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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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Benvenuti

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Nino Benvenuti [1938]
Pugilato
 

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(gfc)
Il suo “palmares” reca la cifra di 90 incontri, 82 vittoriosi dei quali 35 per ko, uno chiuso alla pari, sette soltanto persi. Nelle storie di una categoria come quella dei medi, da sempre tra le più affollate di grandi talenti, Benvenuti si colloca ai primissimi posti. Vent’anni di attività lo hanno consacrato come il migliore pugile italiano del secondo dopoguerra. Il terzo triestino, dopo Mitri e Loi, ad aver vinto un titolo iridato. Fu campione olimpico dei welter, campione d’Europa dei medi, campione del mondo dei superwelter e dei medi. 

Benvenuti è stato un pugile completo, un vincente. Sul quadrato appariva un freddo, un calcolatore; la sua boxe era razionale, quasi cinica. Ha costruito la carriera su qualità tecniche elevate, capace di colpi improvvisi e folgoranti, “uppercut” distruttivi, “ganci” sinistri fulminanti, “diretti” destri maligni e devastanti quando arrivavano. Intelligente e razionale, negli incontri sapeva sempre come comportarsi, adattandosi ad ogni avversario: studiandolo, schivandolo, ritirandosi, prima di colpire lesto come un cobra. Nei suoi tre combattimenti a New York contro Emile Griffith tenne svegli milioni di italiani che lo seguivano con grande partecipazione.

Per tutta la seconda metà degli anni Sessanta non incocciò avversari capaci di impegnarlo a fondo. Fino a che sulla sua strada non si parò il terribile argentino Monzon. Bello nel fisico, elegante sul ring e fuori, ambizioso, spavaldo, insofferente d’ogni critica, a volte indisponente, ma sempre sicuro, piacque molto alle donne e raccolse uno sterminato esercito di tifosi. Ebbe una vita privata tumultuosa, diviso tra due mogli e cinque figli. Conobbe anche una fase di profondo misticismo, quando decise di lasciare tutto per rifugiarsi in India a meditare. Ma sempre disposto a subire il richiamo e il fascino del pugilato (del quale è stato, a varie riprese, anche oculato commentatore televisivo).

Figlio di un pescivendolo, nato a Isola d’Istria il 26 aprile del 1938, Benvenuti si presentò per la prima volta nella palestra del vecchio mago Pino Culot, a Trieste, quando contava appena tredici anni e non arrivava ai 40 chili. Volevano irrobustirlo. Dopo poche settimane lo fecero salire sul ring e vinse il suo primo combattimento. Era il 1951. Vent’anni dopo, l’8 maggio del 1971, a Monte Carlo, sarebbe stato annientato al terzo round dal feroce guerriero Monzon. Tra queste due date si snoda una storia pugilistica incredibile. Tra mezzo c’era stato il titolo olimpico al limite dei 67 chili vinto al Palazzo dello Sport di Roma, punta di diamante della eccezionale compagine dilettantistica allestita da Natalino Rea. Il punto più alto della sua carriera fu toccato nella notte del 17 aprile 1967 quando, sul mitico ring del Madison Square Garden, al quarto round, mandò al tappeto Griffith, piccolo e scattante negro delle Isole Vergini, strappandogli la corona iridata dei medi. Aveva quasi trent’anni ed era il secondo pugile italiano a laurearsi campione del mondo in America, trentaquattro anni dopo Primo Carnera. Quella notte la voce arrochita di Paolo Valenti, che raccontava l’impresa alla radio, tenne svegli tutti in Italia.

Benvenuti era arrivato alla sfida di New York passando per il titolo mondiale dei superwelter o medi junior, categoria artefatta, quest’ultima, creata dal proliferare bastardo delle sigle del pugilato, battendo due volte di seguito, prima a Roma e poi a Milano, Sandro Mazzinghi, che fu il suo più degno rivale italiano. Aveva vinto 65 combattimenti consecutivi prima di conoscere la sconfitta nel caldo umido di Seul contro il coreano Kim Ki-Soo (lo stesso sconosciuto che aveva battuto, agli Ottavi, ai Giochi romani) del quale, curiosamente, proprio Mazzinghi lo avrebbe vendicato due anni più tardi. Coraggiosamente, ma anche contro ogni logica e calcolo, se ne andò negli Stati Uniti a cercare gloria nella ben più nobile categoria dei 72 chili.

Il 29 settembre di quello stesso 1967, dopo mesi trascorsi più al night che in palestra, allo Shea Stadium concesse la rivincita a Griffith e gli restituì il titolo iridato. Una sconfitta ai punti che lo fece piangere e fece molto recriminare. Anche se pochi ricordavano che Nino aveva combattuto con uno stiramento muscolare sul lato sinistro dello sterno. Ma sognava e voleva la rivincita e caparbiamente se la prese il 4 marzo del 1968 tornando sul trono mondiale. Una posizione che difese più volte dagli assalti successivi di Don Fullmer, Fraser Scott, Manuel Rodriguez, Tom Bethea. Per la quinta difesa il suo manager Bruno Amaduzzi gli propose Carlos Monzon, un semisconosciuto indio argentino di Santa Fè, di quattro anni più giovane. L’incontro ebbe luogo a Roma il 7 novembre 1970: nell’occasione Monzon scatenò tutta la sua terrificante potenza spedendolo al tappeto alla dodicesima ripresa.

Una punizione che pose praticamente fine alla lunga epopea di Benvenuti, chiudendo per sempre il periodo più luminoso e popolare del pugilato italiano. Quando la boxe disputava più al ciclismo che al calcio l’affetto della gente.

(revisione: 14 Marzo 2012)
 

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