Fatti&Misfatti / Tra finti maghi e troppi babbani

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Lunedì 12 Aprile 2021

 

mekowolu 

 

“Con questa tristezza vorremmo pregare per toglierci il peso dei virologi in televisione, per avere l’illuminazione e poter liberare la prateria dai leccapiedi ad ogni livello.”

Oscar Eleni

Fra i sommozzatori tailandesi per sconsigliare al monaco intrappolato in una grotta di uscire per vedere questo mondo di finti maghi e troppi babbani. Riferimento alla saga di Harry Potter che ti capita davanti agli occhi se giri sui canali televisivi, a parte DAZN fulminata per la rabbia interista, base di partenza per un discorso confuso fra tristezza e macedonia di cose che possono interessare solo testoline veramente influenzabili.

Certo, caro monaco, resta a pregare nella grotta allagata. Qui fuori vorrebbero dirti che si può perdere la ragione e una pagina di giornale se Ronaldo butta la maglia per terra e non capiscono la differenza fra la bella storia raccontata da Giulia Arturi sull’allenatrice australiana che ha portato il Kenya ai campionati continentali per la prima volta e le copertine delle compagne di gioco, coì distanti da quelle vere regalateci da SW. Siamo circondati da sensali che offrono vaccini, ma poi non sanno a chi spedirli e, chi li ha ricevuti, non sa come organizzare una coda, salvo lasciare anziani e disabili al freddo.

Mentre piangiamo davvero per la morte di due leoni del nostro rugby ci viene in mente che il pilone Massimo Cuttitta aveva tutto per non farsi apprezzare in un paese come questo: era coraggioso, diceva pane al pane. Per la nazionale ha fatto tanto sul campo, ma fuori ha dovuto allenare le mischie degli altri.

Su Marco Bollesan, il rugby nell’anima, che placcava un puma argentino nei carruggi per capire se raccontava musse, scriveranno libri. Aveva tutto per conquistare, il terreno, la simpatia, il cuore. Porthos e Aramis allo stesso tempo. Quando guidava Milano e Marcello Fiasconaro, primatista mondiale non soltanto degli 800, ma anche di simpatia, decise che il rugby, imparato in Sudafrica, poteva essere una variante alla vita milanese divisa fra la radio dove lo aveva portato Ghighi Parodi, l’atletica con la Pro Patria e il clan Mastropasqua-Rondelli, giganti che saranno considerati diavoli, oggi come ieri, da chi sta riverniciando con il verde ramarro questa FIDAL. Bollesan capì subito che poteva essere una cosa importante non soltanto per il rugby. Però comprese pure che non era facile mandare in campo un grande corridore che sarebbe stato braccato da tutti. Cominciando dai giornalisti. Lui mise il petto davanti a tutto e tutti, anche alla faccia cerea di Marcello, lo isolò, proteggendolo. Una cosa importante, decisiva.

Con questa tristezza vorremmo dire al monaco che potrebbe pregare per toglierci il peso dei virologi in televisione, per avere l’illuminazione e così aiutare a liberare la prateria dai babbani, i leccapiedi ad ogni livello.

Certo lui avrebbe l’incenso per riportare Ettore Messina nella sala degli specchi in modo che li possa spaccare tutti. Eh sì, nella domenica di aprile dei baci infiniti in casa interista, lui, milanista mai pentito, si è trovato circondato dagli indiani del basket che si sono stancati di specchietti e perline rosa per un generale che dopo 7 anni aveva riportato Milano e Armani nel cuore dell’Europa che conta. In una notte cupa, tornando da Brindisi, ha scoperto che il primo posto in campionato è della Brindisi del Marino capace di sognare, ma anche di creare. Con fastidio deve aver sentito anche che pure la Virtus Bologna lo ha affiancato, ma per Djordjevic il momento della verità ci sarà fra qualche ora nel secondo dei tornei europei, e la bella contro Kazan non sarà facile davvero perché il Coldebella esiliato da questi canestri ha messo insieme una squadra che in eurolega avrebbe dato fastidio a tanti, anche se in gara due la Virtus avrebbe potuto fare il colpo dopo aver preso tanti colpi. Niente. Lei, come la povera Cantù inchiodata al Pala Desio da un tap-in quando stava suonando la sirena, ha incassato e portato a casa.

La Virtus può rifarsi, Cantù, se rimarrà il governo ottusangolo che gode per le retrocessioni pandemiche, sembra invece spacciata. Dicevano così anche di Varese non tanto tempo fa. Vero, ma poi a Masnago hanno trovato rinforzi e una strada per salvare Bulleri e le scelte ardite d’inizio stagione. A Cantù, invece, investiti dalla pandemia, tormentati dalla modestia di troppi attori non protagonisti, hanno scoperto che la sconfitta in casa contro Trento potrebbe essere condanna. Piangeranno in tanti, quelli che conoscono la storia del nostro basket dove Cantù è stata luce vera, ma forse non interesserà al potere dominante in Lega e Federazione e neppure a chi governa la città se, da anni, la squadra deve giocare a Desio le sue partite casalinghe. Piangeranno davvero Roberto Allievi, Marzorati, Recalcati e Della Fiori, non faranno una piega gli organizzatori di questa ordalia che cantano Felicità sul treno della notte indignando Lucio Dalla che non l’avrebbe mai scritta per loro, ma forse per le ragazze della Reyer beffate all’ultimo secondo dal Valencia nell’Eurocup.

Tornando a Messina e alla sua Wandissima che ultimamente ha inciampato spesso, per fatica, per troppi infortuni, ma anche per essere stata pesata, misurata e trovata non costruita al meglio per reggere oltre 80 partite nella stagione.

Non vorremmo che Messina dovesse affogare proprio nella piscina bavarese riempita di vino dal Custer Trinchieri che l’ultima volta se ne è andato sbattendo la porta del Forum, davvero arrabbiato con l’uomo che al momento, in Italia, gode della stima generale, a parte gli sciocchi in blu, l’allenatore entrato nella casa della gloria europea, il guru per generazioni di allenatori ora lo vedono perplesso sul burrone bavarese: vincere per avere le finali che mancano dall’altro secolo, D’Antoni imperante come guida, Djordjevic dominante con il meglio della storia del Partizan, ramingo per la guerra in quel 1992, armata di giovani guidata da Obradovic, dove c’era anche fratellino Danilovic che gli farebbe davvero comodo alla Virtus dove le controfigure sono troppe.

La sconfitta di Milano aprirebbe processi in Darsena, roba minima, qui la bocca è buona e al posto del Torchietto si cena con salse multinazionali. Certo poi servirà vincere lo scudetto, ma proprio Brindisi, appena recupererà D’Angelo Harrison, potrebbe farle del male, ammesso che non ci pensino prima quelle che troverà nei play off, ostacolo per chi aveva squadre corte, ma ora pure problematici per Milano se i tempi di recupero sono quelli visti in questo ultimo periodo.

Gufate, gufate, grida spavaldo il nocchiero di re Giorgio, ma forse anche lui adesso deve riflettere e chiedersi dove ha sbagliato se a Brindisi si è trovato solo con Rodriguez in mezzo alla pescheria brindisina.

Pagelle condivise con i sommozzatori che ci porteranno anche alla vaccinazione mentre ricordiamo con affetto il Colombo roburino, culla del basket di Gianni Asti, nei giorni in cui Reggio Emilia, il suo vivaio è orgoglio nazionale, Virtus, una storia che proprio dalle giovanili dove Messina fu fatto da Porelli prima vescovo e poi Papa, hanno rinunciato a fare attività. Chissenefotte dicono lorsignori. Lo hanno fatto lanciando una stagione che si sapeva nata male e malatissima, figurarsi se possono preoccuparsi di robetta del genere. Lasciateli lavorare, devono multare beceri da sospendere a vita, devono leggere le carte per sapere come avvilire o Pesaro o la Fortitudo.

Ai voti, ai voti, quelli che troppe volte non avete dato per cambiare e non stiamo parlando di basket o soltanto di sport:

• 10 A TREVISO che non è un miracolo, ma molto di più: lavoro, competenza. Nella faccia di Menetti, nei progressi veri di Mekowolu che non stava in campo più di 10’, nel fiero volto di Imbrò c’è il profumo di una scuola vera, alla Ghirada, al Palaverde, passando per la palestra CONI.

• 9 Per KOPONEN e CANDI che hanno ridato a Caja la gioia dei baci di Conte a Darmian. Certo lui, Artiglio, ama sempre la difesa, ma se i suoi segnano 22 tiri da 3 è ancora meglio.

• 8 Al WILLIS brindisino tornato quello che prima di ammalarsi dava un senso ad ogni mossa sulla scacchiera del Vitucci che per umiliare Milano si è affidato al violinista Morea, spalla giusta per un eccellente direttore d’orchestra.

• 7 A ZANELLI, VISCONTI, GASPARDO, UDOM per far sapere che in Italia si possono anche far giocare quelli che hanno imparato qui. L’inguardabile Moraschini lo sa bene, il povero Moretti, che fa panchina anche quando sul campo vanno dei vuoti a perdere, avranno provato invidia.

• 6 A MOLIN perché questa Trento sta facendo cose importanti anche se deve vivere su sei giocatori. Non deve essere stato facile e questo lo diciamo senza mancare di rispetto a Brienza che speriamo di rivedere presto in panchina.

• 5 A BRUGNARO e CASARIN se non festeggeranno insieme il WATT super, il quarto posto e le ragazze beffate a Valencia. Una REYER così dovrebbe indicare l strada. Ma chi la segue? Nel nostro basket si amano le cose materiali, non i pensieri sublimi che costano tanto.

• 4 Al MORSE varesino finito come molti dei suoi compagni nella rete Caja a Reggio Emilia. Il suo nome ricorda a tutti Bob lo spietato, ma lui, sia nella vittoria di Milano che nella caduta nella piana Koponen, ci ha fatto vergognare di aver soltanto associato i due giocatori.

• 3 A VIRTUS e REGGIO EMILIA che come molte altre società hanno rinunciato ai campionati giovanili invece di far andare in piazza chi non meritava di sognare l’Olimpiade soltanto alla play station.

• 2 A BELINELLI e TEODOSIC, veri poeti dell’impossibile, quando sono ispirati, babbani nelle giornate storte, se nella bella contro KAZAN non giocheranno bene tutti e due e magari pure insieme.

• 1 Ai giocatori di CANTU’ per non aver trovato le energie che servivano in un momento dove si sono ammalati in troppi. Sfortuna, ma pure mediocrità mentale.

• 0 A BONICIOLLI, premiato come miglior allenatore della Coppa Italia seppure perduta, SACRIPANTI, DELL’AGNELLO e ai molti bravissimi che lavorano in A2 perché ogni volta ci fanno venire il rimorso di non averli sostenuti abbastanza con dirigenti incompetenti, giocatori mediocri, tifosi da curva chiusa.