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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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I sentieri di Cimbricus / Amarcord sulla Scala del calcio

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Giovedì 2 Ottobre 2025

 

san siro-1980 


“San Siro è stato una biblioteca di Babele, e pochi hanno imparato a chiamarlo con il nome che gli avevano dato dopo che se n’era andato Giuseppe Meazza, elegante frequentatore dei bar della Galleria e capace di magnifici ghirigori”.

Giorgio Cimbrico

Dopo aver “festeggiato” il quarantesimo anniversario dell’afflosciarsi sotto la neve del Palasport, tocca ora alla liquidazione dello stadio di San Siro destinato, per dirla come Ettore Petrolini, a rinascere “più bello e più grande che pria”. La data è il 2031 e le simulazioni elaborate dal computer ne offrono un magnifico aspetto, alla Wembley.

In attesa degli eventi e delle sorti progressive non resta che premere qua e là i bottoni della macchina del tempo per un amarcord che tutto vuol essere meno che completo.


Una grossa mole grigia sul parabrise: pescando nelle visioni di Paolo Conte, e sottoponendole a mutazione cromatica, è la sensazione che prova chi si avvicina a un piazzale che, vuoto, può ricordare le piazze d’Italia di De Chirico, che diventa frenetico all’avvicinarsi del calcio d’inizio e che assorbe nel ventre dello stadio le auto dei privilegiati.


Un secolo fa, quando San Siro usciva dalla culla delle impalcature, a inaugurarlo venne chiamato un principe, Adalberto (e molti altri nomi ancora …) di Savoia-Genova e novantanove anni or sono la prima partita ufficiale finì Milan 1-Sampierdarenese 2.

Toccò a un genovese d’adozione lasciare un paio di segni profondi come i colpi che sapeva portare nello scontro ravvicinato: tra il settembre del ’60 e una fredda primavera del ’61, Duilio Loi portò allo stadio, capolinea di un vecchio tram, più di centomila tifosi. I bagarini fecero affari d’oro per le due sfide con Carlos Ortiz, il portoricano che a Milano era arrivato da campione del mondo dei welter junior e che due volte si sarebbe arreso al traguardo delle 15 riprese. Chi era finito nell’anello più alto vedeva poco ma era quel che bastava per intuire che Duilio incalzava, non dava tregua.

San Siro è stato una biblioteca di Babele, un magazzino dei mondi e pochi hanno imparato a chiamarlo con il nome che gli avevano dato dopo che se n’era andato Giuseppe Meazza, detto Bepin, detto il Balilla, elegante frequentatore dei bar della Galleria e capace di magnifici ghirigori che fecero impazzire i brasiliani a Marsiglia nel 1938.

E’ stato anche un luogo di suoni. “Ue, trombettiere, non ti ho sentito”. “Ma no, Trap, ho suonato, ho suonato”, rispondeva un po’ deluso chi anche quel giorno aveva dato fondo, imporporandosi, al suo limitato repertorio: la carica e “o mia bela madunina”. I suoni – e le luci, quelle accese da Roberto Vecchioni, – accompagnarono i Rolling Stones, Michael Jackson, Vasco Rossi, Bob Dylan, Bob Marley, Bruce Springsteen. La Scala del calcio, ma anche del rock, del pop, del reggae.

Diventato, con il passare degli anni e con l’anabolizzazione delle strutture, una grossa cassa più o meno armonica, lo stadio accompagnò nel 2009 gli assalti degli azzurri contro gli All Blacks in un pomeriggio del novembre 2009 chiuso con il più basso passivo nei rapporti con i maestri degli antipodi, 20-6, e con un dato, 81.081 spettatori, appuntato come un trofeo.

A San Siro c’era la stagione della nebbia, c’era quella del gelo che tormentava le mani e i piedi, c’era la pioggia che sapeva diventare torrenziale, come una sera di maggio del 1965 quando l’Inter di Helenio Herrera difendeva la corona che si era messa in testa un anno prima al Prater piegando un Real che mostrava tutti i segni dell’età. Avversario il Benfica di Coluna, Simoes, Josè Augusto e Eusebio, la pantera del Mozambico. Più che un prato, un acquitrino.

L’arbitro era lo svizzero Gottfried Dienst che prese la prima delle decisioni che segnarono la sua vita: si giocava. E tutto si esaurì in un tiro di Jair che saltellò di pozzanghera in pozzanghera ingannando Costa Pereira che poi si infortunò e lasciò il posto a Germano, un difensore con pochi capelli e il pizzetto che non ebbe molto lavoro. La seconda decisione che attraversò l’esistenza di Dienst e la segnò arrivò poco più di un anno dopo – il 30 luglio 1966 –, a Wembley, quando dopo aver consultato in non si sa quale lingua il guardalinee Bakramov (sovietico e azero), decretò che il gol di Geoff Hurst era buono.

Cinque anni dopo, la seconda finale di Coppa dei Campioni assegnata allo stadio realizzò il record cittadino di vendita di birra: i tifosi del Feyenoord e del Celtic non scherzavano e gli ordini prefettizi sulla vendita degli alcolici erano di là da venire.

“Lei del Milan, lui dell’Inter”, cantava Adriano Celentano a proposito dei 100.000 di San Siro. Il derby era ed è il giorno del faccia a faccia tra quelli che una volta erano i “bauscia”, gli interisti, e i “casciavit”, i milanisti. Passati tre quarti di secolo, sono pochi ormai quelli che possono ricordare la partita del record: 6 novembre 1949, 6-5 per l’Inter di Lorenzi detto Veleno, dell’apolide Stefanino Nyers che, raccontavano i vecchi, sapeva correre leggero sul fango, di Wilkes, il primo “orange” venuto in scena prima della rivoluzione del calcio totale degli anni Settanta; dall’altra parte il Milan del trio svedese Gre-No-Li. Inseguimenti, ribaltamenti, finali scritti e subito stracciati. Materiale per farci un film che farebbe impallidire “Fuga per la vittoria”.

All’origine San Siro era un neonato di normale peso, si è ingrossato con il secondo anello, ha toccato i 100.000 di capienza quando, quanto a misure di sicurezza, si andava per le spicce, è diventato XXXL con il terzo anello, ha assistito a una progressiva decadenza del bel prato da quando quella copertura ha creato un micidiale micro-clima. Jurgen Klinsmann che saltabecca trascinandosi dietro zolle e resti di tappetini erbosi è uno dei simboli di una stagione di rimpianto che può essere ritrovato in un’altra canzone di Celentano, “Il ragazzo della via Gluck”. Là dove c’era l’erba … ora c’è un cocktail di naturale e di sintetico.

E i quattro torracchioni che saranno le maxi-sentinelle della cerimonia d’apertura dell’Olimpiade invernale di Milano-Cortina 2026 – le montagne su un lontano sfondo e solo se il cielo è molto limpido – non sono mai stati una bellezza.

 

 

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