- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / La fiera delle vanita' non chiude mai

PDFPrintE-mail

Mercoledì 3 Settembre 2025

 

palla di pezza 


Faccio sfoggio di cultura, ma gioco sul sicuro: “La coscienza di Zeno” di quel genio di Svevo insegna e ammonisce: “Il mentitore dovrebbe tener presente che per essere creduto non bisogna dire che le menzogne necessarie”.

Andrea Bosco

Quindi comincio dalla fiera delle menzogne: il calciomercato. Mesi di fake news. Mesi di menzogne. Di trattative inesistenti spacciate per affari “in dirittura di arrivo”. Il tal giocatore “interessa”, “si avvicina”, “manca pochissimo” e poi “sfuma”. Spesso le “notizie” durano qualche minuto: il tempo che i diretti interessati smentiscano i “sondaggi”.

E serve a poco ricordare che anche nella stagione preistorica che io (e non solo io) rammento con nostalgia c'erano gazzette che sparavano in prima pagina l'arrivo di Pelè all'Inter, di Garrincha alla Juventus, di Di Stefano al Milan. Ma erano pochi giornali specializzati.

I quotidiani sportivi in genere avevano un qualche “pudore” ad esporsi. I direttori di quei quotidiani non si sarebbero mai giocata la reputazione per notizie tanto inverosimili. Oggi, nell'era dei social, è avvenuta l'oscena trasformazione: non sono i social a rincorrere la stampa. E' la stampa che perso ogni ritegno rincorre la cloaca social. Dove imperversano mestatori privi di vergogna disposti a vendere la madre pere un like. In ogni caso non c'è social che pur nella spudoratezza che gli è congeniale possa coprire la modestia del calcio italiano. Dove una volta arrivavano Maradona, Zico, Falcao, Platini, Boniek, Ronaldo il fenomeno, Van Basten, Gullit, Rummenigghe. E prima di loro, Schiaffino, Sivori, Liedholm, Skoglund, Charles, Vinicio, Montuori, Lojacono, Altafini, Angelillo, Maschio. E dove persino una Spal poteva permettersi un Massei che oggi in una qualsiasi squadra del campionato, insegnerebbe calcio.


Oggi arrivano le seconde (se va bene) ma più frequentemente le terze e le quarte linee. Assieme a qualche “monumento” (Modric, De Bruyne, Vardy) alla ricerca dell'ultimo ingaggio, in un campionato dove si cammina e dove la tecnica (camminando) fa ancora la differenza. L'avidità dei club, complice una Federazione attenta al proprio particulare ma “orba” rispetto alle necessità del movimento, incapace di fare le riforme, legata mani e piedi a FIFA e UEFA, corrotta nei pensieri al pari dei corruttori che votano ed eleggono con maggioranze bulgare chi, simile al Principe di Salina, “finge di cambiare affinché tutto resti come prima”. Per due volte l'Italia ha fallito la qualificazione al Mondiale. E oggi il compito del kamikaze Rino Gattuso sembra persino peggiore rispetto a quello di Mancini e di Spalletti prima di lui.

Le squadre che vanno in campo sono infarcite di stranieri, per lo più brocchi impresentabili. Mentre i rari italiani buoni e di prospettiva (tipo il Leoni che dal Parma è approdato al Liverpool) vengono ceduti a peso d'oro (35 milioni per uno che aveva collezionato 17 presenze in serie A). Non c'è verso che alle società venga imposto un numero fisso di giocatori italici che poi possano essere serbatoio per la Nazionale. Dice che non si può. Dice l'Europa non lo permetterebbe. Dice anche che è impossibile tornare indietro: e quindi campionato a 20 squadre. Magari prossimamente a 22. Ma non sia mai che si ritorni a 18 o come piacerebbe a me a 16. I club minori farebbero le barricate. Pieni di debiti ma presenti a forza in serie A.

Panem et circenses: e “peste lo colga” a chi vuole negare il football al pueblo. Serie A o morte. Quello che praticamente accade a chi retrocede. Mutualità? Servirebbe un mese per discuterne a fondo. Evito di farlo. Ma consiglio a chi legge a non bersi le bufale di regime sul tema. I club le barricate le farebbero anche se cambiassero le quote sui diritti televisivi: così come oggi vengono gestite, una iniquità. Del resto è la Federazione, i meccanismi di votazione della medesima che si rivelano iniqui. E' un sistema vagamente collettivista quello che elegge il presidente federale. Grazie alla riforma sancita da una ex ministra (Melandri) i dilettanti “pesano” nelle votazioni per oltre il 30%, rispetto al 12% dei professionisti. Votano anche gli allenatori e i giocatori attraverso le proprie rappresentanze. E votano persino gli arbitri: vale a dire i dipendenti della Federazione.

Il calcio dei dilettanti mischiato a quello dei professionisti. Basterebbe destinare una quota al calcio sociale dei dilettanti affrancando il sistema dalla barzelletta che i due treni (dilettanti e professionisti) debbano procedere appaiati. In un “abbraccio” dove le clientele si sprecano, al pari dei voti di scambio. La ragione principale per la quale non si vuole cambiare il sistema. Va detto che il gattopardo che siede sullo scranno federale è abilissimo nell'intessere inciuci (pro domo sua e a favore dei suoi clientes) quanto non lo è nel realizzare riforme. Il gattopardo le enuncia, le ipotizza, poi non dà seguito. Quindi campa cabballus per la riforma della giustizia sportiva. Idem per la riduzione del numero delle partecipanti ai campionati. Idem per la riforma dei vivai. Idem per quella dei diritti televisivi.

E non c'è verso che una società i cui conti non siano in ordine venga estromessa dai campionati. Viene perdonata: specie se è “amica” del capobranco. Perché alla fine in Italia funziona in questo modo: tutti tengono famiglia. Tutti temono gli ultras. Tutti devono far finta di investire. E tutti devono “mangiare”. Il calcio una volta era quello “dei ricchi scemi” che ci rimettevano fortune. Oddio, c'è un club dalla parti di Torino che ha lasciato liberi di banchettare jene e sciacalli fino a ritrovarsi sull'orlo del baratro. Anche questo andrebbe detto ai tifosi. Ma ce ne sono altre che hanno grassato spavaldamente e non hanno pagato. Capita se hai “protettori” speciali che operano nella stanza dei bottoni.

Oggi il calcio è una scorciatoia per la politica, oltre che per gli affari. Anche per quelli poco leciti. Qui dovrebbe farsi sentire il governo. A costo di farsi criticare da quelli che si stracciano le vesti e invocano (non sempre a proposito) l'autonomia dello sport. Ma anche al governo, anche in Parlamento, sono “tifosi”: chi di una squadra, chi di un'altra. E tutto sommato il “gattopardo” sta bene anche a loro. Non svegliare il can che dorme. E di proverbi adeguati potrei citarne millanta. Quindi si traffica e si mente.

Una volta si diceva che lo sport era lo specchio della politica. Oggi è la politica ad essere diventata lo specchio dello sport. Del calcio soprattutto. Dove non si vede una via d'uscita. E dove si cercano improbabili taumaturghi (leggi allenatori) per risolvere i problemi. Invece il calcio è la cosa più semplice del mondo: i taumaturghi insegnano tattiche, diagonali, schemi a ragazzini che non sanno stoppare un pallone, che calciano con un solo piede, che non arrischiano mai un dribbling passando sempre la sfera all'indietro, che in definitiva giocano senza gioia, senza inventiva, cloni sfornati dalle scuole calcio, e che non hanno mai provato l'ebbrezza di affrontarsi in strada con una palla di pezza o in spiaggia sulla battigia a piedi nudi.

I Maradona e i Sivori facevano cento palleggi con una arancia. E anche se il loro calcio andava a velocità ridotta rispetto a quello attuale, anche oggi sarebbero in grado di salire in cattedra grazie alla tecnica. Come ha dimostrato Modric, 39 anni prossimo ai 40, che sul campo cammina. Ma che, caspita: alza le testa, calcia e mette il pallone a trenta metri di distanza sui piedi del proprio compagno di squadra. Non tutti hanno il talento di un Modric, di un Beckenbauer o di un Luisito Suarez. Ma anche chi ne ha poco, grazie all'allenamento e alla costanza può migliorare. Posso testimoniarlo. Il mio piede mancino non era come il destro. E allora quando in partita sbagliavo, il mio allenatore a fine gara mi intimava: “30 minuti di muro col sinistro”. Il mio sinistro non è mai diventato ovviamente come quello di Bobby Charlton, ma nel tempo è sensibilmente migliorato. Parliamo di calcio minore, per capirci.

Alle 20,00 di lunedì primo settembre, il calciomercato è finalmente terminato. Ufficialmente, almeno. In Turchia e negli Emirati si continua (a differenza dei campionati europei) a trattare e a trafficare. Ma vietato pensare di avere per qualche mese un poco di respiro. Già incombe il mercato (la finestra, la chiamano pudicamente) di gennaio. Dove i giocatori in scadenza possono già firmare svincolandosi a giugno a parametro zero. Il destino di Vlahovic presumibilmente. La Juventus ne sa qualche cosa visto che già aveva perduto a zero Paulo Dybala.

Oggi trovare un dirigente capace di comprare a poco e di vendere a tanto (e di non farsi ricattare dagli avidi agenti dei giocatori), come ad esempio il Percassi bergamasco, è più importante che avere un bomber da 20 gol in stagione o un allenatore “innovativo”. Spesso gli “innovativi” falliscono, i bomber possono avere annate negative: ma un bravo dirigente che sa tenere i conti in ordine e alla fine magari indossando una grisaglia e andando poco in televisione a raccontare i “maravigliosi” destini della propria società, fa le fortune del club.

Ovviamente c'è calcio mercato e calcio mercato. Quello di Bonan, Di Marzio e Fayna (con relativi giornalieri ospiti) è garbato, non gridato, le notizie vengono verificate, non si spara nel mucchio per fare ascolti. Una mosca bianca “Calciomercato l'originale” che tallonato da troppi alchimisti stregoni ha dovuto concedere al turismo, alla storia, alla cultura, oltre che alla pubblicità facendo in definitiva la propria fortuna. Risultando peraltro sempre un prodotto professionale che gradevolmente si fa vedere a differenza di troppi altri ululanti, spesso rissosi, bar dello sport televisivi.

In ogni caso: a presto. La fiera dei sogni e delle vanità non chiude mai i battenti. E in fondo paga lo stipendio a chi fa il mio mestiere e all'intero baraccone. Ma soprattutto a chi il baraccone lo governa. Male, anzi malissimo, lo governa. Ma lo governa. Elargendo prebende, favori e poltrone. Come solo i satrapi (democraticamente eletti, ça va sans dire) sanno fare.



 

 

Cerca