Duribanchi / I tanti acciacchi della Vecchia Signora
Martedì 11 Marzo 2025
“Sono nato pochi mesi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Del fascismo, del nazismo, della tirannia, delle bombe, della povertà, della fame ho appreso solo dai racconti di mio padre e di mia mamma e da quelli delle mie zie”.
Andrea Bosco
Io ho vissuto quella che qualcuno ha definito “l'età dell'innocenza”. Una stagione di benessere, crescita, pace e prosperità. Le guerre erano lontane: Vietnam, Afghanistan, Iraq. Le repressioni, quando erano vicine (Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia), erano “garantite” da quell'ombrello che i “buoni” avrebbero aperto se i cavalli dei cosacchi si fossero avventurati verso le fontane di Roma. Oggi la guerra è vicina.
Fino a quando non è scoppiata non ci siamo mai scomodati a verificare quanto vicina all'Italia fosse quella Ucraina, dove pure per lavoro eravamo andati dopo che il Muro era caduto. Oggi sappiamo che quei “buoni”, gli americani, in fondo così buoni non sono mai stati. Ci hanno portato dopo il jazz, la musica rock. Ci hanno portato i jeans, confezionati con una stoffa che avevamo inventato noi a Genova, ci hanno portato la Coca Cola e pericolose mode.
Ci hanno portato i “giorni felici” (che per un gran numero di americani, felici non erano), i western, il cinema di Hollywood. Ci hanno portato le sigarette dell'uomo a cavallo con il lazo arrotolato al pomo della sella. Ci hanno portato una micidiale cucina che fa ingrassare solo a guardarla. E ci hanno portato la “gioventù bruciata”, quella che già allora girava con il coltello in tasca. Ci hanno portato un basket che non avevamo mai visto. Assieme ad un modo mai visto di concepire lo sport. Il mondo (non solo l'Italia) si è americanizzato. E oggi in un meccanismo globalizzato dove poco c'è ormai da “spremere” e da vendere, gli americani hanno gettato la maschera.
La vendetta di Trump – Il loro presidente è la copia più arrogante e spregevole del texano cinico e spietato della serie “Dallas”. I suoi compari sembrano usciti dal film “Il padrino”. Mafiosi italo americani, lobby sempre potente negli USA. Donald Trump non ha sete di pace: ha sete di vendetta. E potrebbe passare alla storia come il presidente USA che ha sgretolato l'Europa, quell'Unione mai veramente realizzata, che oggi annaspa scoprendosi nuda senza le armi e la tecnologia americana, impreparata ed esposta alle mire di un satrapo ex-KGB.
Lo stesso che dal 2017 dice al mondo occidentale di essere disgustato dalle sue libertà, da quella democrazia che la Russia non ha mai potuto assaporare. Prima gli zar, poi la dittatura comunista, infine la dittatura degli oligarchi trave portante del potere di Putin. Trump vuole una Europa debole, singoli stati esposti alla minaccia russa, ricattati dalle sanzioni. Meglio per Trump un mondo a tre punte: Stati Uniti, Cina e Russia. Meglio due interlocutori con i quali spartirsi la “torta”, piuttosto che una Europa unita – quarto incomodo – in grado di far pesare la sua forza economica e la sua cultura, visto che dal punto di vista militare l'Europa è un nano opposto a giganti.
E ora il dilemma è quello che mai l'Europa avrebbe voluto porsi: spendere miliardi in aerei, missili, bombe, carri armati, navi o accettare di diventare un inerme protettorato spendendo quelle cifre per sanità, scuola, integrazione, innovazione? Meglio cercare di migliorare la vita dei cittadini continentali o rassegnarsi all'irrilevanza magari concedendo “terre rare” alla voracità statunitense? Certo l'Europa è stata imprudente quando in vista delle elezioni si è schierata apertamente per i democratici, avversari di Trump, dandogli del fascista, del truffatore, del puttaniere, del golpista. Cose che in tanti, a dire il vero, abbiamo pensato. Ma che chi governa un paese o una comunità come quella europea mai dovrebbe apertamente dire.
La sete di vendetta di Trump nei confronti di Biden, di Harris, di quanti in Europa e nel mondo ne hanno evidenziato i tratti cialtroneschi e pericolosi è insaziabile. Lo aveva detto: quando vincerò, ve la farò pagare. L'arroganza dell'uomo è tale da non considerare i rischi di una deflagrazione mondiale. Vuole la pace a tutti costi, anche sulla pelle dell'Ucraina: ne va della sua credibilità. Se Kiev dovesse continuare a resistere Trump che aveva ipotizzato di arrivare alla pace “in una settimana” ne risulterebbe sputtanato.
Si è aperta una nuova era dove in tanti stanno prendendo alla gola il mondo occidentale e il suo stile di vita, i suoi principi, le sue garanzie. La Russia, la Cina, l'Islamismo in continua terrorizzante espansione e persino l'ex-amico a stelle e strisce: un “fuoco amico” che ha lasciati sgomenti istituzioni e uomini. E' l'avverarsi di quanto afferma Dickens in “Martin Chuzzlewit”. E vale a dire che negli affari meglio “farla agli altri, perché loro la farebbero a voi”.
Il mondo che verrà sarà tecnologicamente evoluto. Privo di anima e spietato come mai è stato nel corso della sua lunga storia. Noi pensavamo, sbagliando, fosse un orizzonte lontano. Einstein che aveva capito tutto spiegava di non pensare mai al futuro: “Arriva così presto”.
Juventus ammalata – Da tifoso (disincantato) della Juventus sto vivendo un dramma. E non tanto per i quattro cazzotti presi sul mento da Madama ad opera dell'Atalanta (bravissima) di Gasperini. E neppure per la stagione disastrosa, seguita ad altre dello stesso segno dopo 9 scudetti di fila conquistati. E' la legge dello sport e ci sta a perdere, anche ripetutamente. Specie quando cambi radicalmente.
No: il senso di impotenza nasce da un progetto sbagliato che dopo otto mesi dal suo varo ha rivelato tutta la propria modestia. Allenatore sbagliato, squadra sbagliata, giocatori sbagliati, direttore sportivo (che ha scelto allenatore e giocatori) con evidenza sbagliato. Ma anche una dirigenza sbagliata, ferrata in contabilità, quanto digiuna di calcio. Dovrebbe appalesarsi l'azionista di maggioranza. Quando la nave beccheggia e arrischia di schiantarsi sugli scogli, spetta al capitano invertire la rotta affrontando le onde. A meno che il proprietario della Juventus non voglia come l'Ulisse dantesco sfidare il proprio destino: far rotta dopo le Colonne d'Ercole nel mare Oceano per “conoscere”. Consapevole che la nave affonderà e non ci sarà domani ma egualmente desideroso di arrivare alla “verità”.
John Elkann ha sulle spalle una “scimmia” chiamata Andrea Agnelli, il cugino che da presidente della Juventus ha stracciato ogni tipo di record, tranne aver fallito anche lui in Champion's. Andrea Agnelli porta un nome che alla Juventus è un eterno convitato di pietra. Gianni Agnelli aveva l'ombra del fondatore che aveva conquistato il mitico Quinquennio. Umberto Agnelli quella del fratello Gianni: ingaggiò Omar Sivori, il Maradona di quella stagione anche per stupire quanto negli anni Trenta aveva fatto Renato Cesarini e negli anni Cinquanta (la Juve dell'Avvocato) un altro giocoliere italo-argentino, Rinaldo Martino soprannominato “Zampa di velluto”.
La Juventus uno così l'ha sempre avuto in squadra: dopo Sivori, Causio, E dopo Baggio. E dopo Baggio, Del Piero, e assieme a Del Piero anche Zidane. E dopo Zidane, passata la buriana di Calciopoli, un altro argentino: l'apache Tevez. Fino a Cristiano Ronaldo, immenso attaccante dai numeri non eguagliabili. Oggi la maglia numero 10 che definisce il campione è sulle giovani spalle di un ragazzo turco di indubbie qualità ma scaraventato dall’Under 23 alla prima squadra senza passaggi intermedi.
Nonostante i successi del passato non c'è mai stata una “Juventus di Elkann”. L'azionista di maggioranza ha investito a tutt'oggi un miliardo per ricapitalizzare e risanare. Ora pare intenzionato a chiudere i rubinetti. Ma le scelte operate per “ricostruire” si sono dimostrate profondamente sbagliate. La Juventus lasciata dal “secondo” Max Allegri ha vinto solo una Coppa Italia. Ma non era un cumulo di macerie. Questa di oggi, sconclusionata, imbelle quanto velleitaria, lascerà poco a fine stagione.
Una armata Brancaleone guidata da un uomo privo di empatia e presuntuoso la sua parte. Uno che in otto mesi tragici (fuori da tutto e con un quarto posto – quello che fa accedere alla Champion's – fortemente a rischio), non è ancora riuscito a dire una volta: “queste sono le mie colpe”. Non è l'unico ad averne. Anzi. Ma è l'unico che avrebbe fatto bene ad addossarsele. Non usa più dare le dimissioni. Tra l'altro, probabilmente, non le avrebbero accettate. Ma offrirle sarebbe stato un gesto di onestà intellettuale. Se ti metti in discussione. Ma se ti reputi un “profeta del giuoco” non le dai. E non facendolo inevitabilmente perdi la faccia. Che è peggio, nel mestiere di allenatore, che perdere la panchina.
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