I sentieri di Cimbricus / Il fascino (non tanto sottile) dei Trials

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Martedì 22 Giugno 2021

 

bromell 


“Il breve atto unico della finale dei 100 è stato un successo: rinascite, metamorfosi, sorte benigna che sfugga tra le dita, morte in scena. Cinque atleti sotto i 9”92 non si erano visti mai, a far data dalla magnifica finale di Tokyo ’91”.

Giorgio Cimbrico

I campionati NCAA li elettrizzano, i Trials li caricano come dinamo. Viene il sospetto che per loro sia più importante un titolo universitario e una selezione per i Giochi che una medaglia globale. Nell’America più profonda quel che si ottiene in patria ha sempre il peso specifico dell’orgoglio. E così, danno il meglio in quelle occasioni che sono anche riunioni di famiglia: Sha’Carry Richardson che corre ad abbracciare la nonna (“E’ il mio cuore”); Trayvon Bromell che ringrazia sua madre per avergli fatto imboccare la strada che porta a Dio, il solo che può dare una mano e metter fine ai tormenti fisici e della mente.

Alyson Felix seguita dal marito Kenny e dalla piccola Camryn nell’inseguimento (riuscito) alla quinta Olimpiade, l’ultima, giura la “collezionista” (27 medaglie olimpiche e mondiali) apparsa per la prima volta in scena a Atene 2004 e in grado di correre in 50”02, record mondiale over 35.

I Trials, specie se si svolgono sulla costa del Pacifico, sono per noi, aficionados europei, la tentazione di un collegamento notturno con siti che offrono immagini e forniscono risultati o finiscono per provocare riposi agitati in attesa di scoprire quel che verrà recapitato, variegato argomento di analisi e discussioni con gli altri membri della confraternita. C’è un gusto pokeristico a “spillarli”, magari cominciando dal fondo delle classifiche per meglio valutare la forza d’urto, la profondità, le sorprese, le clamorose cadute che da sempre fanno parte del gioco. I giorni dei belli e dannati.

Il breve atto unico della finale dei 100 è stato un successo: rinascite, metamorfosi, sorte benigna che sfugga tra le dita, morte in scena. Con una premessa: cinque atleti sotto i 9.92 non si erano visti mai, a far data dalla magnifica finale di Tokyo ’91 quando Linford Christie disse che “è stato come tornare bambini quando andavamo a veder passar i treni”. In questo trentennio di “carri di fuoco” ci sono state finali mondiali e olimpiche che hanno prodotto tempi mostruosi (il raid Pechino-Berlino di Usain Bolt rimarrà, come dicono i francesi, scolpito nei marmi dell’atletica) e si sono spinte ad offrire anche sei uomini sotto i 10”. Ma cinque riuniti in 11 centesimi, da 9”80 e 9”91, mai.

Iniziare dalla coda significherebbe cantare il requiem per Justin Gatlin da Brooklyn, 39 anni e mezzo, ultimo e zoppo in 10”87, ma è dal centro del “gruppo” che viene il palpito più forte, il colpo di rasoio dei Trials: Kenny Bednarek che, con quel nome, sembrerebbe ceko e invece è dell’Oklahoma, 9”89, quarto, selezionato per la staffetta. Con 9”89 Richard Thompson prese l’argento a Pechino e con 9”89 Gatlin acciuffò la stessa medaglia a Rio. Dietro a Bednarek (che un giorno volò sull’Ippogrifo: 19”49 ventoso), uno degli ultimi prodotti del NCAA, Micah Williams, 19 anni e mezzo e 9”91 (grande gioia di amici e parenti: è cresciuto alla Oregon University) e Cravon Gillespie 10”00. Agli ultimi due un posto nelle batterie della staffetta non glielo negherà nessuno.

Davanti, Trayvon Bromell, di St Peterurg, Florida, 26 anni tra qualche giorno, uno dei teenager più veloci di sempre, 9”84 prima di compiere 20 anni, uscito a pezzi da Rio, due operazioni al tendine d Achille, sparito, ricomparso l’anno scorso (9”90), capace di cospargere la stagione, sin dall’inverno (6”48, un centesimo peggio di Marcell Jacobs) di “botte” che mozzano il fiato sino al 9”77 di Miramaar. Con Christin Coleman al bando, è il predestinato a ridare un titolo che agi USA manca dal 2004. Era pre Bolt.

Bromell ha una partenza bruciante, a volte rischiosa, e costringe gli altri a una corsa in rimonta. Qualcosa, poco, ha perso nei confronti di Ronnie Baker (compaesano di Alì) che in 9”85 ha ritagliato due centesimi al personale, e di Fred Kerley, il quattrocentista di formato gigante (1,91 per 93 e 43”64 di record), texano di San Antonio, che ha vinto una scommessa con sé stesso: trasformarsi in velocista puro. Quel 9”91 primaverile è stato confermato e migliorato, 9”86. Curiosamente uguagliando il “record mondiale” dei 100 per quattrocentisti, in mano dall’anno scorso a Michael Norman.

Un tempo si scriveva: tutto il resto in pillole. A cominciare dall’inclusione (con biglietto per Tokyo) di Brianna Rollins ora McNeal sulla quale pende una squalifica di cinque anni per positività e manipolazione. Istanza non respinta dal TAS e via sui blocchi, dietro soltanto a Kendra Harrison che questa volta non cade nella malia dei Trials ma che a Tokyo avrà vita dura con l’imponente Jasmine Camacho Quinn, nata e cresciuta in South Carolina ma in possesso di passaporto di Puerto Rico e, per questo, esentata dallo stress delle selezioni.