano Tim McKee per due millesimi di secondo: 4’31”981, contro 4’31”983. Il fatto suscitò scalpore, non tanto per la vittoria di Larsson, considerato uno dei più grandi sportivi svedesi di tutti i tempi (in quei Giochi si aggiudicò anche la medaglia d’oro dei 200 misti, pure davanti a McKee), ma per il fatto che a McKee fosse stato negato un successo che solo nove giorni prima gli sarebbe spettato pari merito.

Il 21 agosto, alla viglia delle Olimpiadi, la FINA aveva infatti deliberato di prendere in considerazioni distacchi fino al millesimo di secondo, mentre i tempi ufficiali continuavano ad essere licenziati nell’ordine dei centesimi. Accadde così che entrambi i contendenti vennero accreditati del record olimpico, 4’31”98, mentre solo Larsson si vide assegnata la medaglia d’oro, grazie a un vantaggio che, l’anno successivo, alla vigilia dei Mondiali di Belgrado, venne giudicato inammissibile. Di millesimi, dal 1973 in poi, nel nuoto non si sarebbe più parlato. E infatti a Pechino, nel 2008, Michael Phelps si aggiudicò i 100 farfalla su Milorad Cavic per un solo centesimo di secondo. Ma quella è una storia di cui parliamo a parte.

Atletica leggera: giavellotto, Wolfermann vs Lusis

Ancora a Monaco. Janis Lusis era il favorito, Klaus Wolfermann l’idolo di casa. Al primo lancio il lettone (“il giavellotto è roba dei baltici” diceva) arrivò vicino agli 89 metri, poi al terzo tentativo allungò fino a 89.54. Wolfermann gli si avvicinò al quarto con 88.40 e al quinto sollevò il boato della folla scagliando il giavellotto a 90.48. Quando Lusis si preparò per l’ultimo tentativo tutto lo stadio trattenne il fiato mentre il suo giavellotto volava, volava, … Poi l’annuncio: 90.46. Per il tedesco significava la vittoria con il margine più piccolo della storia in una gara di giavellotto.

Lusis che da bambino era stato costretto ad assistere all’esecuzione del padre da parte dei soldati nazisti, non mise mai in dubbio la buona fede dei giudici. Divenne buon amico di Wolfermann finendo anche per trascorrere con lui le vacanze in Baviera.

Finale olimpica di basket: URSS vs USA

La finale di basket maschile tra USA e URSS fu una delle sfide sportive più controverse della storia. Gli USA erano reduci da 62 vittorie consecutive e non avevano mai subito una sconfitta ai Giochi. A un secondo dalla fine, con gli Stati Uniti in vantaggio 50-49, gli arbitri chiamarono una pausa, per sintonizzare i cronometri. Il coach dei sovietici, Vladimir Kondashkin, intervenne allora per dire che dopo il primo tiro libero con cui gli americani si erano portati in parità, aveva immediatamente chiesto un time-out. Ne nacque una questione se mancavano alla sirena tre secondi o uno solo.

Alla fine, fu il segretario generale della FIBA, l’inglese Jones, a dirimere d’autorità la questione stabilendo che c’erano ancora tre secondi da giocare. Alla ripresa, Ivan Yadeshko lanciò lungo su Aleksandr Belov che centrò il canestro e diede all’URSS la storica vittoria, 51-50. Gli USA fecero un reclamo ufficiale. Jones nominò l’ungherese Hepp capo della commissione giudicante e questa votò a maggioranza dando ragione ai sovietici. Con Hepp votarono per assegnare la vittoria all’URSS il giudice polacco e quello cubano. Italia e Portorico dissero che il canestro di Belov era da annullare. Gli americani si rifiutarono di ritirare la medaglia d’argento.

Sci alpino: discesa libera, Klammer vs Thoeni

Nel 1975 Gustavo Thoeni arrivò a Kitzbuhel con un obiettivo preciso: vincere la combinata dell’Hahnenkamm per portare a casa il maggior numero possibile di punti per la classifica generale di Coppa del Mondo, che l’anno prima era stata conquistata da Piero Gros proprio sul compagno di squadra di Trafoi. Thoeni, prima di allora, in discesa libera non si era mai piazzato meglio del sesto posto (a Val d’Isére a dicembre del 1974), mentre sulla Stref, tre anni prima, si era classificato settimo, in una gara vinta da Karl Schranz, davanti a Henry Duvillard e Bernhard Russi.

Franz Klammer, invece, a gennaio del 1975, si presentava a Kitzbuhel forte di quattro vittorie consecutive in discesa libera: a Val D’Isére, St. Moritz, Garmisch e Wengen. L’austriaco con il numero 1 scese per primo e fece subito registrare il record ella pista, 2.03.22, sette centesimo più basso di quello stabilito dallo svizzero Roland Collombin l’anno prima.

Quando Gustavo si presentò al cancelletto di partenza, con il numero 22, gli austriaci festeggiavano il primo posto di Kaiser Franz e il secondo di Werner Grissman. Ma i festeggiamenti si tramutarono in agitazione quando Thoeni si affacciò all’Hausberg Kante con un distacco di soli 37 centesimi da Klammer e precipitarono nell’ansia più totale quando, dopo aver affrontato con una linea perfetta la diagonale che immette sullo Zeil Schuss, il muro finale, Thoeni fece registrare una velocità di 127 Kmh, più alta di quella dell’avversario.

A quel punto fu chiaro a tutti che la gara si sarebbe decisa al fotofinish e quando l’azzurro tagliò il traguardo con un solo centesimo di distacco da Klammer il clamore fu totale. “Magari, se avessi vinto sarebbe stato un altro successo fra i tanti – dirà Gustavo, anni dopo, con la filosofia che l’ha sempre contraddistinto –. Invece così è un risultato che ha fatto epoca e scalpore”.

Alla fine il distacco esatto fu calcolato in 3/1000 di secondo, poco meno di otto centimetri, dopo una gara di 3.510 metri.

Tour 1989: 8” tra Greg Lemond e Laurent Fignon

Non è un capello, ma un crine di cavallo, … recitava la canzone resa popolare da Edoardo Vianello. E invece pare proprio che furono i capelli, o meglio, la coda di cavallo a costare a Laurent Fignon il Tour de France del 1989. Fignon si presentò alla partenza dell’ultima tappa in maglia gialla, con un vantaggio di 50” sull’americano Greg Lemond.

A decidere il Tour sarebbero stati pertanto i 24,5 chilometri della cronometro finale, nella quale l’americano utilizzò un innovativo manubrio da triathlon che prometteva un vantaggio aerodinamico. A questo aggiunse un caschetto rigido dal profilo particolare. Fignon viceversa si fidò di un tradizionale manubrio ricurvo e affrontò la gara a capo scoperto, con la chioma al vento.

Nel percorso tra Versailles e Parigi, Lemond guadagnò sull’avversario 58”, abbastanza per salire in testa alla classifica generale e aggiudicarsi il Tour con il più risicato margine della storia, 8”.

Nei mesi successivi, ricerche di laboratorio e prove nella galleria del vento dimostrarono che il manubrio utilizzato da Lemond gli aveva regalato un vantaggio di circa un minuto su Fignon. Non contenti, alcuni ingegneri calcolarono anche la resistenza aerodinamica creata dal codino sciolto del francese nel confronto con il caschetto dell’americano. Il verdetto fu brutale: 16 secondi.

Il che significa che a Fignon sarebbe bastato un copricapo diverso per conquistare il suo terzo Tour de France, a cinque anni di distanza dall’ultimo successo a Parigi. A pochi giorni dal ventinovesimo compleanno, quello fu l’ultimo acuto della carriera del corridore soprannominato “professeur” per la montatura dei suoi occhiali rotondi. La delusione di quella sconfitta fu cocente e dopo quel giorno, a parte l’undicesima tappa del Tour del 1992, Strasburgo-Mulhouse di gare importanti Fignon non ne vinse più alcuna.

Mondiali di atletica 1993: Devers vs Ottey

Ci vollero 10 secondi e 81/100 a Gail Davers, nel 1993 ai Mondiali di Stoccarda, per vincere la medaglia d’oro nei 100 metri e un’ora e 45 minuti alla Giuria d’appello della IAAF per decidere chi aveva vinto davvero tra lei e Marlene Ottey. La Ottey, 33 anni, aveva preso parte a quattro Olimpiadi e altrettanti Mondiali senza mai riuscire a vincere una gara individuale. Quel giorno si illuse di aver interrotto il sortilegio negativo. Da quello che si vedeva sul grande schermo luminoso all’interno dello stadio, infatti, sembrava proprio che il suo busto fosse davanti a quello della Devers.

E quando lo speaker annunciò il risultato definitivo che assegnava all’americana la medaglia d’oro, la giamaicana non accettò il verdetto protestando che “tutti sapevano che era lei ad essere arrivata prima”. “Perché mai avrebbero dovuto derubarla di un successo? – fu la risposta di Bob Kersee, il coach della Devers –. Tutti sanno da quanti anni lo Ottey gareggia e insegue una medaglia d’oro, se ci fosse stata una possibilità di aiutarla lo avrebbero fatto senza alcun timore”.

La fotografia dell’arrivo, dopo lunghe analisi, mostrò che la Devers si era tuffata sul traguardo, testa in avanti, portandosi dietro la spalla che le diede il successo per un millimetro. La Ottey era arrivata sulla linea infatti in posizione verticale. “Se c’era una che meritava di vincere era Marlene – disse la Devers –, ma lo sport prevede che una vinca e l’altra perda, c’è poco da fare”.

Pechino, 2008: 100 m farfalla, Phelps vs Cavic

Secondo i tecnici dell’Omega ci vuole una pressione sul bordo della vasca compresa tra un chilo e mezzo e poco più di due per fermare il cronometro in una gara di nuoto in piscina. Ebbene è possibile che il segreto della vittoria di Michael Phelps nei 100 farfalla a Pechino, la gara che gli permise di eguagliare le sette medaglie d’oro di Mark Spitz, stia proprio nella diversa pressione che lui e il serbo Milorad Cavic esercitarono all’arrivo della gara che li vide separati da un solo centesimo di secondo.

Molti ancora oggi ritengono che a toccare per primo sia stato quel giorno Cavic, ma che la vittoria sia andata all’americano per il diverso atteggiamento dei due nella bracciata finale: Cavic infatti, che fino a pochi metri dalla fine era in netto vantaggio, si allungò sul traguardo andando a sfiorare la piastra cronometrica in estensione totale. Phelps invece sfruttò una mezza bracciata in più che gli permise di piombare sull’arrivo in piena spinta ed è possibile che ciò gli abbia permesso di bloccare per primo il cronometro esercitando sul sensore una pressione maggiore dell’avversario.

“Pensavo che quella mezza bracciata in più mi fosse costata la gara”, disse Phelps dopo aver conquistato la medaglia d’oro. Un colpo di genio, ha definito quel gesto qualcun altro. Cavic viceversa non si è mai dato pace per quella sconfitta, certo di essere stato lui il vincitore. Nemmeno lo scatto dall’alto del fotografo di Sports Illustrated Heinz Kluetmeier, che mostra un millimetrico vantaggio dell’americano, ha mai convinto del tutto il serbo, cresciuto in California da genitori emigrati dalla ex-Iugoslavia.

Lewiston (Maine) 1965, boxe: Alì vs Liston

Cosa c’entra un match di pugilato con la storia degli eventi sportivi decisi da un’inezia, da un fiato? C’entra perché è il match del pugno fantasma, quello che nessuno vide tanto era veloce. Era la rivincita dell’incontro disputato nel 1964 a Miami Beach e vinto dall’allora Cassius Clay per abbandono al settimo round.

La sfida di Lewinston fu preceduta da enormi attese e innumerevoli controversie, compreso il rinvio del combattimento di sei mesi, per un’improvvisa operazione cui Alì dovette sottoporsi per un’ernia strozzata. A 1’44” della prima ripresa, Alì colpi l’avversario con un colpo d’incontro che ai più parve innocuo. Ma Liston finì al tappeto e non si rialzò se non dopo la fine del conto totale.

Vennero sospettate combine, ingerenze mafiose, i medici parlarono di un KO a scoppio ritardato, conseguenza di un colpo precedente. Alla fine fu Alì a chiudere la questione con una delle sue tipiche battute: “Il pubblico non se n’è accorto. Il mio pugno era troppo veloce. Solo la moviola può cogliere un pugno dato in 4 centesimi di secondo. Dividi un secondo in cento parti, … prova a dividere un secondo in 100 parti: 4 centesimi sono come un contatore che va velocissimo, … È un attimo, passano in un attimo. Da quando il pugno è partito sono passati 4 centesimi di secondo, … Un battito di ciglia, il flash di una macchina fotografica. Nell’attimo in cui ho colpito Sonny Liston tutti hanno sbattuto le palpebre, … Ecco perché nessuno l’ha visto. Lo giuro! Guardate il filmato con gli occhi spalancati e molto vicini alla TV. Quando sto per colpirlo, tenete gli occhi aperti e concentratevi, altrimenti non lo vedrete”.