I sentieri di Cimbricus / Nessun confronto, please, siamo inglesi
Mercoledì 12 Marzo 2025
“Nessun paragone possibile o credibile con l’Italia dove da lunghe ere (gli anni sono una dimensione risibile …) si chiacchiera di nuove sistemazioni per le squadre milanesi e romane senza che si proceda di un pollice.”
Giorgio Cimbrico
La caduta dei templi: hanno cominciato con Highbury, hanno proseguito con Wembley, con White Hart Lane, con Upton Park, tutti sostituiti da stadi grandi, capienti, bellissimi, costati un occhio della testa: la nuova casa del Tottenham ha superato il miliardo di sterline. Chi ha sempre detto che gli inglesi amano la tradizione, deve fare ammenda. Gli inglesi amano fare affari con la passione. O far della passione un affare. Che è più o meno la stessa cosa.
Ora toccherà a Old Trafford: il progetto che cambierà volto allo stadio del Manchester United prenderà corpo e vita in cinque anni per un prodotto finale da 100.000 spettatori, il più grande del Regno Unito. Con l’auspicio che la ristrutturazione non dimentichi l’orologio che segna la tragedia del 1958, quando metà dei Busby’s Boys morirono nella neve sporca di una pista di decollo a Monaco di Baviera, e la statua di sir Matt, il vecchio demiurgo.
Per il nuovo Old Trafford la cifra stimata è due miliardi e mezzo di sterline. Jim Radcliffe, mister Ineos, può togliere i pasti ai volontari e agli steward, offrire solo un po’ di frutta, ma non teme di affrontare cifre da capogiro senza badare alla classifica deficitaria di Red Devils che, al tempo di sir Alex Ferguson, piantavano la loro forca e lo code puntute in patria e in Europa.
La visione è sostenuta dalla previsione. Dotate la città di uno stadio gigantesco, bellissimo, raggiungibile, dotato di ogni tipo di servizio e avrete una risposta economica formidabile: quasi due milioni di visitatori in più all’anno. Che per una città con poche attrattive come Manchester è una cifra che fa tremare i polsi e fa fremere chi sta per inoltrarsi in questo affare che più che con lo sport ha a che fare con la finanza, con il capitalismo spinto che ha invaso la vita, il mondo, le nostre esistenze e governa tutte queste dimensioni.
Anche Twickenham, la Fortezza del rugby (che ora si chiama Allianz, dopo i 100 milioni ricevuti dalla compagnia di assicurazione che ha già etichettato l’Arena di Monaco di Baviera e lo stadio di Dublino), vuol cambiare. E anche in questo caso le cifre previste per l’ampliamento, i collegamenti, i servizi sono giganteschi. Tanto che, alla partenza dei lavori, si parla di uno spostamento dei match dell’Inghilterra a Wembley o allo stadio olimpico di Stratford, nell’estremo East End. E’ bene ricordare che oggi, ogni apertura dei cancelli a Twickenham significa una cifra attorno ai 15 milioni. Anche qualcosa di più se a novembre arrivano gli All Blacks e gli Springboks.
Nessun paragone possibile con l’Italia dove da lunghe ere (gli anni sono una dimensione risibile …) si chiacchiera di nuove sistemazioni per le squadre milanesi e romane senza che si proceda di un pollice.
Una nota dettata dall’estetica: la cerimonia d’apertura di Milano-Cortina 2026, tra meno di un anno, è prevista tra i quattro brutti torracchioni di San Siro, un luogo che non possiede la “luce”, l’aura per dare il via ai Giochi. Considerata la dispersione che è la caratteristica di questa edizione sarebbe stato meglio parcellizzare anche la cerimonia: a Cortina, a Bormio, ad Anterselva, a Predazzo. Molto semplice: sarebbe stato più bello. Più luminoso.
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