I sentieri di Cimbricus / Divertirsi: ma chi l'ha inventato?

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Martedì 16 Agosto 2022

 

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Chi l’ha detto? Tutti gli atleti e le atlete che vengono intervistati propongono questo ritornello, con qualche variazione: “Mi sono divertito. Sono venuta per divertirmi. Domani ci sarà da divertirsi”. Un atteggiamento o un rifiuto della realtà?

Giorgio Cimbrico 

Un tentativo di crociata: dopo aver tentato di spazzar via questo atteggiamento – conformista, superficiale, vano – sarebbe bene prender per mano questi giovani e portarli in visita alla pinacoteca dello sport, un museo di immagini poco divertenti: lo sport è lotta, è sofferenza, è strizzare ogni goccia di energia, è finire sul prato, da vittoriosi, da sconfitti: Murray Halberg a Roma, Ron Clarke a Città del Messico possono aprire la galleria, dare un senso. 

Di recente, per il 70° anniversario, “World Athletics” ha riesumato la foto degli ultimi istanti dei 5000 di Helsinki, della lotta feroce tra Zatopek, Mimoun e Schade. Dramma puro, maschere tragiche, denti serrati. Gratitudine a loro e a chi ha scattato la foto. 

Yang e Rafer Johnson si appoggiano l’uno e l’altro: la fatica è finita ma loro non sono allegri, sono solo prostrati dopo due giorni spietati. E’ la stessa espressione che corre tra Kieran Reid e Sam Warburton, capitani degli All Blacks e dei Lions britannici in fondo alle sfide senza quartiere di cinque anni fa: Meno male che è finita, ancora una partita e saremmo andati in frantumi come poveri cristalli”. E aprire la sezione ciclismo pone l’imbarazzo della scelta: sforzi improbi, volti invecchiati precocemente, vittorie e sconfitte vissute nel lumicino della coscienza. 

Quando non ci si divertiva nascevano quadri storici come la Ronda di Notte o l’Entierro del conte d’Orgaz dipinti dall’obiettivo con i due colori più semplici, ii bianco e il nero: Eric Liddell stravolto, Roger Bannister tra la trance e lo stato preagonico, George Foreman spezzato e attonito, Gunde Svan che procede in una neve diventata fanghiglia, Angelo Domenghini, stremato e prosciugato dopo le volate ai 2200 metri di Città del Messico. 

Non c’è solo dramma, esiste anche un repertorio di sorrisi spontanei, offerti da chi poteva godere di una magnifica, quasi divina, superiorità: Jesse Owens stira le labbra e mostra un incisivo spezzato, Usain Bolt è il regista e lo sceneggiatore di uno spettacolo che il Lampo ha creato: lo show sui blocchi, la pista divorata, la celebrazione allegra, chiacchierando a lungo con l’orso Berlino. C’è molta gioia, che sa essere profonda quanto sottile come una pellicina è il divertimento. 

Alì faceva divertire ma non si divertiva: dissimulava il dolore, lo mimetizzava con uno sberleffo, con una battuta inventata al momento, rapida come una rasoiata, come un jab. E quando iniziò il declino, e la malattia già si annidava nei gangli più riposti, l’ultimo spettacolo divenne calvario. Sono ancora immagini in bianco e nero a offrire la testimonianza più attendibile, più commovente. Mai divertente.