I sentieri di Cimbricus / Doppio giro, vale a dire il meglio del meglio
Sabato (notte), 20 Settembre 2025

E poi è arrivato l’800 di Tokyo e, come diceva un grande poeta irlandese, una terribile bellezza è nata e se ancora esistessero i fogli gara, quelli di carta, questo sarebbe un documento da conservare. Con gli autografi sarebbe anche meglio.
Giorgio Cimbrico
Uno pensava di aver visto la luce quella sera rombante di Londra del 9 agosto 2012 quando David Rudisha aveva detto al giovane Timothy Kitum, in seguito marito di Faith Kipyegon, “non provare a starmi dietro. Rischieresti di farti male”. Kitum, che allora non aveva ancora 18 anni, accettò solo in parte il consiglio e corse in 1’42”54, terzo.
Dietro, Duane Solomon 1’42”82, Nick Simmonds 1’42”95, Mohammed Aman 1’43”20, Abubaker Kaki (scomparso due mesi fa in tragiche circostanze) 1’43”32, Andrew Osagie 1’43”77. Se l‘800 di Atlanta era stato magnifico, questo era fuori categoria, era una visione, più o meno come riuscire a far quattro chiacchiere con Julie Christie.
E poi è arrivato l’800 di Tokyo e, come diceva un grande poeta irlandese, una terribile bellezza è nata e se ancora esistessero i fogli gara, quelli di carta, questo sarebbe un documento da conservare. Con gli autografi sarebbe anche meglio.
Quelli che amano l’atletica, quelli che hanno abbonamenti con tv straniere, quelli che tolgono l’audio per evitare il ronzio dell’indifferenza, sanno com’è andata: gli occhi che sporgevano di Emmanuel Wanyonyi, a 21 anni campione olimpico e mondiale e approdato l’anno scorso a venti centesimi da King David, braccato dal passo elegante e implacabile di Marco Arop, il crescendo al largo di Djemal Sedjati, il tentativo per linee interne di Mohamed Attaoui frenato da Max Burgin, la progressione di uno sconosciuto in maglia verde, Cian McPhilips, il mantenimento della posizione di Navasky Anderson e di Tsephiso Masalela che avevano capito di esser finiti dentro una faccenda importante e poteva andare bene così.
E così siamo arrivati al foglio gara e ai numeri che trasmettono emozioni: Wanyonyi 1’41”86, Sedjati 1’41”90, Arop 1’41”95, McPhillips 1’42”15 (record irlandese migliorato di un altro secondo dopo l’1’43”18 della semifinale), Attaoui 1’42”21 (se sceglieva un’altra strada chissà come sarebbe finita), Burgin 1’42”29, record personale e secondo britannico di sempre dopo il Signore dell’atletica, Anderson 1’42”76 record giamaicano, Masalela 1’42”77. Tre sotto 1’42”, otto (tutti) sotto 1’43”. Non c’erano lepri, non c’era l’onda delle luci, c’erano le scarpe nuove delle meraviglie. Tutti particolari in una vampata di luce violenta.
Una piccola appendice al capitoletto Latino-Americana di qualche giorno fa: nel frattempo, con il triplo donne, la marcia e il giavellotto donne messicani e sudamericani sono andati in doppia cifra. Mai capitato.
Postilla. Questo è un luogo per vecchi suiveur, per inguaribili snob, un club che tiene lontane da sé le sensazioni a buon mercato. Noi non diciamo allez o alè, noi non “corriamo, lanciamo, saltiamo, conquistiamo”. Noi guardiamo, prendiamo nota, proviamo gioie e le scambiamo tra noi come una moneta di Enrico l’Uccellatore, una farfalla dello Yucatan, una bottiglia impolverata di bordeaux dall’annata che suscita bramiti.
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