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I sentieri di Cimbricus / Ritorno a Tokyo, approdo del tempo

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Giovedì 11 Settembre 2025

 

tamberi-jacobs 

Se si va a contare sui sedimenti magari anche sfilacciati della memoria, affiorano immagini, fotogrammi, sensazioni e non è il caso, in questa pesca, di appiccicare il cartellino con le necessarie o superflue spiegazioni.

Giorgio Cimbrico

Nei corridoi del tempo, nella biblioteca della nostra Babele, Tokyo esiste da sessant’anni, tra non molti giorni sessantuno. Una Tokyo in bianco e nero, plumbea, piovosa, diversa dalla luce di Roma ’60. La pista, per l’ultima volta in terra e per la prima volta a otto corsie, sembrava un tratturo e Bob Hayes faceva volare zolle. Per quel suo inseguimento in staffetta si parlò per la prima volta di un tempo sotto i 9”.

Spostarsi con la macchina inventata da H.G. Wells permette raid veloci. Nulla di iconico, per carità, semmai anche lo spazio per piccole storie, come quella d’amore tra il “capitano coraggioso” Robbie Brightwell e Ann Packer. Fu lui a suggerirle di provare sugli 800.  Il consiglio venne accettato da Ann che aveva già conquistato l’argento nei 400. Non aveva esperienza, vinse: al ritorno in Inghilterra si sposarono e si dedicarono all’insegnamento. Erano altri tempi.

Tokyo è diventata memorabile per il Galles. Lynn Davies, nato in uno di quei luoghi che hanno nomi degni di una fiaba o di una saga – Nantymoel –, trovò il refolo giusto anche grazie al consiglio di Ralph Boston e portò a casa un oro che, anche in un Principato nelle cui vene scorre profondo amore per il rugby, venne giudicata come la più grande impresa di un atleta di Cymru, Galles, nell’antica lingua dei bardi, dei minatori e di un magnifico poeta ubriacone, Dylan Thomas.

E così, fatalmente, il lungo porta al 30 agosto 1991 quando Mike Powell e Carl Lewis diedero vita a un torneo, a un succedersi di emozioni così violente da non obbligare a una ricostruzione se non sommaria, legata alle cifre: Powell 8.95, Lewis 8.91w (e 8.87 regolare). Media dei salti validi: Powell 8.40, Lewis 8.82. Davvero vinse il migliore?

Quando non ci si affida alla sempre più raccomandata IA e si va a contare sui sedimenti magari anche sfilacciati della memoria, affiorano immagini, fotogrammi, sensazioni e non è il caso, in questa pesca, di appiccicare il cartellino con le necessarie spiegazioni. Meglio procedere con un flusso della coscienza, alla Svevo, alla Joyce: i cinque ostacolisti azzurri contro quattro americani nelle due finali tra le barriere (e il bronzo di Tito Morale), la rabbia gioiosa o la gioia rabbiosa di Abdon Pamich. Il titolo europeo ufficioso e virtuale di Livio Berruti quinto, l’unico oro di Valeri Brumel (un anno dopo il volo sarebbe stato per sempre spezzato), il bis di Abebe Bikila, questa volta calzato dalla Puma, la volata di Billy Mills, l’accoppiata di Peter Snell, il primo titolo di Wyomia Tyus, gli esordi di Irena Szewinska, allora ancora Kirszenstein.

E ventisette anni dopo, il conto saldato dai britannici della 4x400, il tris – o clean sweep – Lewis-Burrell-Mitchell (“è stato come tornare bambini quando andavano a veder passare i treni”, disse Linford Christie), i due titoli di Katrin Krabbe in maglia Germania unita, non più con la canottiera azzurra con martello e compasso, l’ultima volta dell’URSS, il ritorno di Maurizio Damilano a undici anni da Mosca, l’apparire in scena di Hassiba Boulmerka che aveva una storia da raccontare.

E a un battito di ciglia, la Tokyo deserta per pandemia, il 1° agosto di Gimbo Tamberi e Marcell Jacobs (9”84 + 9”80, due record europei e l’oro, non male per il primo velocista azzurro in una finale olimpica dei 100), la staffetta chiusa dal “cacciatore” Filippo Tortu, le vittorie di Massimo Stano e Antonella Palmisano a Sapporo che nel ’72 aveva offerto un Gustavo Thoeni in formato gigante, la doppia doppietta 100-200 di Elaine Thompson dal viso di maga, le fatiche della stakanovista Sifan Hassan, bronzo, oro, oro attraverso 1500, 5000 e 10.000, il primo titolo olimpico di Armand Duplantis (oggi a quota 118 nelle ascese a 6 metri o più!) e i tre quarti di minuto che possono rivaleggiare con il lungo dell’annata 1991: Karsten Warholm 45”94, Rai Benjamin 46”17,  Alison dos Santon 46”72. Ma gli addetti al campo si erano ricordati di mettere gli ostacoli?

 

 

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