I sentieri di Cimbricus / Il pavone dalla coda mozzata

Print

Venerdì 29 Novembre 2019


peacock


"Non si può passare la vita a pensare come poteva andare". Massima consolatoria, per quanto amara, con cui Eulace Peacock si rassegnava per quella sfortuna che lo collocò un gradino sotto J.C., più un amico che un rivale.


Giorgio Cimbrico

Si parla sempre di Jesse (J.C.), mai di lui, del Grande Dimenticato, dell’uomo che avrebbe potuto essere re e che solo i cultori appassionati, gli studiosi attenti, gli aficionados generosi ricordano senza averlo mai visto in azione. Banale gioco di parole: Eulace Peacock è stato un Pavone dalla maestosa coda mozzata. Una certa letteratura, un certo cinema sono caduti in amore per questi sconfitti, per questi invitti: il Robert Jordan di Hemingway (“Per chi suona la campana”), il vecchio Pyke di Peckinpah (“Il mucchio selvaggio”), lo scorbutico veterano di Eastwood (“Gran Torino”) hanno formato un culto che ancora oggi - nella società dove conta solo chi vince, dove i supereroi compaiono anche per glorificare una mutanda, un onnipotente telefonino – può contare su qualche fedele. Quasi tutti di vecchio conio, è bene precisarlo.

“Non si può passare la vita pensando a come poteva andare”: una presa di coscienza, un modo per scacciare il rimpianto, mettere in fuga la tristezza come consigliava una vecchia bossa nova. E’ andata così, diceva Eulace, senza tirare fuori le Parche, le onde del destino, gli strali del fato che tormentavano Amleto. Poteva essere il più grande e invece finì nella Guardia Costiera, aprì un negozio di liquori, affittò auto e diede vita a un commercio di carne con quello che lui batteva, che passò alla leggenda e che mai smise di essere un amico: James Cleveland Owens.

Eulace e Jesse erano paesani, eredi di famiglie che si erano massacrate schiena e mani per raccogliere il cotone: luoghi di nascita, Dothan, capitale mondale delle arachidi, il primo; Oakville, il secondo. Lo stato è l’Alabama dove, oltre a quelle dell’intolleranza e del desiderio di riscatto, deve scorrere una linfa speciale dal profumo amaro di magnolia: nel ’61 a Birmingham vede la luce Carl Lewis. La famiglia Owens andò a cercare miglior vita a Cleveland, Ohio; i Peacock a Union, New Jersey, stesso stato scelto, molto più tardi, dai Lewis.

Jesse era del ’13, Eulace del ’14 e il suo primo acuto è del ’33: a 19 anni salta 7.42, record dello stato e tale rimarrà per 40 anni. Il 6 agosto 1934, al Bislett di Oslo che stava iniziando la sua infinita collezione di record, corre in 10”3 e affianca Percy Williams, Eddie Tolan, Ralph Metcalfe. Quartetto o quintetto? Erich Borchmeier sfreccia in 10”3 prima a Berlino e poi a Francoforte ma la federazione tedesca lo riconosce solo come record nazionale. L’organico si trasforma in sestetto quando, venti giorni dopo, il record del mondo viene uguagliato ad Amsterdam anche dall’olandese Christian Berger. Quel tempo sembra invalicabile. ci sbatte due volte contro ancora Metcalfe e alla compagnia si aggiunge, nel ’35, il giapponese Takayoshi Yoshioka. “Nessuno correrà mai in 10”, azzarda qualcuno, timoroso di inoltrarsi sui sentieri di fantasiosi limiti umani. I 10”2 ventosi (ma con quanto vento?) del cubano José Barrientos e del brasiliano José de Almeida sono ammantati di ombre.

Nel ’36, al congresso che la IAAF tenne durante i Giochi di Berlino, viene codificato il confine della legalità a 2,0. In questo senso, Eulace venne defraudato di un record del mondo, sia pure temporaneo: il 4 agosto 1935, a Lincoln, Nebraska, aveva vinto la batteria dei Campionati dell’AAU in 10”2, con un vento registrato al centimetro, 2,22. Forte, non fortissimo. Battuto Jesse che veniva dal “giorno dei giorni” di Ann Arbor: sei record mondiali, su yards e metri, battuti o eguagliati nel baleno geniale di meno di un’ora, qualcuno dice in 45’.

Se Owens aveva avuto il suo 25 maggio, Peacock ebbe il suo 4 luglio: con un vento di coda più sostenuto, 3,47, replicò in 10”3 lasciando a un metro Metcalfe e Owens. Più tardi – non rinvenuto il lasso di tempo trascorso – Eulace piegò Jesse anche nel lungo, all’epoca la più grande gara di sempre: Peacock 8.00 (secondo nella storia a toccare quel confine), Owens 7.98, eguagliando il vecchio mondiale del giapponese Chuhei Nambu che con 8.13 aveva già distrutto nel suo unico tentativo del 25 maggio. Ad Ann Arbor Peacock non c’era: gareggiava per la Temple di Filadelfia, non compresa nelle Big Ten.


Per il potente Eulace era la settima vittoria in dieci confronti con il lieve Owens, che, secondo un giudizio dell’epoca, sembrava rotolare su un tappeto di piume. Le stagioni dell’atletica non erano frenetiche come oggi, ma gli appuntamenti non mancavano: dopo la lunga traversata e un trasferimento in treno, Peacock è di scena il 6 agosto a Basilea, per eguagliare il record del mondo: il 10”4 accreditato al secondo, lo svizzero Paul Hanni, testimonia di una certa generosità nel cronometraggio. Il primo campanello d’allarme suona qualche giorno dopo, all’Arena di Milano, quando Eulace si rialza stringendo una mano sul fascio dei muscoli posteriori della coscia.

L’amichevole rivalità con Jesse vive una giornata esemplare su finire dell’inverno del ’35, a Columbus, Ohio, per un faccia a faccia sulle 50 yards: vince il padrone di casa che, dopo aver notato che l’ospite è incespicato in partenza, offre un’immediata rivincita. E questa volta il successo è di Eulace.

Il giorno del fulmine che colpisce ancora l’albero senza lasciare scampo è il 24 aprile 1936, in quella che è già una classica, le Penn Relays: è in una frazione di staffetta che il muscolo che trasmette l’impulso cede di schianto. Due mesi dopo, allo Stagg Field di Chicago, Jesse diventerà campione NCAA in 10”2 con poco più di un metro a favore. Solo in vetta, pronto per Berlino. “Inutile asciugarsi le lacrime, è andata così”, disse Eulace che in vecchiaia non riuscì ad avere la meglio su uno spietato avversario dal nome tedesco, Alzheimer. Il 13 dicembre saranno ventitré anni dalla sua scomparsa. Il suo vecchio amico se n’era andato sedici anni prima.