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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
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Giovedì 6 Marzo 2025

 

pizzul 


A tre giorni dai suoi 87 anni se n'è andato Bruno Pizzul, friulano di Cormons. Dal 1986 al 2002 la “voce” della Nazionale. Voce appassionata, competente, discreta. Mai, come oggi, eccessiva come gli “urlatori” del piccolo schermo.

Andrea Bosco

Alla prima partita della quale gli era stata affidata la telecronaca, arrivò in ritardo di 15 minuti. Aprile 1970: Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia a Como. Attardatosi a pranzo con Beppe Viola, arriva a gara in corso iniziando a raccontarla dal sedicesimo minuto. Per sua fortuna, la partita è registrata e non in diretta. E quindi, successivamente in montaggio, riesce a mettere una toppa, all'incidente. Non aveva calcolato, Bruno Pizzul, che andare a pranzo con Beppe Viola era una avventura. Beppe era un vulcano: un Silvan della parola che affascinava chiunque lo avvicinasse.

Se n'è andato, Bruno Pizzul, friulano cresciuto a Cormons, a tre giorni dai suoi 87 anni. E' stato, dal 1986 al 2002, la “voce” della Nazionale. Voce appassionata, competente, discreta. Mai, come usa oggi, eccessiva, tra gli “urlatori” che commentano sul piccolo schermo. Pizzul, che aveva anche giocato al calcio da professionista nel Catania, come centromediano (la sua stazza era imponente), carriera stroncata per un incidente ad un ginocchio, era entrato alla RAI, per concorso, nel 1969.

Di telecronache ne ha fatte millanta. Sempre elegante, perfetto nei “tempi” del racconto. A volte concedeva istanti di pausa per far gustare al telespettatore le immagini. Evitando di ammorbarlo con dati statistici, disamine pseudo tecniche sui moduli delle contendenti in campo o con aneddoti buoni per il gossip dei rotocalchi. A volte la pausa era “chiamata”, cedendo la linea ai bordo-campisti. Gran fumatore, in quei pochi istanti, Bruno si accendeva l'ennesima “paglia”, solo tre/quattro boccate e poi ancora sul “pezzo” a illustrare lanci, dribbling, colpi di testa. Sulla cartina interna al pacchetto di sigarette era solito prendere anche gli appunti.

Mi ha raccontato l'amico Sergio Calabrese, che con Pizzul a lungo e in molte trasferte ha lavorato, quanto fosse scrupoloso. Arrivava sempre una mezz'ora prima dell'inizio della riunione di redazione. Una abitudine mutuata, probabilmente, da quelle di Nicolò Carosio che addirittura, in una stagione nella quale i media poco si occupavano di calcio, scendeva in campo per conoscere e identificare i 22 che si sarebbero sfidati. Non faceva particolari esercizi per la voce, nonostante il vizio del fumo. Ma qualche gargarismo, prima delle telecronache lo effettuava anche lui.

Bruno Pizzul era una “presenza” misurata. Che io rammenti una sola volta si lasciò andare, commentando le “notti magiche” di Italia Novanta per un fantastico gol di Baggio, là dove il nome del campione continuava a percorrere l'etere, per una di quelle magie che solo il “Divin Codino” sapeva regalare. Aveva assunto il ruolo di telecronista principe nel 1986, ai Mondiali messicani dopo che l'implacabile Montezuma aveva colpito il titolare Nando Martellini. Sposato, tre figli, uno giornalista come lui, Bruno Pizzul è stato amato da tutti. Tifoso del Torino, di “quel” meraviglioso Torino di Valentino Mazzola, era apprezzato da ogni tifoseria. Una volta andò con la moglie in vacanza a Napoli. Riconosciuto dal conducente di un autobus, gli venne detto: “Signor Pizzul, salga: le offro il viaggio”.

Commentò, tanti successi della Nazionale e dei club italiani. Il congedo – Italia-Slovacchia 0-1 del 21 agosto del 2002 –, fu amaro. Anche perché per la sua ultima telecronaca alla RAI, a fine gara, c'erano a salutarlo solo i compagni di lavoro. Ma Pizzul, fuoriclasse del giornalismo e fuoriclasse nella vita, fervente cattolico (durante le trasferte in giro per il mondo non mancava mai di visitare una chiesa che non conosceva, raccogliendosi in silenzio e preghiera per qualche minuto prima di uscire), dopo il 2002 continuò a lavorare: sempre alla RAI e su altri network. Nel 2014, memorabili i duetti alle 11 del mattino su RMC con Teo Teocoli.

Grande appassionato del gioco delle bocce, Pizzul in televisione commentò anche incontri di pugilato, tennis da tavolo, corse ciclistiche, vela, canottaggio, persino qualche premio ippico. Con Eron Vitaletti e Carlo Sassi si dedicò alla moviola della “Domenica Sportiva”. Celebre lo scoop effettuato con il “principe” dei fischietti Concetto Lo Bello, che nel febbraio del 1972 davanti all'evidenza delle immagini riconobbe di aver “graziato” lo juventino Morgan Morini per un fallo da rigore ai danni del milanista Bigon. Errore che probabilmente costò quel campionato al Milan.  

La “Domenica Sportiva” Pizzul la condusse anni dopo assieme a Simona Ventura e ad Amedeo Goria. Gli toccò commentare anche la più dolorosa delle pagine del calcio italiano. La notte “maledetta” dell'Heysel, nel 1985, dove prima della finale di Coppa, Juventus-Liverpool, morirono 39 tifosi italiani schiacciati dalla furia degli hooligans britannici. La gara non fu sospesa per esplicita richiesta dell'UEFA e della Polizia belga. Una sospensione e la conseguente evacuazione dallo stadio avrebbero potuto causare guai maggiori di quanti tragicamente non avvennero quella notte.

La statistica documenta la vittoria (con rigore sicuramente dubbio) della Juventus. La storia ha certificato che quella sera a perdere furono tutti. L'onorevole Vincenzo La Russa dichiarò il giorno dopo di aver sentito Pizzul commentare che era stata “una giornata radiosa per il calcio italiano”. Concluse La Russa che Pizzul era “un imbecille per il quale proviamo pietà”. Pizzul però negò di aver mai detto quella frase. Quello che è certo è che Bruno, per un'ora a mezza, si trovò a commentare con le lacrime agli occhi il massacro avvenuto prima della gara.

Non ho mai lavorato con Bruno Pizzul. Ma ci vedevamo quasi ogni giorno nei corridoi e al bar della RAI di Corso Sempione. Era un collega affabile, misurato nelle lodi “bravo Boscheto, bel lavoro”, così come nelle critiche: “Boscheto, stavolta ti gà esagerà”. Il suo secondo ufficio era il ristorante da “Silvano” là dove tutti andavamo a mangiare quando evitavamo la mensa aziendale. Era sempre affollatissimo. Lui lo frequentava spesso anche alla sera. Aveva un tavolo poco dopo l'ingresso dove con il titolare del locale e qualche altro “assiduo” si cimentava in combattute partite a Scopone.

Era della “grana” dei Bearzot e degli Zoff. In quella stagione il mio ufficio alla RAI (dove ero responsabile del settore Cultura, Moda e Spettacoli) era un porto di mare al quale approdavano quasi quotidianamente signore e signorine: uffici stampa, ma anche attrici, ballerine, scrittrici, pittrici e poetesse, cantanti e modelle. Non facevo “casting”, ma anche un breve passaggio in un servizio del tg era importante per quella variegata umanità. Come cantava Jannacci (ispirato da Beppe Viola) “la televisiùn, la ga una forsa da leùn”. E in quegli anni non c'erano i social.

Qualcuna di queste fanciulle a volte mi invitava a pranzo, altre ero io a farlo. Il tempo era poco: un'ora, visto che la prima edizione del tg regionale andava in onda alle 14,00. Ed era mio compito seguirla. “Silvano” che stava dall'altra parte di Corso Sempione era una meta, dove si mangiava bene e dove camerieri e titolare (che ti conoscevano) ti trattavano con i guanti. Essendo la postazione di Bruno un passaggio obbligato per andare a sedersi a un qualsiasi tavolo, capitava presentassi a Pizzul l'ospite di turno. Lui era famoso (io solo conosciuto) e ci facevo una bella figura. Quando il giorno dopo ci incrociavamo al bar della RAI per il rituale del caffè, mi apostrofava ridendo: “Boscheto, no far el birbante”. Era il massimo del “rimprovero” che un uomo educato come lui potesse rivolgerti.

Là dove è andato, nel Paradiso dei giornalisti, quelli che gli hanno voluto bene e lo stimavano lo avranno sicuramente accolto con un microfono, e un mazzo di carte trevigiane. Mandi, Bruno.

 

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