I sentieri di Cimbricus / Almeno il calcio ha perso l'ipocrisia

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Martedì 20 Aprile 2021

 

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La Superlega ha fagocitato tutto: lontani da visioni apocalittiche che mal si adattano alla vicenda, non resta che esaminare quel che sta succedendo.

Giorgio Cimbrico

Pandemia? Volata via; della campagna nessun si lagna; il vaccino non è più così vicino. Oggi l’unico argomento su cui intervengono Letta e Salvini, Draghi e Boris Johnson, il principe William, Ceferin, Infantino, Florentino Perez, Guardiola, Pirlo, Klopp, etc etc è la Superlega della “dirty dozen”, la sporca dozzina che potrebbe diventare una quindicina, una ventina, per formare le due conference necessarie ad allungare il brodo di questa eterna e stucchevole All Stars che elimina partite inutili tipo Juventus-Benevento 0-1.

“Uccidete il calcio”. “No, lo state uccidendo voi”, “Noi salveremo il calcio”, “No, lo salveremo noi”, è il match di ping pong giocato tra strutture, che sono anche centri di potere e consigli di amministrazione, e i rivoltosi. Quelli che amano il calcio assistono, appendono striscioni: in Inghilterra, Rip (riposi in pace) e Shame, vergogna, non sono slogan, solo sigilli.

C’è un aspetto positivo: da un paio di giorni il calcio ha perso le sue ipocrisie, parla chiaro, spara bordate in una battaglia navale senza esclusione di colpi, di accuse, di attacchi personali (si è capito che l’opinione di Ceferin su Andrea Agnelli non vola nell’empireo), di minacce che configurano una Coppa dei Campioni già vinta dal Paris St-Germain (se non passerà da una trincea all’altra) e una finale di Coppa UEFA (ho mantenuto le vecchie denominazioni) tra Roma e Villareal.

Lontani da visioni apocalittiche che mal si adattano alla vicenda (c’è roba più seria, lo sappiamo), non resta che provare ad esaminare quel che sta succedendo. In realtà sono sufficienti poche parole: naturale evoluzione di un capitalismo sfrenato che prevede la nascita di una corporazione, svincolata da regole, merito sportivo, imprevedibilità (da sempre uno dei cavalli di battaglia del calcio), un “cartello” sostenuto finanziariamente da una potentissima banca che dopo aver molto dato, pretenderà risultati. I grandi club, molti dal bilancio rosso fuoco, sono stati comprati, si sono venduti?

Senza tanti squilli, nei mesi scorsi è capitato nel rugby: la CVC, fondo d’investimento americano già attivo in F1, ha acquistato il 14% del campionato inglese e il 14% del 6 Nazioni investendo una cifra attorno agli 800 milioni di euro. CVC non è uno sponsor, è una “presenza”, è una componente. Tra qualche anno chiederà conto, interverrà decisamente sulle linee guida: marketing, diritti TV, vendita di immagini o micro-pacchetti che prevederanno un ingresso sempre più esteso in quelli che vengono chiamati dispositivi e si stanno trasformando in protesi per l’uomo del XXI secolo. Un’informazione, si fa per dire, breve e fulminea, spettacolare. Lo sport sta diventando una highlight. Lo è già.

Con il calcio tutto questo scenario va moltiplicato e anabolizzato per dieci, per venti, per cinquanta, nel segno di quella che non può, per decenza, esser chiamata rivoluzione. Una sedizione, un tentativo di presa di potere, ben sostenuta da padroni senza volto che prendono le decisioni vere, quelle che stroncano il passato, cancellano in un attimo la memoria, obbligano a vivere in un eterno e vano presente, promettono e vendono a caro prezzo balocchi e fuggevoli ombre di cui non si può e non si potrà fare a meno.

La rivoluzione, quella vera, può esser compito di un governo mondiale e europeo che dopo aver provato a mostrare i denti, ora dovrà anche mordere, e soprattutto della gente che davanti a questo piano, a questa strategia può rispondere con un paio di armi pericolose: il silenzio e il disinteresse.

“Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più”, urlava e faceva urlare Peter Finch in “Quinto Potere” e quello sdegno isterico e artificioso alimentava la audience e lo share che stavano muovendo i primi passi. Meglio Gandhi, che filava il cotone e raccoglieva i cristalli di sale sulla battigia.