Duribanchi / Ora anche Jannik e' finito fuori dal coro
Martedì 29 Luglio 2025
“Mario Giordano prende spunto da Sinner per denunciare le piaghe dell'elusione e dell'evasione fiscale in Italia: cifra monstre pari a decine di Finanziarie. Solo che quello di Sinner è uno scalpo fin troppo facile da offrire al pueblo”.
Andrea Bosco
Non c'è pace per Jannik Sinner. Il suo successo planetario, frutto di un talento fuori dal comune e di una applicazione maniacale sul lavoro, scatena il livore di quanti invidiano i suoi trofei e soprattutto il suo conto in banca. E così alla folta schiera di quanti lo “asfaltano” per avere la residenza a Montecarlo là dove le tasse si pagano in modo contenuto e non Italia, dove il salasso sarebbe del 43,5% (e magari di più) si è aggiunto Mario Giordano, conosciutissimo collega, volto simbolo di Rete-4 con la trasmissione Fuori dal coro che in una lettera aperta apparsa su Panorama lo invita di fare “l'italiano vero” foraggiando Equitalia e diventando “Il principe dei contribuenti”.
Il tono della lettera è ironico e pungente. Giordano è uno che conosce il mestiere e che si è fatto le ossa vellicando la pancia dell'italiano medio oppresso come nella famosa vignetta dell'Uomo Qualunque di Giannini dalla morsa fiscale, indignato per le liste di attesa disgustose e infinite nella sanità, furibondo per l'incapacità (anche dell'attuale Governo) di proteggere la proprietà privata come quotidianamente dimostrano le occupazioni abusive (tollerate) in tutta le città della Penisola.
Giordano prende spunto da Sinner per denunciare le piaghe dell'elusione e dell'evasione fiscale in Italia: una cifra mostruosa pari a decine di Finanziarie. Solo che quello di Sinner è uno scalpo “facile da offrire al pueblo”. In qualche recondito angolo dell'animo di Giordano –, abile comunicatore sempre dalla parte della “gente” – c'è qualche cosa che profuma di grillino. La lectio che fu di Funari e di Santoro, aggiornata ai tempi. Personalmente Giordano mi è simpatico. La sua trasmissione è il trionfo del populismo ma offre voce a tanta gente messa all'angolo dal “politicamente corretto”. Non bastasse, le critiche becere che gli vengono fatte per i decibel striduli della sua voce, hanno raggiunto vette di alta cafoneria quando Lilli Gruber rifiutò di definirlo “un giornalista” esiliandolo al ruolo di “imbonitore” di menti fragili. Dimenticando che Giordano aveva diretto anche quotidiani.
Con la colpa, immagino, di aver diretto quelli che a Gruber non piacciono. Del resto metà del mondo a Gruber non piace e quindi Mario Giordano se ne sarà fatta una ragione delle (a mio parere) feroci critiche. Però non condivido l'intemerata di Giordano contro Sinner. Quello che Sinner fa dal punto di vista fiscale non è illegale. Non esiste legge che vieti di risiedere a Montecarlo e di pagare le tasse nel Principato. Altri che risiedono in Italia evadono indisturbati. Da decenni. Anzi, dalla nascita della Repubblica. Senza che nessuno abbia saputo trovare un rimedio alla cosa. Con evidenza perché non si vuole trovarlo, il rimedio.
Chi ha le trattenute in busta paga, salda per tutti. Una minoranza del paese ha sulle spalle il costo del welfare, strumento di civiltà, al quale – tuttavia – tutti dovrebbero essere chiamati nella contribuzione. Ma è troppo comodo e troppo facile fare di Sinner un bersaglio. Uno come Sinner che già di suo è costantemente nel mirino, non ha bisogno di ulteriori “attenzioni”. Quando la WADA lo ha squalificato, relativamente in pochi, si sono alzati in piedi a contestarne le procedure. Ha avuto insulti di ogni tipo, Sinner. E ancora li riceve. Persino da illustri colleghi o da parimenti illustri personaggi dello sport. Si tratti di un miliardesimo di unguento finito accidentalmente sul corpo di Sinner per colpa di un suo collaboratore (licenziato), si tratti della sua vita privata, si tratti delle sue scelte professionali (come ha osato a non andare dal presidente Mattarella?), il fucile degli invidiosi e di certa critica è sempre spianato in direzione Jannik.
La lettera di Giordano è certamente frutto delle convinzioni (lecite) del collega. Ma Sinner, anche se paga le tasse a Montecarlo, è un patrimonio dello sport italiano. E andrebbe protetto: se non altro per l'impulso che grazie alle sue gesta (e a quelle dei Musetti, Cobolli, Sonego, Arnaldi, Nardi, Paolini, Errani, senza dimenticare lo sfortunato Berrettini e il veterano Fognini) il tennis italiano ha avuto, ormai quasi più popolare del calcio. Si vorrebbe un Sinner contribuente in Italia? Sarebbe certamente un segnale, sarebbe più “elegante” (per dirla con Aldo Cazzullo), sarebbe cosa buona (per dirla con il mio amico Orso).
Tante cose, “sarebbero”. E lo vorrei anche io un Sinner che avesse rapporti con Equitalia. Anche se a dire il vero Equitalia fa di tutto per averne di pessimi con gli italiani. E neppure è questione di uomini. E' questione di burocrazia: uno dei cancri del Paese. Però Sinner che risiede a Montecarlo e paga le tasse nel Principato, negando l'esoso 43% dei suoi introiti al suo Paese (fino a prova contraria l'Alto Adige è in Italia) non viola alcuna legge. Poi se non piace lo stile di Sinner (educato, pacato, riservato) questo è un altro problema. E posso anche capirlo. Abituato ai vari “Kazzenger” della politica che urlano, sbraitano, si sovrappongono (maleducatamente) impedendo al telespettatore di capire cosa accidenti dicano, forse anche Giordano ha perso l'abitudine al silenzio. Capita.
Preciso. Non era – a scanso di equivoci – un invito a Giordano a stare zitto. Non mi permetterei. Volevo solo dire che Sinner – a suo modo – in fondo è anche lui “fuori dal coro”. E Mario Giordano, ottimo giornalista e ottimo scrittore, lo sa.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO? – Giro pagina. Non ho memoria (e la seguo dal 1951) di una Juventus tanto sfilacciata, inadeguata, incapace di dare un senso alla sua azione. La Juventus (retaggio di recenti trascorse stagioni) è un Far West dove regna l'anarchia. Dove i giocatori (Douglas Luiz) fanno i bulli evitando di presentarsi al raduno, senza fornire spiegazioni, scollinando la data di una settimana. Dove i procuratori (piaga non solo della Juventus) ricattano le società inviando i propri assistiti là dove si guadagna di più.
Vlahovic è un caso creato da una Juventus (Arrivabene) fantozziana che ha elargito a salire uno stipendio folle (fino a 12 milioni all'anno) al centravanti serbo. Che ora minaccia di uscire a zero euro la prossima stagione per fine contratto. E poi c'è il procuratore di Weah che stizzito per non aver consentito la Juventus al suo assistito di andare al Marsiglia (società con la quale il giocatore ha un accordo) al prezzo sancito dal Marsiglia, si scatenato sul web (senza nominarlo) contro il neo direttore generale Comolli, letteralmente insultandolo.
Ora Comolli non spiaccica una parola di italiano e (per ora) non ha replicato. Forse l'italiano lo parla male anche Modesto di origine corsa nella nuova Juventus alla francese voluta da John Elkann. Ma il presidente Ferrero (avvocato di Elkann) lui l'italiano lo conosce. E non si è mai visto che un presidente, dopo che un dirigente della società che rappresenta viene pesantemente insultato, non dica una parola una. La Juventus è nella bufera. Le sparano addosso come all'orsetto del luna park. E i due pesi e due misure adottati dalla giustizia sportiva con il beneplacito della federazione e con il totale disinteresse del ministro dello sport e dello stesso governo (e il CONI, che dice il CONI?) certamente non aiutano il club più titolato d'Italia ad uscire dalle secche.
Comolli ha ora due strade: accettare i ricatti dei giocatori e fare un bagno di sangue economico a livello di minus-valenze. Oppure fare la faccia dura, spedire i “guappi di cartone” in tribuna per l'intera stagione mettendo a repentaglio la loro partecipazione al Mondiale prossimo venturo. Consapevole che anche in questo caso il bagno di sangue economico sarebbe drammatico. Prigioniera dei suoi numerosissimi errori, invisa ad un movimento che non le perdona di aver vinto 9 scudetti di fila, ridicolizzando il movimento medesimo, la Juventus (i suoi tifosi) deve essere consapevole che ci vorranno anni, forse un quinquennio, per tornare competitiva.
Il ché non significa vincere trofei: significa lottare per cercare di vincerli. Ma per farlo, prima di ogni altra cosa, la dirigenza deve dimostrare di avere gli zebedei. E quelli o li hai, oppure nessuno te li può regalare. Si attendono notizie sugli attributi di Comolli. Ogni juventino si augura siano come quelli del condottiero Bartolomeo Colleoni capitano di ventura della Serenissima Repubblica di Venezia: tre.
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