Lutto nella scherma: la scomparsa di Bruna Colombetti.
Martedì 29 luglio 2008
È deceduta a Milano, alla vigilia dei Giochi di Pechino, sabato 26 luglio. Grande interprete del fioretto – la sola arma concessa all’epoca alle donne –, tre volte campionessa italiana individuale, forniva le prestazioni più convincenti nelle prove a squadre. La prima medaglia iridata (un bronzo) l’aveva vinta a 17 anni. Si era ai “mondiali” di Bruxelles del 1953. Da allora non era più scesa dal podio, riferimento fisso delle formazioni azzurre, affiancando in pedane grandi soliste, da Irene Camber ad Antonella Ragno. Erano così arrivate, sempre a squadre, l’argento del 1954, il bronzo del ’55, l’oro del ’57 a Parigi, infine le tre medaglie di bronzo del ’62, ’63 e ’65. Bruna Colombetti era un predestinata: nipote com’era del grande maestro Colombetti, era stata impostata in pedana dall’altro grande maestro Giuseppe Mangiarotti, col quale era anche imparentata.
Giochi Olimpici di Pechino: le due facce delle medaglie azzurre
Missione compiuta? La squadra italiana (347 componenti, anche se poi in gara sono scesi in 334) da Pechino riporta a casa 28 delle 958 medaglie distribuite, otto delle quali del metallo più pregiato (quanto quelle del ragazzo bionico Michael Phelps che però le ha condite di almeno sette record mondiali), oltre a dieci d’argento e dieci di bronzo. Un bilancio sufficiente, si dovrebbe dire, con un nono posto palindromo nel medagliere, sia lo si legga in termini di medaglie d’oro, sia di medaglie complessive. C’è da essere soddisfatti con moderazione, senza per questo giustificare i toni esaltati del presidente del CONI Gianni Petrucci che, nella conferenza conclusiva, hanno suscitato qualche perplessità tra gli inviati italiani. In sede di pronostico l’autorevole Sports Illustrated ce ne attribuiva 27 con 7 ori, in controtendenza rispetto ai profeti di casa nostra come il capo-delegazione Pagnozzi che, con slancio patriottico e un po’ interessato, ne aveva indicato 44, seguito a ruota dalla Gazzetta che si fermava a 40.
Tennis / Fausto Gardini, il “Vampiro”
Giovedì, 18 settembre 2008
È stato uno dei grandi di un tennis italiano che, negli anni Cinquanta e Sessanta, reggeva bravamente il confronto col mondo anglo-sassone, ben lontano allora dagli isterismi che oggi l’hanno fatto precipitare in serie C. Apparteneva a un’epoca in cui giocavano Sergio Tacchini, Merlo, Pietrangeli, Sirola. Se ne è andato a 78 anni d’età, ucciso da un infarto. Personaggio controverso come pochi, Gardini è stato tra i primi a intendere il tennis come una professione da cui però trarre più notorietà che vantaggi. Fortissimo in singolare, quasi imbattibile in doppio. Assieme a Nicola Pietrangeli – prima dell’arrivo di Orlando Sirola – ha costituito per anni la squadra italiana di Coppa Davis, arrivando per tre volte tra il 1952 e il ’61 alla finale interzone.
Nato in una famiglia della borghesia milanese (fu il padre, che aveva fatto atletica come velocista, a trasmettergli l’interesse per lo sport), avrebbe voluto fare il calciatore, ma si trovò con la racchetta in mano già prima dei dieci anni. Si può affermare che sia stato il primo giocatore a rendere in Italia il tennis uno sport popolare. Anche per gli episodi picareschi di una accesa rivalità che lo oppose a Beppe Merlo prima, a Pietrangeli dopo. Famosa, e chiacchierata, è rimasta la sua vittoria più importante agli Internazionali del 1955 proprio contro il massiccio Merlo, costretto al ritiro dai crampi al quarto set, mentre Gardini ancora saltellava fresco e vispo.
Ciclismo / Bettini passa la mano a Ballan
Mercoledì, 1 Ottobre 2008
Ti aspetti Paolo Bettini, spunta Alessandro Ballan. Comunque sia andata, per l’Italia sono tre i titoli iridati su strada consecutivi. Tre azzurri tra i primi quattro classificati promuovono a pieni voti il “mondiale” varesino organizzato con dovizia di mezzi, anche se si è dovuto far ricorso a una provvidenziale legge dello Stato. Ma a giudicare dai riscontri sontuosi di soldi se ne sono trovati a sufficienza. Una volta tanto, però, il gioco è valso la candela a giudicare dai risultati finali. Davanti a oltre 350.000 spettatori l’Italia vince il suo diciannovesimo titolo su strada (un titolo che in casa mancava da quarant’anni, dal 1968 ad Imola, quando a vincere fu Vittorio Adorni con quasi 10’ di vantaggio sul secondo), collezionando la sua quinta doppietta.
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