I sentieri di Cimbricus / Un popolo di fieri esploratori

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Sabato 17 Settembre 2022

 

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Tra i pochi paesi dalle ombre lunghe, la Norvegia ha legami particolari e antichi con lo sport in genere, di più con le discipline invernali che domina da sempre. Ma ha scritto pagine di grande storia abbattendo molte barriere in atletica.

Giorgio Cimbrico 

Nato in una città che adora lo stoccafisso sino ad accoppiarlo con una buona bottiglia di Barbaresco, so da sempre che i migliori sono norvegesi. Anche i campioni, prodotti da un paese che non tocca i 5 milioni e mezzo di abitanti e ha la forma di un magro prosciutto: un lungo osso, montagnoso e frastagliato (vedi alla voce “Fiordi”), e un po’ di “polpa” a sud. 

L’altro giorno Pep Guardiola ha paragonato l’ultimo gol di Erling Haaland a uno memorabile di Johan Cruijff in azulgrana: una spaccata volante con alto coefficiente di difficoltà. La sovrapposizione delle immagini conferma il giudizio dell’allenatore del City che con questo magnifico ragazzo torna ad avere chances di tornare a mettere le mani su una coppa dei Campioni che gli manca dal tempo del Barcellona. 

Haaland è un millennial (l’annata è il 2000), è nato a Leeds dove il padre svolgeva il suo onesto lavoro di giocatore nello United. In Norvegia ha fatto la trafila (Bryne, Molde), poi è andato a Salisburgo e ha dato inizio alla sua marcia: 16 gol in 17 partite. Ceduto al Dortmund ha tenuto la media (62 in 67) e dopo l’arrivo per una settantina di milioni di sterline a Manchester – quello azzurrino, non quello rosso – ha dato un’accelerata, 10 in 6: dopo lunghi e approfonditi studi tattici, Guardiola si sta accorgendo che avere un vero centravanti può portare buoni frutti. 

E’ diventato il più giovane attaccante della storia (22 anni e un mese) ad aver segnato 25 gol in Champions e alla nazionale di re Harald V ha fornito il contributo di 20 gol in 21 match, con un’espugnazione di Stoccolma a lungo attesa. Erling è molto alto, 1,94, ma si muove con grande disinvoltura. E’ anche molto biondo e porta i capelli raccolti in uno chignon. Avrebbe un posto assicurato in qualche saga a puntate. 

Secondo una storia che si perde nelle nebbie del tempo e nelle dure navigazioni sui drakkar, i norvegesi sono sempre stati esploratori. Lo sono anche i suoi campioni, di ieri e di oggi. 

Sonja Henie, prima e unica ad aver collezionato tre titoli olimpici di seguito nel pattinaggio di figura, che ai suoi tempi – e anche ai nostri – si chiamava artistico; Hjalmare Andersen, dominatore (tre titoli) ai Giochi di Oslo 1952 sulla pista ghiacciata del Bislett e destinatario, nei pressi del parco Vigeland, di un magnifico bassorilievo in bronzo. 

Passando alle barriere e ai confini: primo sotto i 2’20” nei 1000 metri Audun Boysen (andò sotto anche al leggendario record di Rudolf Harbig, un peccato che Roger Moens lo precedette di due decimi: 1’45”7 a 1’45”9 nell’agosto ‘55); primo a spedire un giavellotto oltre i 90 metri, non un finlandese, ma un norvegese, Terye Pedersen, 91.72 al Bislett nel ’64; prima sotto i 15’ e sotto i 31’ Ingrid Kristiansen, con progressi successivi che la portarono nei pressi dei trenta minuti; prima sotto le 2h30” e sotto le 2h25” Grete Waitz che vinse nove volte la Maratona di New York e che su quelle strade volle dare l’addio prima che il cancro finisse la sua opera spietata; primo minorenne a conquistare due titoli europei nello spazio di 24 ore, Jakob Ingebrigtsen che la nobile accoppiata 1500/5000 realizzò nel 2018 a Berlino a 17 anni e 11 mesi, per ripetersi, da campione olimpico e mondiale, il mese scorso a Monaco di Baviera. Jakob da Sandnes, prodotto finale di una famiglia di corridori, è il giovanotto, a volte un po’ arrogante, che sa mettere in fila gli africani grazie a un’uniformità di ritmo che stronca, ... 

Norvegese anche una primogenitura che ha dello spaventoso, paragonabile solo al volo di Bob Beamon: 45”94 di Karsten Warholm nella finale olimpica di Tokyo dove scendendo sotto il record olimpico di Kevin Young si poteva conquistare solo la medaglia di bronzo, come è capitato al fachiresco brasiiiano Alison dos Santos. Warhom da Ulsteinvik, regione del Westerland, quello che tira urla guerriere e si tempesta di schiaffoni, verrà ricordato come il campione che, a partire da cinque anni fa, ha posto fine a un’arida stagione dei 400H. Grazie a lui, molti hanno trovato l’ispirazione che sembrava smarrita.  

E un posto deve esser scovato anche per Vebjörn Rodal che, sino alla meraviglia preparata e offerta da David Rudisha dieci anni fa a Londra, era diventato campione olimpico degli 800 nel più veloce tempo registrato in una finale corsa da tutti con ferocia e ambizione, 1’42”58 lui, 1’42”74 il sudafricano Hezekiel Sepeng, 1’42”79 il kenyano Fred Onyancha, 1’42”85 il cubano Norberto Tellez che privò Alberto Juantorena del record nazionale ma senza andare sul podio.

La Norvegia ha vinto il medagliere ai Giochi di Pechino 2022 (37 medaglie, 16 d’oro) e nell’inverno scorso ha raccolto oltre cento successi in gare di Coppa del Mondo. Non è la prima volta che capita e non sarà l’ultima.