I sentieri di Cimbricus / La prima notte di quiete

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Mercoledì 27 Ottobre 2021

 

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“La meta era buona”, disse, e continuò a dire in quella poca vita che il destino gli concesse, Bob Deans quando gliela negarono, in uno dei giorni che hanno scritto la storia del rugby.

Giorgio Cimbrico

Sabato, a Cardiff, il Galles gioca contro gli All Blacks. Non sono rimasti molti quelli che hanno assistito all’ultima vittoria, sessantotto anni or sono. Partiti da tempo per il viaggio da cui nessuno ha mai fatto ritorno, i 47.000 che all’Arms Park videro i Dragoni battere la prima squadra venuta di là dagli oceani ad incrociarli, la Nuova Zelanda. Era il 16 dicembre 1905. Wales-New Zealand 3-0. Ma …

“La meta era buona”, disse, e continuò a dire in quella poca vita che il destino gli concesse, Bob Deans quando gliela negarono in quello stadio oggi così diverso, in uno dei giorni che hanno scritto la storia del rugby. Un caso, un’onda del destino, un soffio di vento che passa fra le piume, rubando una di quelle immagini care a Dylan Thomas, il poeta ubriacone che era dentro tutte le pietre, i corvi, le nuvole, gli estuari sabbiosi del Galles.

Al tempo di John Dallas, l’arbitro scozzese che, impacciato da un lungo impermeabile e da scarpe inzaccherate nel fango alto di Cardiff, arrivò in netto ritardo sul “luogo del delitto”, non c’erano il TMO e le riprese da più angolazioni. Non c’era proprio nulla. Nell’incertezza Dallas disse che non era meta e corse alla stazione, lì vicina, perché lo aspettavano almeno due cambi di treno per tornare nottetempo a Edimburgo.

E’ un episodio che ha alimentato leggenda: la purezza del povero All Black, destinato a scomparire di lì a poco, in giovanissima età; la disonestà passeggera dei gallesi che lo avrebbero trascinato indietro; le ammissioni tardive quando altri All Blacks tornarono, venti e trent’anni dopo, su suolo britannico, e quella storia non era stata cancellata dalla facile risacca del nostro tempo che esaspera istericamente e dimentica rapidamente.

Con il passato è coinvolgente fare i conti, è commovente chiamare sul banco dei testimoni dei fantasmi, riesumare quel che è stato scritto, mettere assieme una specie di istruttoria, lasciare la parola a chi c’era, Teddy Morgan, per tornare a quel giorno vicino a Natale nel quarto anno di regno di Edoardo VII.

“Un giorno freddo, con la gente che ci premeva addosso e, lo dico con un certo orgoglio, mormorava: ‘Teddy, pensaci tu’. Non so se Gwyn Nicholls ci rimase male. Era il capitano, un fulmine. E infatti gli dedicarono quei cancelli che paiono una trina di ferro. Nel corridoio che portava agli spogliatoi incontro John Dallas, scozzese e giovane più o meno come noi, un internazionale che aveva dovuto smettere per problemi di salute. Era l’arbitro e la scelta non era stata facile perché quelli che andavano a genio a noi, non andavano a genio ai Blacks. Loro li vedemmo soltanto al momento di scendere sul prato. Stavano per mettersi a fare la loro danza e allora mi balenò un’idea: mi misi a cantare Land of my Fathers, mi seguirono i compagni e tutto il pubblico e fu una sinfonia di cuori. Quando si canta Hen Wlad Fy Nhadau sembra di essere in chiesa, una cattedrale di voci, e dopo lessi che avevo inventato qualcosa: un inno non era mai stato cantato dal pubblico”.

“Ricordo che andiamo in vantaggio con una mia meta. E’ quello che succede dopo che diventa meno chiaro. Sento ancora, come un campanello d’allarme, Deans che grida ‘Billy, Billy’ a Wallace e penso di esser stato io a placcarlo, ma quando aveva già portato la palla oltre la linea. Come disse lui, il povero Bob, sei pollici oltre la linea. Ma dopo, Pritchard e Gabe hanno cominciato a dire che lo avevano placcato loro e che avevano tirato indietro Deans e la palla prima che arrivasse Dallas. Io so che la meta era buona, l’ho anche scritto nel mio libro di memorie e lo ammisero anche altri gallesi e il guardalinee che si chiamava Ack Llewellyn. E per quanto sono vissuto, quel che capitò il 16 dicembre del 1905 mi è rimato dentro come un groppo, anche per come andò a finire il povero Deans, morto a 24 anni per complicazioni dopo un’appendicite, e raccontano che morendo abbia detto che quella meta era buona. Capitò nell’Otto e io ero un dottorino e mi dicevo: ‘Teddy, magari l’avresti salvato’. Sono quelle cose che uno si dice per cullare un’illusione. E in tutti i libri c’è quell’altra storia, quella del biglietto che ficcai in mano a Billy Wallace: c’era scritto ‘Bob Deans ha segnato a Cardiff nel 1905’. E questo avveniva nel 1924, quando gli All Blacks tornarono e quelli furono gli Invincibili. Vennero a Cardiff e tutto quello che fecero era buono: due mete, due drop, un calcio, 19-0. Quel giorno pensai che tutto era stato saldato e che Bob poteva avere la sua prima notte di quiete”.