I sentieri di Cimbricus / Ma l'Uomo Vitruviano e' proprio bianco?

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Venerdì 19 Giugno 2020

 

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In questi giorni di proteste e un po’ di stupidità non pare inopportuno ricordare qualche storia di “incroci” nello sport, cocktail vincenti e tonanti di etnie diverse. Quando non proprio tutto è solo intolleranza.

Giorgio Cimbrico

“Sono negro? Dio mio, non me n’ero mai accorto”: è uno dei memorabilia di Daley Thompson, il simpatico e formidabile decatleta britannico che dominò gli anni Ottanta. Collezione imponente: i gioielli della corona sono i due titoli olimpici di Mosca ’80 e di Los Angeles ’84. La domanda è: oggi, come verrebbero accolte queste parole? Risposta: boh, facciano loro. Di certo che se ogni razza ha dato il suo contributo allo sviluppo, la commistione ha fatto la storia, la fortuna, l’epos di una gara che non è una gara. Una dimensione è meglio.

Ai Mondiali del ’93, a Stoccarda, un gruppo di innamorati del decathlon (che in Germania si chiama Zehnkampf, dieci battaglie) aveva aperto un baracchino e vendeva una maglietta: era verde e sul davanti c’era stampato un ostacolista. Il meglio era dietro: “Johnson nero, Yang cinese, Kratschmer bianco. Il decathlon non questione di pelle”. Forse è meglio cambiare la prima “e” con una “a”. Un po’ brutale, ma rende l’idea.

La maglietta non poteva trasformarsi in trattato e si limitava a citare tre primatisti del mondo che rappresentano le razze più diffuse. Per gli incroci strabilianti sarebbe stato necessario un lenzuolo e proprio il Neckarstadion, qualche giorno dopo, avrebbe salutato con un rombare commosso e prolungato il successo (il secondo a un Mondiale) di Dan O’Brien, fortunata sintesi di mamma finlandese e padre afroamericano. Nella crescita e nei progressi di Dan non deve essere trascurato l’apporto della famiglia irlandese che lo accolse e adottò con altri fanciulli delle più caleidoscopiche provenienze.

Non era la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima, di cocktail vincenti e tonanti. La storia era cominciata nel 1912 con Jim Thorpe, originario del territorio indiano dell’Oklahoma, figlio di un irlandese con madre della tribù Sax e Fox e di una Potawatoomi al cinquanta per cento francese. Non è il caso di ricordare le sue vittorie olimpiche a Stoccolma 1912, nel pentathlon e nel decathlon, la spoliazione subita per aver guadagnato qualche dollaro giocando a baseball e a football, la tardiva riabilitazione.

Lo scontro tra il kennedyano Rafer Johnson e il il cinesa di Taiwan Yang Chuan-Kwang a Roma ’60 (feroce e improntato alla cordialità esistente tra due amici) dimostrò che la summa dell’atletica non era riserva di caccia esclusiva per americani bianchi, tedeschi, sovietici di diverse etnie. La svolta arrivò con l‘ingresso in scena di Daley Thompson, londinese di Notting Hill, figlio di un taxista nigeriano e di una scozzese di Dundee.

Nell’83, a Helsinki, Daley inaugurò l’albo d’oro dei Mondiali da campione olimpico ma non da primatista mondiale: il record lo aveva appena perduto (ma se lo sarebbe ripreso …) ad opera del suo più acerrimo rivale, il tedesco Jürgen Hingsen, un gigante di 2.00 per un quintale abbondante che avrebbe potuto essere un eccellente modello, in veste di condottiero o principe, per Albrecht Dürer o qualche altro pittore della Germania appena riformata. Hingsen, spalleggiato da Guido Kratschmer e da Siegfried Wentz, diede più volte vita a scontri tra Curiazi (loro) e il solitario Orazio di Notting Hill. I risultati sono noti, così come gli eccellenti rapporti che correvano tra il vincitore e gli sconfitti.

Gi eredi di O’Brien, che chiuse con tre titoli mondiali e quello olimpico di Atlanta dopo il mancato viaggio a Barcellona (la legge dei Trials, si sa, è crudele e a volte anche un po’ stupida) sono stati Bryan Clay (figlio di un afroamericano e di una giapponese: nuovi rivoli irrompono in questa storia), campione mondiale nel 2005 e olimpico nel 2008, e Ashton Eaton, padre afro, mamma bianca, che prima di un precoce addio aveva collezionato due titoli olimpici, due mondiali e due irruzioni oltre i 9000 punti. Si attendono, tra una quindicina d’anni, gli exploit degli eredi suoi e di Brianne Theisen, un’unione di vita che è un altro capitolo in questa storia della razza umana.

Per chi ama i numeri, i Black+White, i Black+Asia e gli White+Indian hanno vinto sette titoli olimpici e sette mondiali. Sarà perché la carta, nel trascorrere dei secoli, si è un po’ scurita, ma non pare anche a voi che l’Uomo Vitruviano non sia proprio bianco?