- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Ganna

PDFPrintE-mail

© www.sportolimpico.it / Biografie


Luigi Ganna [1882-1957]

Ciclismo

 

(gfc) Il suo nome resta legato alla vittoria nel primo Giro d’Italia. La grande avventura che prese il via alle tre di notte del 13 maggio 1909: partenza dal Rondò di Loreto, là dove un tempo crescevano gli alberi d’alloro, in fondo allo stradone per Monza, che ora è diventato il Corso Buenos Aires, appena fuori dalla barriera daziaria di Porta Renza, che oggi si chiama Porta Venezia. Quella prima edizione del Giro, realizzata in pochi mesi da Armando Cougnet, era nata da un’intuizione ardita di Tullo Morgagni che aveva soffiato al Corriere della Sera l’idea di una grande corsa nazionale, sul tipo di quella che già da sei anni si disputava in Francia. Dietro c’erano anche una competizione tra diverse case della nascente industria legate alla biciclette, ma a noi interessa solo l’aspetto sportivo della storia. 

Secondo quando ha raccontato proprio Cougnet, questo fu il certificato di nascita del Giro: “Improrogabili necessità obbligano Gazzetta lanciare subito Giro d’Italia. Ritorna Milano. Tullo.” Questo il testo del laconico telegramma che il 5 agosto 1908 veniva spedito da Tullo Morgagni contemporaneamente a Venezia, ove mi trovavo per affari, ed a Mondovì ove Costamagna stava villeggiando. Il giorno dopo Costamagna ed io ci trovammo in Via della Signora n. 2 sede del nostro giornale.

Cosa era accaduto? Semplice: l’amico Angelo Gatti, fondatore e comproprietario con Pellini della nuova marca di cicli Atala era venuto a sapere che il Corriere della Sera, nell’intenzione di ripetere il successo del Giro d’Italia Automobilistico, desiderava lanciare con il Touring Club Italiano e la Bianchi il Giro d’Italia Ciclistico sulla traccia del Giro di Francia. [...] È bene sapere che Morgagni benché più giovane di me e Costamagna era nei ‘colpi’ giornalistici più esperto di noi, così il giorno dopo il consiglio dei tre, la Gazzetta dello Sport il 7 agosto 1908 annunciava con un vistoso titolo su sette colonne l’organizzazione del Giro per il 1909. Il Giro era nato!”

Armando Cougnet, che a quel tempo non aveva ancora trent’anni, della giovane Gazzetta era l’oculato (e preoccupato) amministratore, prima ancora che redattore per il ciclismo. Gli altri due padrini, il massiccio piemontese Eugenio Camillo Costamagna e il minuto romagnolo Tullo Morgagni, ne erano rispettivamente direttore e redattore capo: stipendio mensile 150 lire per il primo, 120 per il secondo. Nella fretta di rubare l’idea alla Bianchi ed al Corriere, i tre s’erano fatti prendere dall’entusiasmo e avevano lanciato la corsa senza averne prima messo a posto i risvolti finanziari. Le condizioni di cassa della “rosea”, come Cougnet ricordava senza alcun pudore, non erano proprio splendide: “[...] non sempre avevamo i soldi per pagare al sabato la tipografia. Per il Giro è proprio il caso di ripetere quanto scrivevamo nei compiti delle scuole elementari: figlio di poveri, ma onesti genitori”.

Pur nelle ristrettezze di cassa del momento, la corsa prevedeva una classifica a punti con un montepremi complessivo di 25.000 lire (3000 lire, in un soprassalto di dignità e senza rancore, le aveva offerte proprio il Corriere), una bella sommetta per quei tempi, in grado di sollecitare molte ambizioni. Suadente miraggio finale per i 127 ardimentosi che si ritrovarono alla partenza. I 2408 chilometri e 300 metri complessivi erano suddivisi in otto tappe: tanto per gradire, si cominciava con l’antipasto di una Milano-Bologna di ben 397 chilometri, si proseguiva poi a toccare Chieti, Napoli, Roma, Firenze, Genova, Torino e infine si tornava a Milano, dopo 17 giorni di corsa, ventiquattr’ore di riposo dopo ogni tappa. Tappe lunghissime ed estenuanti, con partenze date prima dell’alba, su strade bianche impossibili e con rifornimenti (quando pure c’erano) improvvisati. 

Il favorito della vigilia era il francese Petit Breton (che per la verità era argentino di nascita e si chiamava Luciano Mazan), ch’era stato il trionfatore dell’ultimo Tour; ma la gente, passionalmente, teneva per il corridore-operaio Carlo Galetti che era nativo di Corsico (“temibile e temuto scoiattolo delle grandi occasioni” …) e per Giovanni Gerbi, il “diavolo rosso” che, però, era rovinosamente caduto alla partenza e aveva dovuto aspettare tre ore perché gli riparassero la bicicletta prima di potersi lanciare all’inseguimento. Al traguardo finale del 30 maggio giunse invece primo alla media oraria di 27,260 chilometri, inatteso dai più, il taciturno Luigi Ganna, un muratore nativo del varesotto. 

Con la vittoria nella tappa di Roma, Ganna era balzato in testa alla classifica e vi era rimasto fino alla fine, vincendo anche a Firenze e a Torino. Se l’era vista davvero brutta solo nell’ultima frazione, quando aveva forato due volte e solo la provvidenziale chiusura di un passaggio a livello e il cipiglio del custode aveva frenato la rincorsa di Galetti e degli altri. Le fasi concitate dell’ultima tappa, quando ancora ogni epilogo appariva possibile, le possiamo rivivere nella stringata cronaca - quasi in distici - lasciataci da Costamagna. L’incertezza s’accrebbe quando si sparse la voce di una foratura di Ganna capitata all’attraversamento di Borgomanero:

   ”[…] Quella gomma stupidamente sgonfiata può costare una vittoria gloriosissima, una piccola posizione finanziaria al povero Ganna che ha saputo così degnamente meritarsela.
   Quanta trepidazione per quel miserabile budello sgonfiato! […]
   Seguiamo il gruppo fuggente.
   Non so perché ma noi sentiamo che Ganna arriva.
   Ad onta del passo velocissimo a noi sembra sentire che Ganna avvantaggia.
   Ci sembra di vederlo ballonzolare la forte persona col suo passo poderoso, pesante di montanaro che non appare veloce ma avanza, avanza sempre, vantaggiando sugli inutili scatti nervosi degli avversari.
   La lotta in questo momento è terribile e durissima per varesino.
   Molte vetture automobili importune si sono ficcate fra i due gruppi polverosi.
   Passiamo Gallarate. Al passaggio a livello di Busto Arsizio i corridori trovandolo chiuso sono obbligati a scavalcare. […]
   Ad un ultimo passaggio a livello, dove ci fermiamo per una seconda volta, ci avvertono che Ganna, avvantaggiato dalla chiusura e dall’impedimento del cantoniere che non ha permesso ai primi di scavalcare il cancello, ha raggiunto il gruppo di testa.
   All’Arena fra il delirio della folla immensa assistiamo al triplice trionfo.
   Ganna primo della classifica generale.
   Galetti secondo.
   Beni primo della tappa Torino-Milano.
   L’epica lotta è compiuta”.

Una folla strabocchevole ed entusiasta, accalcandosi sul prato dell’Arena napoleonica dov’era fissato l’arrivo, tributò davvero un trionfo al vincitore. Anche l’aristocratica Illustrazione Italiana, perdendo il consueto controllo, aveva raccontato con enfasi le emozioni di quel pomeriggio ai suoi compassati lettori: “Ganna è il trionfatore!... Centomila persone accorsero ad aspettarlo, per vederlo, per acclamarlo; … è un fatto che se domenica scorsa anche Guglielmo Marconi in persona fosse stato all’Arena di Milano, pochi certo avrebbero badato a lui, il cui nome non morrà e le cronache dei giornali cittadini avrebbero registrato: ‘C’era anche Marconi!’ per accrescere la gloria di Ganna! …”

Ganna si prendeva così una clamorosa rivincita sull’uomo-cronometro Galetti che due anni prima, siamo nell’ottobre del 1907, l’aveva battuto nella prima corsa a tappe svoltasi in Italia, il Giro di Sicilia disputato anch’esso con otto lunghe frazioni su strade quasi sconosciute. Una rivalità, quella tra i due, che fece epoca. Al tempo della vittoria nell’edizione inaugurale del Giro, Ganna – sulla maglietta portava il nome della “Atala” – aveva 27 anni. Era d’alta statura e possedeva una muscolatura potente, un fisico che s’era costruito sollevando e trasportando pile di mattoni all’aria aperta, spalle larghe, torace ampio e con quelle cosce muscolose pareva tagliato apposta per le dure pedivelle in uso in quei primi anni del secolo. Quando la bicicletta era ancora il “cavallo d’acciaio” e le strade sterrate su cui lanciarla avevano il più delle volte tracciati approssimativi. L’unico tocco di frivolezza glielo conferivano un paio di curati baffi alla Menjou.

Quella eccellente stagione 1909 restò la più soddisfacente della carriera. Poche settimane prima della vittoria al Giro, che gli aveva fruttato la bella somma di 5325 lire (e altre 15.000 che, stando ai si dice, gli erano state offerte per strapparlo all’Atala), aveva trionfato nella più bella corsa italiana, quella Milano-Sanremo sempre così avara con i corridori italiani. In una decina d’anni d’attività, Ganna riportò una trentina di gare su strada, anche se non gli andò mai giù non aver potuto vincere il prestigioso Giro della Lombardia (ancora oggi la “classica” che chiude la stagione internazionale), sulle strade di casa, nel quale collezionò solo due secondi posti.

Chiuse definitivamente l’attività nel 1912 con un memorabile trionfo nella Gran Fondo di 600 chilometri da Milano a Torino. Ma non rimase disoccupato. Ritiratosi dalle corse, messa su famiglia, seppe mettere a frutto, con grande profitto, la sua esperienza (e il discreto capitale accumulato) avviando col proprio nome, nel 1912, una fortunata industria di biciclette (ma anche di motociclette di piccola cilindrata). Fece in tempo a vedere una bici che portava il suo nome vincere, con Fiorenzo Magni in sella, il Giro d’Italia del 1951.

“Luison” si spense a Varese il 2 ottobre del 1957.

(revisione: 30 Giugno 2014)
 

Cerca