Duribanchi / Quello che conta e' sempre il risultato
Martedì 7 Ottobre 2025
“Se Milano non ‘ricorda’, se rifiuta di ‘ricordare’, non sarà più Milano. Sarà una metropoli, con sempre maggiori turisti, sempre nuove attrazioni: costosa e inaccessibile a chi campa a reddito fisso. Semplicemente non sarà più Milano.”
Andrea Bosco
Ha scritto Giannino Della Frattina sul Giornale che quella di Beppe Sala per la demolizione del Meazza ottenuta in Consiglio Comunale è stata “una vittoria di Pirro”. Nel 279 a.C. Pirro, re dell'Epiro, vinse due battaglie. Ma le sue perdite furono talmente ingenti da fargli affermare: “un'altra vittoria come questa e saremo perduti”. Cosa che avvenne.
Beppe Sala ha ottenuto il via libera per la demolizione del Meazza grazie all'“aiuto” di Forza Italia i cui consiglieri sono usciti al momento della votazione dall'aula consentendo alla giunta ecologista-progressista di Sala di raggiungere i voti necessari per far passare il provvedimento. Letizia Moratti ex sindaco di Milano e numero uno di Forza Italia nella metropoli meneghina, ha spiegato che “pur non condividendo né i contenuti, né l'iter consiliare con il quale si era giunti alla votazione, per il bene di Milano, per non bloccarne lo sviluppo, Forza Italia aveva deciso di uscire dall'aula“. Dopo la votazione ha spiegato Sala: “Potrò sembrare cinico ma quello che conta in certi casi è il risultato“.
Pellicola da riavvolgere. Beppe Sala, manager affermato, prima dell'Expo (ottenuto grazie soprattutto all'impegno economico-politico di Letizia Moratti, allora primo cittadino) viene “suggerito“ all'ex presidente della RAI da Silvio Berlusconi. E' un sodalizio, quello Moratti-Sala, ottimati meneghini, che va al di là delle divisioni politiche. Aiutando Sala (e ovviamente Milano, già martoriata dagli scandali edilizi per la disperazione di 4500 famiglie ancora in attesa di sapere se mai avranno la casa per la quale avevano investito i propri risparmi) Moratti ha “stirato“ i panni inzaccherati del sindaco.
La “vittoria di Pirro“ (Verdi, 5 Stelle, persino il leader della lista che porta il nome del sindaco hanno votato contro il provvedimento) forse non dimostra – come ha scritto Della Frattina – che “a Milano la sinistra non è in grado di governare“. Dimostra però che a Milano, nel suo secondo mandato, Beppe Sala (tra fondamentalismi green e latitanza nella cura della città) sta governando male. Con il nervo scoperto dell'edilizia e dell'urbanistica: scempi che difficilmente il suo successore potrà sanare. Il verde Monguzzi (storico ambientalista) ha abbandonato la Giunta. Altri due consiglieri del partito di Bonelli potrebbero seguirlo. Sala ostenta fiducia. Magari sperando che la stampella offerta da Letizia Moratti possa diventare una gamba “stabile“.
Ma se ad Atene si piange, non è che a Sparta ci sia gran voglia di ridere. A destra infatti, Fdi, Lega e persino “Noi moderati“, hanno votato contro il provvedimento sullo stadio. Veementi le proteste della Lega anche se Salvini ha assicurato che “le cose si ricomporranno“. Infatti: il centrodestra non si spaccherà. Sovente da quelle parti fanno fumo per diversificarsi presso la pubblica opinione, salvo alla fine tracannare tutti dal medesimo fiasco.
Questo, tuttavia (gli “interessi“ di Milano da non bloccare) non giustifica l'aver accettato l'adozione del “canguro“: il taglio di 230 emendamenti nella discussone in consiglio comunale. Benché così si faccia (e sempre si è fatto) anche in Parlamento, la pratica profuma di pesante autoritarismo. Sala aveva fretta di chiudere. Perché incombeva la minaccia dei club di andarsene da Milano se il provvedimento non fosse passato. Bluff al quale Sala ha finto di credere. Milan e Inter via da Milano non sarebbero mai andate. Perché il business è a Milano, non a San Donato o a Rozzano.
Di ragioni per discutere gli emendamenti ce n'erano molte. Una soprattutto: il costo irrisorio (197 milioni) pagato dai club per avere il Meazza e l'attigua area di San Siro. Il vero “tesoro“ è lì, dove sorgeranno uffici, supermercato, parcheggi, infrastrutture. Si chiama speculazione edilizia. Sostengono quanti hanno votato per la demolizione (resterà solo uno spicchio della curva sud a testimonianza del passato) che la cosa consentirà la riqualificazione del quartiere, oggi degradato. Peccato che per farlo si sia “venduto“ alla modica cifra di 441 euro al metro quadrato. Una cosa offensiva considerati i prezzi, nel settore, a Milano. Sono 280.000 metri quadrati quelli venduti da Sala. I club potranno dedurre fino a 36 milioni di euro. E con la vendita evaporeranno i debiti contratti da Inter e Milan (20 milioni) nel corso degli anni. Ma Milano pagherà anche il mancato introito per l'affitto dello stadio che, da contratto, sarebbe scaduto nel 2030: una cosuccia da 55 milioni. Fatti i conti, La Verità ha stabilito che il “salasso“ per la città (ergo per i cittadini) tra sconti, valutazioni ridotte e mancati introiti, sarà di 220 milioni.
Non bastasse, il progetto del nuovo stadio affidato a Foster e Manica, è più misterioso dei piani per lo sbarco in Normandia. Non c'è un progetto, non c'è rendering, non c'è una tempistica, per ora. Si ipotizza che lo stadio (e annessi) potrebbe costare 800 milioni. Ho conosciuto e intervistato Norman Foster a Londra, nel suo incredibile atelier sul Tamigi: archistar che ha riqualificato mezza Londra. Ma anche i geni possono produrre, a volte, spiacevoli sorprese. A Bilbao l'astronave di Frank Gehry, per dire, dopo qualche anno abbisognò di massicci interventi, perché i pannelli dell'Ufo si ossidavano e si staccavano.
Comunque Sala si è rivelato un pessimo pokerista a differenza di Marotta e Scaroni, più abili di Cincinnati Kid. Tra l'altro i club hanno ottenuto di pararsi il fondoschiena con una clausola che li salverà da eventuali ricorsi per (altrettanto eventuali) infiltrazioni mafiose nelle ditte chiamate a costruire il nuovo Meazza. Che così non si chiamerà, considerato che porterà il nome (come usa ormai nel calcio) dello sponsor che offrirà di più. Sono “danè“, dicono a Milano.
Il vecchio bisonte di San Siro (dove causa copertura inadatta l'erba non si manteneva) avrebbe avuto bisogno di un pesante maquillage, indubbiamente. Ma un restauro secco non attirava i fondi speculativi che gestiscono Inter e Milan. E si può comprendere: no business, no party, per dirla col vecchio George. Tuttavia, e non voglio ripetermi, cancellare la storia di San Siro, diventato Meazza, sarà una ferita (con polemiche che si perpetueranno almeno fino al 2034, data ipotizzata di fine lavori) non si rimarginerà. E non tanto per quei campioni di Inter e Milan che hanno fatto la storia del calcio mondiale e che in quello stadio hanno giocato. E neppure per lo “spegnimento“ delle “luci“ cantate dal professor Roberto Vecchioni. Ma per la perdita di identità che progressivamente Milano ha accettato.
Se Milano non “ricorda“, se rifiuta di “ricordare“, non sarà più Milano. Sarà una metropoli, con sempre maggiori turisti, sempre nuove attrazioni: costosa e inaccessibile a chi campa con reddito fisso. Semplicemente non sarà più Milano. E moltiplicherà i casi (anche odiosi) di smemoratezza. Come quello denunciato sulle pagine milanesi del Corriere della Sera da Monica Fumagalli Illiprandi e da Giangiacomo Schiavi che cura la rubrica delle lettere. Giancarlo Illiprandi inventò, come ha scritto Schiavi, “un mestiere che non c'era: quello dell'art director“.
L'etica nel design con Bruno Munari, Intra, Jannacci, il manifesto del Derby. E poi la scuola con Max Huber e Albe Steiner, quella di Brera, quel ritrovo memorabile, il “Jamaica“, Mulas, Dondero, Castaldi, Carlo Orsi. La scuola della Rinascente, dove un giovane Giorgio Armani allestiva le storiche vetrine. Milano ormai dimentica in fretta. E allora Illiprandi – che faceva le copertine per Esquire, che disegnava la cucina Rossana (esposta al Moma), che inventò con Bob Norda il lettering, che ottenne due “Compassi d'Oro“ e ha lasciato una casa museo in Via Vallazze che la sua compagna Monica cura con dedizione (ultima impresa la mostra antologica all'Adi Design Museum), che ti portava nella natura quando parlava dei suoi viaggi tra “gli uomini blu“ del Sahara ritratti in disegni e acquarelli pieni (quelle donne africane sensuali e splendide) di poesia e vitalità – non trova posto al Famedio dove riposano i migliori che hanno contribuito alla grandezza di Milano.
Monica Fumagalli per due volte ne ha chiesto l'iscrizione, ma le è stata rifiutata. Anche per i defunti vale l'amichettismo dei circoletti: nell'editoria, nel cinema, nel teatro, nella musica. Modalità (disgustosa) presente ad ogni latitudine. In Italia: purtroppo anche a Milano. Se non sei dei “loro“, non esisti. Bruno Munari spiegava che “quel che resta di te è quello che fai per gli altri“. Giancarlo Illiprandi ha fatto tantissimo per gli altri e per la sua città. Non gli serve il Famedio (benché lo strameriti) per essere rammentato. Sono “loro“, (mediocri investiti di effimero potere) destinati, come scriveva Orazio nelle Odi, a “polvere e ombra“.
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