Carnera
© www.sportolimpico.it / BiografiePrimo Carnera [1906-1967]
Pugilato
(gfc) Ring del Garden Bowl, a Long Island: 29 giugno 1933. Davanti a 40.000 spettatori era in palio il titolo mondiale dei pesi massimi. Di fronte il detentore, il trentunenne Jack Sharkey, e lo sfidante, il ventisettenne Primo Carnera, che affrontava l’americano dopo 82 combattimenti, 60 dei quali vinti per ko. Il combattimento fu durissimo. Alla devastante potenza dell’italiano, Sharkey oppose un mestiere più smaliziato che gli consentì però di resistere solo fino alla sesta ripresa. Poderosi destri e rapidi sinistri di Carnera non concessero tregua al campione: Sharkey indietreggiò, cadde una prima volta, accusò due violenti colpi al capo, poi due destri poderosi al corpo, quindi un terrificante uppercut alla mascella che lo spedì definitivamente al tappeto. Venne contato, ma si riprese solo dopo alcuni minuti. Primo Carnera vinse per ko e divenne campione del mondo dei massimi. “Ho vinto per l’Italia e per il Duce”, dichiarò all’United Press. Dei 59.000 dollari della borsa ne incassò solo 360.
Carnera era nato a Sequals, in provincia di Udine, il 26 ottobre del 1906. Un vero gigante, alto 2 metri e 4 centimetri, al tempo del suo maggior fulgore pesava 115 chili. Il suo torace misurava centoventidue centimetri. Di famiglia poverissima, dopo aver frequentato al suo paese la quarta elementare andò a lavorare in Francia. Prima come boscaiolo, poi ingaggiato da un circo per numeri di forza. A 22 anni, mentre trasportava da solo un pianoforte, venne visto dall’ex-pugile francese Paul Journée che lo convinse a salire sul ring e a debuttare tra i professionisti.
Completamente digiuno di tecnica pugilistica, la sua forza gli consentì di vincere prima del limite 16 dei 17 incontri iniziali. Notato da un organizzatore legato al “boss” newyorkese Bill “Broadway” Duffy, gli venne offerta alla fine del 1929 l’opportunità di andare negli Stati Uniti e di entrare così, inconsciamente, nel giro del malfamato sindacato della boxe americana. Attorno al suo nome venne architettata una vera campagna pubblicitaria, con incontri addomesticati contro pugili alla fine della carriera o quasi: tra il dicembre 1929 e il settembre 1930 collezionò ben ventisette vittorie consecutive, tutte per k.o. Ma intanto la sua boxe si faceva sempre più precisa, la tecnica si affinava, la potenza cresceva, l’azione si velocizzava (per farlo frequentò anche una scuola di ballo). Divenne una poderosa macchina di muscoli, il suo sinistro un jab perfetto, il suo destro un uppercut terribile.
Alla fine del 1930 cominciò la seconda fase della sua carriera, quello del pugilato vero. Dopo aver battuto ai punti a Barcellona il popolare Paulino Uzcudum, ritornò negli Stati Uniti e viene sconfitto da Sharkey in 15 drammatiche riprese. Il 1933 fu il suo anno di grazia: in America era un idolo, in Italia un simbolo. Sconfisse per kot Ernie Schaaf che si spense tre giorni dopo senza aver ripreso conoscenza. Quindi, dopo la vittoria su Sharkey per il mondiale, in un trionfale combattimento a Roma, il 22 ottobre a Piazza di Siena, batté ancora Uzcudum e conquistò il titolo europeo. Restò campione del mondo per poco meno di un anno, fino al 14 giugno 1934, quando la corona gli venne strappata da Max Bear con un k.o.t. all’undicesima ripresa.
Da quel momento iniziò il suo declino. I suoi incontri facevano sempre meno notizia fino a che, nel 1937, abbandonò il pugilato. Aveva combattuto 103 match, vincendone 69 per ko, 17 ai punti, 2 per ferita. Dopo la guerra, tornato negli Stati Uniti, tentò inutilmente la sorte in una breve stagione nel catch. Poi si stabilì a Westwood, un sobborgo di Los Angeles, dove gestì un negozio di liquori fino all’immediata vigilia della sua morte, avvenuta a Sequals, il 26 giugno del 1967, per una forma acuta di cirrosi.
(revisione: 1° Luglio 2014)
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