Italian Graffiti / "L'incredibile non e' impossibile" ... sara' poi vero?

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Venerdì 21 Aprile 2017

fuocoghiaccio2

di Gianfranco Colasante

Partita ieri da Bolzano l'operazione PyeongChang 2018, come a dire la presentazione della squadra italiana per i Giochi della XXIII Olimpiade Invernale. Visto che da tempo il CONI di Giovannino Malagò - alla vigilia del suo secondo mandato - si è convertito all'inglese nella comunicazione, si è trattato di abbozzare l'ITALIA TEAM. Trentanove gli atleti già iscritti al Club Olimpico al termine di una delle più deludenti stagioni che si ricordi per il nostro sport invernale. Fatte 102 le gare olimpiche che ci attendono in Corea, a scorrere i risultati dei Mondiali corrispettivi svoltisi negli scorsi mesi, non c'è da stare molto allegri. Le medaglie azzurre, sulle 270 assegnate, sono state solo 6, un oro e un argento di Pellegrino e le altre di bronzo.

A soffermarsi proprio sui Mondiali 2016-17, traiamo una classifica da uno studio canadese firmato da Mike Christie. Al primo posto si colloca la Germania con 34 medaglie, la metà esatta d'oro. Seguono gli Stati Uniti e il Canada con 24 (ma rispettivamente con 12 e 5 ori), la Francia con 22 (e 5 ori), poi Austria e Olanda con 18, Norvegia 16, Giappone 15, Svizzera e Federazione Russa con 14. Noi molto più in basso, ci collochiamo al 19° posto sui 29 paesi saliti almeno una volta sul podio.
  
A ben guardare, al di là delle manifestazioni di ottimismo elargite a piene mani da Malagò e dal capo-missione Carlo Mornati - che sta studiando da segretario generale del CONI -, di atleti da medaglie olimpiche ne abbiamo pochini assai. Tanto per sbilanciarci, parliamo solo di Sofia Goggia nello sci alpino e di Arianna Fontana nello short track. Per tutti gli altri, compreso Federico Pellegrino, ci vorrà una buona dose di fortuna. E tanto per restare con i piedi per terra (lo slogan adottato per Rio 2016), ai Giochi Invernali siamo sempre fermi alla sola medaglia d'oro vinta un po' casualmente da Giuliano Razzoli a ... Vancouver 2010. Ripartiamo quindi dagli "zero tituli" di Sochi 2014 e speriamo in bene.

Lo sport invernale in Italia, come è noto, nella sua interezza è gestito da due sole federazioni. Come avveniva più o meno un secolo fa. Ma da allora, e specie negli ultimi tempi, i programmi olimpici hanno avuto una enorme accelerazione aprendosi a discipline che semplicemente non c'erano pochi anni addietro. Un dinamismo che avrebbe dovuto consigliare riforme organizzative, in linea con le federazioni internazionali. Si è preferito lasciare tutto com'era, all'insegna dell'accentramento. Già subito dopo Torino 2006 si era visto che le strutture non erano adeguate neppure sul piano tecnico, come sta a dimostrate la non risolta crisi della FISI. Vedremo se dopo PyeonghChang cambierà qualcosa.

Ultima osservazione sulla comunicazione di questa operazione, costata per ora quasi 40 milioni di euro. Con la tendenza perversa ad assimilare lo sport olimpico ad una faccenda di marketing (ricordate Snoopy testimonial della squadra di Rio 2016 che avrebbe dovuto produrre milioni di euro?), al CONI ci sono ricascati di nuovo. Il "prodotto" - come ha detto Malagò - è stato lanciato con lo slogan - meglio, il claim, of-course - "L'incredibile non è impossibile. Fuoco sul ghiaccio" ...

Peccato che a PyeongChang le gare su ghiaccio saranno meno di un terzo di quelle complessive. Già in partenza una limitazione, tanto più che da Hockey e Curling siamo già esclusi. Ma forse ai nuovi comunicatori del CONI non l'aveva detto nessuno.