I sentieri di Cimbricus / Il piccolo fulmine del Texas

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Mercoledì 12 Maggio 2021

 

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Cronache marziane da una di quelle vecchie culle che sbirciavamo attraverso i risultati o le foto in bianco e nero delle riviste su cui, eccitati, riuscivamo a metter le mani: Walnut.

Giorgio Cimbrico

Sha’Carri Richardson è una texanina (che sta per texana di piccola taglia, 1,55 per 50), dai lunghi e liscissimi capelli azzurri che le arrivano sino alla vita (difficile sia roba sua …), dalla partenza fulminea e dall’accelerazione impressionante. È allenata da Dennis Mitchell ed è diventata la terza della storia a correre due volte sotto i 10”80 (10”74 e 10”77 con 1,2 di vento contro: la prestazione più veloce corsa in condizioni così poco favorevoli) nel giro di un paio d’ore. La prima è stata Florence Griffith annata ’88 a Indianapolis, per la seconda ricerche in corso. Sha’Carri – ma dove li vanno a prendere questi nomi? – era già scesa a 10”72 quest’anno diventando la sesta di tutti i tempi. Un anticipo di finale olimpica, contro le giamaicane e Dina Asher Smith è in cartellone a Gateshead il 23.

Gli americani annotano con scrupolo i record degli stadi e dei meeting. Domenica ne sono caduti un paio di non poco conto. Rai Benjamin ha stappato il limite a Edwin Moses, 47”13 contro 47”89 dell’annata 1979, e Michael Norman, 44”40, ha cancellato Steve “Bigfoot” Lewis della sua miglior stagione, l’88. Benjamin può fregiarsi di un altro record – nessuno aveva mai corso a questi livelli così presto in stagione – vincendo una gara di formidabile spessore: Kyron Mc Master 47”50 e Alison dos Santos 47”68, record delle Isole Vergini Britanniche e del Brasile. Quando irromperanno Warholm e Samba ci sarà … da ballare. Gli anni dell’immobilismo sono stati spazzati via e i record di Kevin Young ha forti chances di non raggiungere i trent’anni di regno.

Risultato poco pubblicizzato al di là dell’Adriatico: a Spalato con 71.40 Maria Andrejczyk, 25 anni, polacca della regione di Suwalki, nordest del paese, è diventata la terza giavellottista di sempre, a 88 centimetri dal mondiale di Barbora Spotakova e a 30 dalla cubana Osleydis Menendez. Miglioramento radicale, quattro metri abbondanti, per chi aveva espresso il massimo, 67.11, nella qualificazione di Rio, prima di raccogliere in finale il quarto posto.

Cambiamo decisamente registro: gira voce che qualcuno abbia suggerito alla UE che un altro vino è possibile. Senza alcol. Prego alcol free. Quando ho letto questa cosa ho pensato a tanti buonanima, l’ultimo in ordine è Gianni Mura, che hanno dedicato parte della vita ad annotare le molte anime del vino. Il mio “sentiero” potrebbe anche chiudersi qui, un brevissimo viottolo che porta a una vigna. Quando ero ragazzino ne ho attraversate tante, arrancando dietro mio padre che portava la doppietta ben bilanciata su un braccio. La raccomandazione era sempre la stessa: “Non rubare l’uva, a loro serve”.

Potrei provare ad allungare il viottolo per trovarmi, con la bocca spalancata, di fronte alla vetrina di un elegante tabaccaio, nella città vecchia di Zurigo, che espone le scatole di quei sigari che fumavano Churchill, Castro e, di nascosto, dopo la faccenda della Baia dei Porci, anche JFK. Sono scatole bellissime, di legno, decorate con le immagini di indios, di belle ragazze, di opere, di grandi storie: Romeo y Julieta vi dice qualcosa? Ne conservo qualcuna e ci ficco dentro di tutto, sino a che diventano archivi, sedimenti di vite precedenti.

Mi domando: li venderanno ancora, quei meravigliosi sigari o quelle scatole sono destinate a diventare elementi decorativi? Per fumarne uno sono necessari un salotto, una poltrona di cuoio, un amico con cui conversare, un cognac dotato di “spirito”. A occhio, direi che oggi tutto questo è rintracciabile solo a casa propria.  

In cinquant’anni siamo passati dal “vietato vietare” del Maggio francese a un proibizionismo senza quartiere, a un salutismo a tutti i costi, a una ricerca della fitness che porta qualcuno a mangiare quel che becchettano gli osei: miglio e riso ancora incamiciato.

Fa una certa impressione rivedere le immagini dei Tre Grandi che si incontrano a Teheran: Winston ha sempre piantato in bocca un Avana, Franklin Delano regge tra le dita una sigaretta (a volte con il bocchino), Iosip Vissarionvic usa la pipa Dunhill inviatagli, con la spada d’onore, da Giorgio VI. Fumavano i comandanti in capo e fumavano fanti, marinai, aviatori, civili bombardati, sciuscià. E fumava durante le prove Leonard Bernstein e fumava la maggior parte degli allenatori in panchina: l’ultima reliquia è quel filtrino da cui Sarri non si separa. Fumavano, bevevano e mangiavano Jean Bouin, Joseph Guillemot, Gino Bartali e i giocatori di golf pescando da quelle magnifiche scatole che accarezziamo. Carlo V non fumava ma al mattino, a colazione, faceva fuori un cappone.