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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Arroganza, occhio a non esagerare

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Martedì 4 Marzo 2025

 

europa-folla 


L’arroganza come filo conduttore tra passato e presente, tra finzione e vita reale, tra inganni e lealtà, tra lupi finti ed agnelli veri, tra guerre sanguinose e pace immaginata. In uno dei periodi più confusi e controversi della storia.  

Andrea Bosco

Ha scritto Washington Irving “Nulla è così oltraggioso come le aspirazioni ambiziose della volgarità che crede di elevarsi umiliando il prossimo”. Irving nel 1819 scrisse nel “Libro degli schizzi” di Geoffrey Crayon “anche una solida difesa sul carattere degli indiani d’America”, degli antichi valori. Lo cito non a caso. Da tempo sapevamo che gli americani non erano per dirla con un motto della mia Laguna “farina da far ostie”.

Sapevamo che le “Giacche Blu” erano figli di buona donna. Che il West era un posto fetente zeppo di banditi, truffatori, ladri di bestiame, banchieri disonesti, speculatori, puttane e giocatori d’azzardo e infine di una stirpe infame di “baroni ladri” come li definì uno scrittore “marxiano” ma non “marxista”. Film come “Soldato Blu” e “Il piccolo grande uomo” avevano aperto gli occhi anche a quelli di noi che ancora li avevano impiastricciati dalle storie di Fenimore Cooper e dai fumetti nostrani. Il Vietnam diede il colpo di grazia.

Ma dopo il disgustoso show messo in scena alla Casa Bianca da Donald Trump e dal suo sicario Vance contro il presidente ucraino Zelensky, il cazzotto ricevuto è stato tremendo. Nonostante Sergio Leone ci avesse ammoniti con il suo mondo fatto di ceffi da paura dove tutti sono infami, in fondo cullavamo ancora l’idea, infantile e ottimistica, che gli americani fossero “i buoni”. Che in fondo dietro ad ognuno di loro potesse esserci un Gary Cooper in grado di far rispettare la legge, di difendere le donne, i bambini e gli anziani, che ci fossero istituzioni in grado di consentire all’idealista Jimmy Stewart, mister Smith versione Frank Capra, di fare “filibustering” in aula per sconfiggere l’avido Paperone privo di scrupoli. Che ci fosse sempre un Humprey Bogart alla direzione di un giornale in grado di dire di fronte nell’“Ultima minaccia” al mafioso di turno: “E’ la stampa bellezza, la stampa: e tu non ci puoi fare niente. Niente”.

Oggi, dolorosamente, abbiamo appreso che il “lupo” non è uno solo: i “lupi” sono due. Avidi, famelici, feroci: Putin e Trump. Uno è il Gatto, l’altro è la Volpe e sono “in società”. Ma di loro, come ben sa Edoardo Bennato, “non ti puoi fidar”. Stanno assieme per cercare di papparsi il mondo, evitando che a farlo sia la Cina. La favola di Fedro è sempre istruttiva: “Superior stabat lupus, longeque inferior agnus”. Il lupo stava in alto e alquanto più in basso l’agnello. Ma il lupo vuole scannare l’agnello. E allora lo accusa di inquinargli l’acqua. La povera bestia replica che è impossibile visto che l’acqua scorre dall’alto verso il basso. “Ante hos sex menses male – ait – dixisti mihi”. Sei mesi fa hai parlato male di me. “Equidem natus non eram”. Veramente non ero ancora nato. Per Ercole! Tuo padre – urla il lupo – ha parlato male di me. A quel punto la sorte dell’agnello è segnata: la belva lo afferra e lo sbrana.

E’ quello che ha fatto Trump: “Devi firmare, sei un ingrato, come osi opporti, sei venuto qui vestito come un pezzente in divisa militare, fai ribrezzo”. La canea di Trump, alimentata da Vance (vicepresidente USA, protervo e razzista), è stata sostentata dalla claque moscovita: “Nazista, essere immondo, non vuoi la pace, te ne pentirai”. Se non è Putin è Lavrov, se non è Lavrov è quell’altro figuro che ogni giorno minaccia il mondo occidentale. Gli USA si sono tolti l’abito buono e si sono infilati il cappuccio del Clan. Trump odia Zelensky che non lo ha appoggiato contro Biden in campagna elettorale. E chi è stato con Biden, è un nemico da abbattere. Non importa se Putin è un macellaio che ammazza gli oppositori, invade e distrugge.

E’ dal 2017 che Putin spiega al mondo e agli idioti europei che ora se ne stupiscono, che il loro modello di vita gli fa schifo. Che odia i gay e i trans. Che odia il woke e il revisionismo. Che odia il green e la globalizzazione. Che non vuole integrazione e non vuole il multilateralismo. Che non si sente in colpa per quanto il suo paese (ma si immagina anche il resto del mondo) ha fatto in passato in tema di guerre, colonialismo, soppressione dei diritti civili. La cosa, patetica e ridicola, è che il mondo occidentale si stupisca che un ex-KGB si possa esprimere in questo modo. Illusi.

Fu Reagan (ma in Italia anche Berlusconi) a ipotizzare che la Russia potesse diventare democratica. Che potesse far parte dell’Europa, che si potesse integrare nel progetto continentale. Sono russi. Che vivono in un paese sterminato. Per decenni dominato dalla dittatura comunista. Dove a volte – in alcune contrade – non arriva la linea telefonica e neppure la luce. Sono contadini. In condizioni di vita paragonabili a quelle dei mezzadri dell’Ottocento. Ci sono luoghi dove i campi li arano ancora con i cavalli e persino a forza di braccia. Se i rurali del Montana o del North Dakota sono persone che vivono con fucili e pistole in casa e che se entri nel loro podere, prima ti sparano e poi ti chiedono perché ci sei entrato, quelli che vivono a centinaia di chilometri da Mosca, spesso, non conoscono quanto accade nel mondo.

Come il Papa tedesco aveva compreso il disegno dell’Islam e a Ratisbona lo denunciò, allo stesso modo solo il Papa polacco comprese che il vero pericolo per la democrazia occidentale era la Russia.

Affascinati dai russiMa gli USA hanno sempre avuto una fascinazione per i russi, a volte persino per la rivoluzione russa. Il West fu ai pedi del granduca Aleksej Aleksandrovic Romanov, figlio dell’imperatore Alessandro II che nominato ambasciatore negli Stati Uniti, nel gennaio 1872 (presidente Ulisse Grant) si concesse nel giorno del suo ventiduesimo compleanno una battuta di caccia al bisonte a Omaha, nel Nebraska, alla quale parteciparono anche il generale Sheridan, Buffalo Bill e quel controverso figuro di George Armstrong Custer, che la sera dei festeggiamenti, ubriaco fradicio prese ad infastidire la figlia sedicenne del capo Lakota del clan dei Brulé, Coda Chiazzata. La lite fu sedata con risarcimento di coperte di lana, coltelli con il manico di avorio e una borsa colma di monete. I nativi (presenti in 600) vennero ricompensati con 25 vagoni carichi di 10.000 razioni di farina, zucchero, caffè e 1000 libbre di tabacco.

Gli USA stettero a guardare la Rivoluzione di Ottobre che aveva distrutto il regime feudale degli zar. E alla fine della seconda guerra mondiale, dimentichi che il mostro Stalin, in precedenza si era alleato con il mostro Hitler per spartirsi mezza Europa, non ascoltarono il più bellicista dei loro generali. Anzi, Roosevelt ordinò a Eisenhower di impedire a Patton di arrivare a Berlino, come avrebbe voluto, prima dei russi. Del resto Patton (morto alla fine del 1945 in un misterioso incidente automobilistico del quale non furono mai completamente chiarite le cause) avrebbe voluto, con le sue divisioni corazzate, spingersi fino a Mosca, continuando la guerra terminata con il vergognoso accordo di Yalta che divideva l’Europa in sfere di influenza. L’inizio della “guerra fredda”.

Patton aveva compreso che il nemico dell’Occidente era la Russia. Ma gli americani erano stanchi di guerra e convinti che i milioni di morti patiti dai russi durante il conflitto meritassero un “risarcimento”. Stalin banchettò, prendendosi tutto quanto aveva rivendicato. Compresi i paesi “indigesti”. Quelli del Nord Europa, e con loro la Polonia: là dove, se ancora adesso, parli (bene) dei russi ti sputano in faccia. Ci fu un partito comunista di notevole importanza negli USA nel dopoguerra. Del resto negli USA, prima della seconda guerra mondiale, c’era stato anche un notevole movimento di opinione filo nazista che arrivava fin dentro allo sport olimpico.

Il timore del contagio comunista era diffuso. Il maccartismo fu una pagina nera della storia americana, con la caccia e la delazione del “marxista” che divampò ad Hollywood in modo esecrabile e violento. Una lettera scarlatta disgustosa. Ma i comunisti americani c’erano: alcuni erano spie. Due, i coniugi Roseberg, beccati con documenti segreti furono condannati a morte e giustiziati. A lungo la vicenda si prestò ad interpretazioni di ogni tipo. Ma decenni dopo la desecrettazione di carte russe dimostrò come effettivamente Julius Rosenberg fosse una spia al servizio dell’URSS.

Oggi l’Europa è chiamata a decidere: se vuole essere un agnello destinato alle fauci di Putin e di Trump. O se vuole essere un cacciatore di lupi. La Russia ha le armi nucleari. Ma è un deterrente di pezza: usarle equivarrebbe distruggere il pianeta. Servono soldati, servono aerei, navi, missili, droni. E serve una grande intelligence. La Gran Bretagna ha la migliore del mondo, probabilmente. Putin conosce solo la forza. Come, del resto, si è scoperto, anche Trump.

In Italia, la scelta di Meloni per ora è stata obbligata: equidistanza. Europeista ma senza rompere con gli USA. Ma non potrà, lo stallo, durare in eterno. E non potrà consentirsi Meloni di avere all’interno del suo governo, una quinta colonna come Salvini. Per quanto si sia rivelato un osceno prepotente, è improbabile che Trump voglia consegnare alla Storia degli Stati Uniti che con la Russia hanno banchettato sulle spoglie del Continente Europeo. Il suo cupio dissolvi è un bluff che l’Europa ha l’obbligo di andare a “vedere”. Le terre rare alle quali ambisce gli servono come il pane per contrastare la marcia della Cina nella tecnologia più sofisticata. E fa bene Zelensky a tenere duro.

Se vuoi le “terre”, firma la garanzia che la Russia non ci smembrerà. Trump può urlare di voler essere risarcito. Ma anche Zelensky potrebbe farlo con la Russia. Putin non ha oppositori. I despoti non ne hanno. Ma Trunp ha metà degli americani che sono contro di lui. Gente che (a differenza dei russi) può manifestare, dissentire, scrivere, fare causa. Per quando orrida come quella di Trump, l’America è pur sempre una democrazia. Alle quale molti giornalisti (anche in Italia, anzi soprattutto in Italia) leccano il seder, arrampicandosi sugli specchi.

Trump non governerà per i prossimi venti anni. Cadrà prima, vittima della propria arroganza e di quella dei suoi sicofanti. Anche perché una eventuale guerra tra Europa e Russia, non converrebbe a Trunp, così come non converrebbe alla Cina. Questione di mercati. La guerra li congela. Il Papa è ammalato. Ma i suoi collaboratori (pur non insensibili alle ragioni di Putin) qualche cosa sul reality mandato in scena a Washington da Trump, dovrebbero dirla. Perché ancora non l’hanno detta.

Occhio agli dei vendicatoriArroganza: come nella moda che ha chiuso le sfilate a Milano. In passerella (celebrate dal postalmarket dei media: marchettare di tutto il mondo unitevi) mandano donne che “non esistono” nella vita normale. Vestite di stoffe che non vedrai mai per strada o in una vetrina. Ti spiegano che “sono sculture”. Ergo opere d’arte per privilegiati. Dentro all’immonda Carcassonne (e Milano ormai lo è, tra l’arroganza di chi sfrutta l’uomo comune in nome del dio denaro e quella della plebe che aspira a un posto in prima fila, tra sfregi murali, violenza di strada, occupazioni, aggressioni alla polizia) dentro a quelle mura dove ogni illegalità è ormai consentita, l’arroganza di pochi calpesta il diritto di molti. Fino a quando la protesta esploderà in modo violento.

Oggi Milano è peggio di Gotham City. Ma anche Roma lo è. Anche Napoli. Anche Torino. Anche Bologna. L’Italia è un paese che ha perso il controllo del territorio. Abusando arrogantemente in un senso, come nell’altro. E’ pericoloso veicolare i modelli del “lusso”. Chi non può permetterselo tende ad impossessarsene e con qualsiasi mezzo. Anche con quelli illegali.    

Arroganza: occhio a non esagerare. “Gli dei vendicatori seguono da presso l’arrogante” scrive Seneca in “Hercules furens”. Dirlo a Thiago Motta, allenatore contestato dal pueblo della Juventus, non tanto per i risultati, ma per la prosopopea dimostrata al terzo fallimento (Supercoppa, eliminazione ai gironi in Champion’s, eliminazione dalle riserve dell’Empoli in Coppa Italia) il giorno dopo: “Sono un allenatore competente. Per mio figlio vorrei un allenatore come il sottoscritto. Non è vero che lo spogliatoio mi rema contro. Decido io chi far giocare, non i giornalisti. E chi non gioca deve essere umile e dimostrarmi che accetta l’esclusione”.

Questo è l’allenatore che si è messo in casa la Juventus. Uno che ha detto di “vergognarsi” (non si capisce bene se di se stesso o del lavoro fatto sulla squadra), ma che mai è stato attraversato dall’idea di dimettersi. Almeno presentarle le dimissioni. Gliele avrebbero respinte. Ma la dignità di dire: ho fallito, mi faccio da parte. Invece no. E la critica, quella che sa, quella che con lui è sempre tenera, ti spiega che “se la Juventus va a -6 dall’Inter in classifica, è roba da stappare champagne”. La Juve ha vinto per 2-0 col Verona. E a -6 dall’Inter ci è andata. Ma essere a -6 dalla vetta dopo una stagione imbarazzante non può confortare il tifoso.   C’era una volta la Juventus, c’era un volta il Milan. Un ricordo che dilania.

Una pivot da zero puntiAltro sport. Brignone uber alles. Impossibile oggi competere con lei. Terrà la forma fino alle Olimpiadi? Complicato. Ma la sfida a distanza con la Goggia in versione “umana” la può favorire. Del basket parlo solo al femminile: Schio, nettamente più forte e “fisicata” della Reyer, ha vinto di misura (67-64) al Taliercio. Ora guida la classifica e si candida seriamente al titolo anche se i play-off sono sempre una incognita. E’ possibile criticare senza passare per disfattisti?

La Reyer ha un problema: non ha sostituito Sheppard, centro da 20 punti a gara. Ha preso una serba (Stankovic) che contro Schio ha fatto, virgola, zero punti a tabellino. E se il tuo centro fa zero punti tu non puoi pensare di vincere. E infatti in stagione per due volte la Reyer con Schio ha perso. E sempre per il medesimo motivo è uscita dall’Eurolega. Il cuore del patron Brugnaro palpita più per il maschile (deludente stagione) che per il femminile. Sbagliando: con poco, con un investimento adeguato, la Reyer femminile poteva sbancare: in Italia certamente. E in Europa avrebbe fatto strada.

Petrucci, appoggia Malagò. Bene. La politica che vuole appropriarsi dello sport va fermata. Il problema è: cosa ha fatto “Sughero” Petrucci per dare al basket italiano una dimensione simile a quella del volley? Come il noto collega, fatevi la domanda e datevi una risposta. Io lo so: ma che ve lo direi a fare? Arroganza? Forse solo ignoranza.

Due lutti nel mondo dello spettacolo: Eleonora Giorgi da tempo malata ci ha lasciati dopo lunga battaglia e lunga sofferenza. Gene Hackman e la moglie (e uno dei cani) morti in New Mexico in circostanze tutte da accertare. Grande attore (anche se quando era giovane, John Wayne sosteneva fosse il peggior attore di Hollywood), grande interprete, i media lo hanno celebrato, ricordando i suoi successi: da “Gli Spietati” a “Il braccio violento della legge”, da “Il Socio” a “Potere assoluto”. Pochi hanno rammentato “Stringi i denti e vai” perché il western non va più di moda, nonostante Kevin Costner si ostini a pensare il contrario.

Nessuno (tranne Paolo Mereghetti in tre parole tre) ha ricordato “Il colpo vincente”. Film sul basket e su una delle imprese nello sport USA, tra le più grandi ogni tempo. Una scuola media (una high school) dello Stato dell’Indiana che nella stagione 1953-54 vinse il suo campionato con una squadra di soli 7 ragazzi. E’ la storia vera (anche se nel film il paesino che accoglie Norman Dale, l’allenatore, si chiama Hickory) un poco romanzata della Milan High School. La storia con l’allenatore che non allena da dieci anni, squalificato per aver picchiato un suo giocatore, che torna in pista. Con il suo vice, un alcolizzato del quale il figlio, uno dei giocatori della squadra, si vergogna. Con la maestra che si innamora di Dale, con la piccola comunità rurale che prima lo accoglie con diffidenza, poi vorrebbe cacciarlo ai primi risultati negativi, e infine lo innalza a condottiero. Con le sue chiacchiere e pettegolezzi, le sue ipocrisie, le sue miserie e infine la sua passione.

Il film è un piccolo capolavoro firmato da David Anspaugh. C’è un giocatore che fa la differenza, che ha problemi psicologici e non vorrebbe più giocare. Poi si ricrede: resterà solo se Dale verrà riconfermato. E Dale fa di un manipolo anarchico un gruppo unito, una squadra. E quella squadra è seguita da tutta la comunità, in pullman durante le trasferte, e alla radio per chi resta a casa. Sono stato nello Stato dell’Indiana dove il basket è una religione. E dove davvero, come nel film, ogni casa di campagna all’esterno ha un tabellone dove vedi ragazzetti tirare a canestro. E dove sulle facciate c’è scritto “Go Hoosiers” che significa “bifolchi” ma che gli abitanti di quello Stato hanno adottato come simbolo, probabilmente in segno di sfida.

Ho vissuto da dirigente di una piccola società di basket (la Lambretta Lido, arrivata fino alla serie D) quei momenti e quella incredibile comunanza che si crea nel cercare di realizzare un sogno. Anche la mia società aveva il suo Jimmy, l’uomo al quale affidare l’ultimo tiro, come accade nel film. Il mio Jimmy si chiamava Renzo, era una guardia di 1.74 che assomigliava come stile di gioco a Manuel Raga, il fuoriclasse dell’Ignis. Nel film finisce 42 a 40. In realtà finì 32 a 30 in un basket dove si camminava più che correre. La musica di Jerry Goldsmith è favolosa. Io la usai per un servizio sui “Cento anni del Cinema” per il Tg2, facendone una sorta di blob per il quale, l’allora direttore Mimun, si congratulò.

Una scelta arroganteQuando Maris Valinis, l’attore-giocatore che infila il canestro vincente, scocca il tiro, il regista girò un unico ciak. Gli spettatori avevano l’ordine di invadere il campo qualsiasi fosse stato l’esito: sia che il canestro fosse risultato vincente, sia che finisse sul ferro. E anche questa è una sensazione che ho conosciuto maledettamente bene. Io “quel canestro” l’ho sbattuto sul ferro quando facevo la Quinta Ginnasio, con una squadra, anche quella, di soli 7 giocatori che sfiorò l’impresa contro i veterani della Quinta Ragioneria, più “anziani” di tre anni. Colpa mia? Colpa della mia arroganza.

Colpa mia che quella sera mi sentivo onnipotente dopo aver messo una quindicina di punti a referto. E feci l’esatto contrario di quanto aveva disegnato il nostro allenatore. Ci ho scritto anche un racconto su quella partita. E visto che quel tiro, ancora qualche notte me lo sogno, il racconto l’ho fatto finire senza un vero finale. Non si capisce chi alla fine abbia vinto.

Hackman meritava che quel suo piccolo film fosse celebrato. E’ una bella storia, anzi è una grande storia: Davide che batte Golia. In questi oscuri tempi di prepotenza, la Bibbia andrebbe rammentata. E se la devozione non basta almeno si dovrebbe rammentare Sergio Leone che al villain Eli Wallach (Tuco nella finzione) ne “Il buono, il brutto e il cattivo” fa dire, quando scaraventa fuori dal vagone merci il bruto che lo ha ammanettato (dopo averlo colpito a morte con una pietra): “Mi piacciono i tipi grossi: perché quando cadono a terra, fanno tanto rumore”.

Trump è un tipo grosso. Al pari del palestrato Putin. Prima o dopo, qualcuno li sbatterà a terra. Con fragore.

 

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