I sentieri di Cimbricus / La lunga marcia di Vladimir

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Mercoledì 18 Agosto 2021

 

golub 


Roma è stata l’alfa e l’omega nella vita di Golubnichy. Ai Giochi del 1960 vinse la sua prima medaglia olimpica, agli Europei del ’74, 38enne, conquistò un titolo che, curiosamente, non aveva mai colto.

Giorgio Cimbrico

“Un simbolo, un punto di riferimento, un campione dall’incredibile continuità. Lo incontrai a Milton Keynes nel ‘77: io poco più che un ragazzo, lui il veterano, una figura già storica”: Maurizio Damilano, così come il gemello Giorgio e il fratello maggiore Sandro non hanno mai nascosto di nutrire per l’ucraino stima, ammirazione, affetto. E proprio Maurizio ha provato a … imitare Vladimir: oro olimpico nell’80, titolo mondiale nel 91, un abisso di tempo dopo.

Vladimir – che se ne è andato lunedì scorso, a 85 anni – era di Sumy, nordest dell’Ucraina, città di fondazione cosacca, occupata dai tedeschi nel ’41, durante l‘operazione Barbarossa. A vent’anni sarebbe già stato in grado di dire la sua a Melbourne ma un’infezione al fegato gli impedì il viaggio agli antipodi. Dopo aver portato il record del mondo della sua amata 20 km a 1h27’05” (capitò nel ’58, a Simferopoli, Crimea), a Roma diventò campione olimpico con un margine ristretto, nove secondi, sul sorprendente australiano Noel Freeman. Era l’inizio della sua lunga saga.

Terzo agli Europei di Belgrado, terzo ai Giochi di Tokyo dietro al britannico Kenneth Matthews e a Dieter Lindner, primo prodotto della scuola della DDR, secondo a Budapest nel ’66, Golubnichy accettò la sfida proposta dal ’68, il duello con i 2248 metri di Mexico City. Sbucò nello stadio in testa, seguito dal connazionale e conterraneo Nikolai Smaga, ma quel punto dal boccaporto fece la sua comparsa anche Josè Pedraz, messicano, salutato dal pubblico con un boato. L’indemoniato Pedraza saltò Smaga e si lanciò sulle orme di Vladimir. A questo punto entra in scena Giorgio Oberweger che in una delle tante lingue di cui aveva padronanza, lo ammonì: “O ti accontenti o …”. Pedraza finì a un secondo e mezzo da Golubnichy.

Nel ’72, alla sua quarta Olimpiade, l’ucraino conquistò la medaglia che gli mancava, l’argento. Avrebbe potuto esser diversa se il tedesco est Peter Frenkel non avesse avuto come arma un finale spietato, affinato grazie a una speciale stanza che simulava l’aria rarefatta.

Dopo la vittoria agli Europei di Roma, salutata con commozione dagli avversari, Vladimir decise di tirare avanti sino ai Giochi di Montreal, i suoi quinti, dove si presentò dopo aver compiuto quarant’anni. Finì settimo, a cinque minuti da un altro indiavolato messicano, Daniel Bautista.