I sentieri di Cimbricus / Esultanze italiche, esercizio alchemico

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Martedì 25 Giugno 2019

 

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Alla fine è accaduto: non è stata tanto prescelta l'inedita coppia Milano/Cortina quanto mortificata Stoccolma e ciò che la Svezia ha dato allo sport olimpico. Spiegarne i motivi significa srotolare nomi, fatti, date, luoghi, occasioni, cieli, visioni, viaggi. E tanta dignità.

 

Giorgio Cimbrico

“La Garbo parla, la Garbo ride”: i grovigli della mente sono strani ed essendo grovigli sono anche labirintici. Quando è giunto l’annuncio della vittoria di Milano-Cortina e la sterminata truppa vestita made in Italy si è lanciata in ululati e i signori della candidatura si sono immediatamente avventurati nel repertorio del sistema-Paese, della sostenibilità, dei benefici (Sala ha persino trovato il modo di dire che per Milano aveva pensato ai Giochi estivi. Ma Sala è mai stato, non dico a Pechino o a Londra, ma a Birmingham, a Sheffield?) io ho pensato agli occhi profondi e malinconici della signorina Gustavsson, al primo film in cui si udì la sua voce, a quello, Ninotchka, in cui abbandonò l’espressione da sfinge e ride, ride e ride a una battuta del simpatico bellimbusto Melvin Douglas.

Capisco non ci siano nessi, che l’unico possibile sia che Greta fosse svedese, come la piccola Greta Thurnberg che sta scavando nicchie sempre più ampie nelle coscienze della gente, specie dei giovani, e questo permette un respiro fondo in questo mondo sempre più irrespirabile. In America sta per andare in barca a vela.

Per chi ama lo sport, per chi ha dedicato tempo senza pensare ai soldi, veder perdere la Svezia è come per l’appassionato veder cedere Roger Federer e quei suoi gesti che paiono le partiture scritte di getto, senza correzioni, da Mozart.

Nessuna rabbia, solo tristezza, languore. E spiegarne i motivi significa srotolare nomi, fatti, date, luoghi, occasioni, cieli, visioni, viaggi dentro campagne linde dalle fattorie dal tetto spiovente color ruggine, intrico di isole, acque lisce, silenzio e i vecchi mattoni dello stadio Olimpico, costruito nel 1912, con un aspetto arcaico, da piccola fortezza che difese l’Olimpiade dallo spirare ancora adolescente. Credo che i plaudenti vestiti made in Italy a queste cose non diano la minima importanza, le ignorino tout court. Loro non sono per gli intrecci della mente, loro sono per i gangli del potere, del profitto. Sono gli uomini bianchi che andarono a prendersi le terre dei Sioux, dei Cheyenne che avevano una visione semplice, poetica. Molto sostenibile, loro sì.

L’unica Olimpiade concessa agli svedesi fu innovativa e seria, senza esposizioni universal-buffonesche a latere e oggi diremmo che risultò anche essere un’edizione che lasciò spazio a dei magnificamente diversi come Jim Thorpe – in lui confluivano sangue di almeno due tribù indiane insieme a quello irlandese del padre e francese della madre – e Duke Paoa Kahanamoku, hawaiano, demiurgo del moderno stile libero e guru per chi sfida le creste delle onde a cavallo di un’asse, oggi non più di legno.

Dietro le italiche esultanze (lo sgretolatore Giorgetti al fianco dello sgretolato Malagò, il Pd con la Lega che ha il volto di Zaia e quello controriformistico di Fontana), un semplice esercizio alchemico (poche gocce di memoria mischiate a tracce di nobile Dna) evoca la silhouette di Gunder Hagg che mentre il mondo si massacrava, si impadronì dell’organo dell’atletica – 1500, miglio, 2000, 3000, due miglia, 5000 – aprendo la strada a Bannister, alla scuola ungherese, a Zatopek.

Gli svedesi hanno aperto vie: il nuovo tennis nasce con Bjorn Borg, il nuovo sci con Ingemar Stenmark. È svedese Kjell Isaksson, detto il folletto, primo uomo a scalare 5,50. Ricordi, immagini: la dedizione di Gunde Svan, detto il cigno, l’impenetrabilità di Anders Kallur, quattro Stanley Cup difendendo la porta dei New York Islanders e il merito di aver collaborato alla venuta al mondo delle gemelle Susanne e Jenny, l’effervescenza di Carolina Kluft, l’unica, dopo Jackie Joyner Kersse, ad aver doppiato più di un volta il capo dei 7000 punti, le ascensioni del piccolo Stefan Holm e della elfica Kajsa Bergquist, le follie calcistiche e dialettiche di Zlatan Ibrahimovic, svedese di nuovo conio. Sfondo sonoro, il loro inno, antico e armonico, come il Wilhelmus olandese.