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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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Duribanchi / Nel gioioso paese delle supercazzole

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Martedì 14 Gennaio 2025

 

italybyspace 

“Non lo è l'assoluzione di Michele Padovano, ingiustamente perseguito e (dopo 17 anni di odissea giudiziaria) assolto in via definitiva. Fine dell'incubo per l'ex attaccante della Juventus. Ma chi ha istruito i processi che fine ha fatto?”

Andrea Bosco

Una officina / carrozzeria abusiva edificata su un terreno occupato, assieme a due case “dormitorio“ con affitti illegali. Non è una supercazzola (introdotta finalmente dalla Treccani nella Enciclopedia, dopo essere stata inventata nel 1975 da Ugo Tognazzi nei panni dell'immortale Conte Macetti, star del capolavoro “Amici miei“), ma una vicenda realmente accaduta a Milano. Coinvolti un agente della Polizia Locale e un collega. Uno finito sotto inchiesta, uno indagato: il Comune si è costituito parte civile.

E non è una supercazzola la liberazione di Abedini, l'ingegnere iraniano sospettato (negli USA) di terrorismo e   arrestato in Italia: è libero e già in Iran come era prevedibile. La liberazione di Cecilia Sala (dopo l'ok dato da Trump a Giorgia Meloni) non poteva non avere un prezzo. E (servanda pacta) ai preti col turbante di Teheran con evidenza era stato assicurato che la liberazione della giornalista italiana sarebbe stata fatta in (quasi) contemporanea con quella di Abedini.

L'Italia riporta sempre a casa gli ostaggi e questa è una bella cosa. Ma la liberazione di Abedini pone un paio di problemi non di scarsa rilevanza: l'FBI che aveva sollecitato (tramite un tribunale USA) l'estradizione di Abedini, pare non abbia preso bene la cosa, nonostante al tecnico iraniano siano stati sequestrati (verranno inviati negli States?) documenti e files. E quando una agenzia tanto potente si irrita, prima o dopo, facilmente presenta il conto. Il secondo: l'Iran è uno stato “canaglia“ dove i diritti umani non vengono rispettati. Anzi: vengono calpestati. Sarà impiccata a Evin (il medesimo carcere nel quale è stata detenuta senza uno straccio di accusa formalizzata, Cecilia Sala) l'attivista quarantenne curda Pakhshan Azizi.

Le ONG hanno chiesto l'intervento della comunità internazionale per fermare quello che appare un “assassinio di Stato“. Ma l'Iran di certe pressioni se ne stropiccia: i “guardiani della rivoluzione“ sono dei tagliagole con i quali l'Occidente (anche l'Italia) si ostina a tenere rapporti. Considerate come sono andate le cose (bene per Sala e brava Meloni) l'Iran potrebbe avere avuto la sensazione che d'ora in avanti rapire e incarcerare un italiano per farne merce di scambio possa essere pratica agevole. E in Iran gli italiani sono al momento in numero di 541.  

Non è una supercazzola quanto ogni fine settimana accade nelle città italiane con cortei violenti, poliziotti e carabinieri picchiati, bombe carta, vetrine a auto sfasciate: guerriglia urbana a stento contenuta. Le forze dell'ordine non possono reagire: sono obbligate ad “amministrare“ le manifestazioni. A destra si indignano, a sinistra meno (ma un poco si indignano anche loro) e invitano a non “strumentalizzare“. Nessuno ricorda quando Fausto Landini, sindacalista con ambizioni politiche, a pieni decibel chiese ai cittadini “la rivolta sociale“. Con evidenza qualcuno, “professionista della violenza“, non aspettava altro: una sorta di indiretta legittimazione alle pulsioni barricadere.

Certo che per essere un governo autoritario, di “destra-destra“ e un poco “fascista“ (come sovente da Gruber ricordano la professoressa Braidotti e il professor Tomaso – con una emme sola che lui ci tiene – Montanari, questo di Meloni un poco fa “cagare“: con licenza parlando. Perché se una turista disperata, la sera di Capodanno, in piazza Duomo a Milano (brutalmente palpeggiata secondo un barbaro rituale islamico di sfregio alle donne), si rivolge piangendo ad una poliziotta e si sente rispondere (anche l'agente in lacrime): “non posso fare niente“, allora siamo alla frutta.

Siamo ad un governo che abdica alla sua primaria funzione: garantire la legalità ad ogni costo. Non ci sono vie di mezzo. Chi delinque va punito. Chi incita alla rivolta non può: lo dice la legge. Chi occupa abusivamente le case, va sanzionato, anche se si tratta di una parlamentare europea. Per la cronaca: gli ebrei del mondo sono preoccupati. Guai se dovessero anche incazzarsi. Non Israele: l'intero mondo ebraico. Disse Golda Meyer: “Mai più un'altra Shoah: non ci troverebbero impreparati“.

Ha provocato dolore la morte di un giovane egiziano in un incidente stradale a Milano. Ci sono filmati che si prestano all'interpretazione che gli agenti inseguitori (pessimo comunque il linguaggio usato via radio) potrebbero avere qualche responsabilità per l'investimento mortale. Le perizie indipendenti chiariranno (si spera) la vicenda. Quelle della polizia locale hanno escluso un deliberato tamponamento. Detto questo: i due ragazzi egiziani in scooter non si erano fermati all'alt degli agenti. Sono fuggiti a oltre 100 km l'ora per otto chilometri per le vie (anche contromano) di Milano. Entrambi pregiudicati, colpevoli di reati minori.

Ma al momento dell'alt gli agenti volevano effettuare un controllo, in un quartiere (Corvetto) definito “difficile“, dove abusi, reati e violenza sono all'ordine del giorno. Uno dei tanti di Milano, dove i “maranza“ ormai spadroneggiano . Gli agenti hanno il dovere di inseguire chi non si ferma. Non sanno chi siano quelli che ignorano l'alt. Non sanno se sono banditi, rapinatori, terroristi, coperti dai caschi. Non sanno se sono bianchi, neri, gialli o rossi. La legge impone loro di inseguire chi scappa e di accertarne l'identità.

La morte di un ragazzo non può che addolorare. E le modalità di quel tragico evento vanno chiarite. Ma non ci sono “modalità di inseguimento corretto“ come ha spiegato il consulente del Comune di Milano per la sicurezza, Gabrielli. Se insegui, lo fai per fermare chi scappa. Ci sono paesi nei quali se scappi ti sparano anche senza sapere perché scappi. In Italia per fortuna non accade. E se gli agenti hanno qualche responsabilità nella morte del giovane Rami è giusto paghino. Ma il linciaggio preventivo anche no. La legge italiana è surreale: un extracomunitario senza fissa dimora, accoltella per strada quattro passanti senza alcun motivo, poi si scaglia contro gli agenti intervenuti. Uno di questi cerca prima di bloccarlo, poi mentre guizza la lama dell'uomo, per difendersi gli spara e lo fredda. Ora è indagato per “eccesso di difesa“. Il Parlamento cambi certe assurde leggi. Altrimenti, avvicinandosi sempre di più il confine del Far West, i cittadini si armeranno per difendersi. Mia figlia per tornare a casa dal lavoro prende il taxi. Perché quattro fermate della metro alle 19,30 sono un rischio: il rischio di imbattersi in borseggiatori, molestatori, stupratori. Nelle carrozze la polizia locale (impiegata a lucrare multe per divieto di sosta ovunque) non c'è. Mai.

Non è una supercazzola l'assoluzione di Michele Padovano, ingiustamente accusato e perseguito e infine (dopo 17 anni di odissea giudiziaria) assolto in “via definitiva“. Fine dell'incubo per l'ex attaccante della Juventus. Ma chi ha istruito i processi che fine ha fatto? Chi sono i suoi accusatori? Forse lo Stato dovrà rimborsare Padovano. Ma chi ha sbagliato, i giudici che hanno sbagliato, perché non devono pagare? Chi sbaglia deve pagare. I giudici non possono essere “legibus soluti“. Anche qui: riforma della giustizia prima di ogni altra cosa. Altro che premierato e autonomia differenziata. Giustizia da riformare. Sanità da riformare. Scuola da riformare. Fiscalità da riformare. Troppi evasori. Ma anche troppe esose tasse. E scenda dal Freccia Rossa, Matteo Salvini. Dicono a Milano: l'è miga bon. Mai visto uno scempio simile nei trasporti. Non è colpa sua? La colpa è sempre di chi sta al timone. Per responsabilità oggettiva.

Sarebbe da riformare anche il calcio nazionale. Ma la supercazzola è che Gabriele Gravina verrà rieletto (come vorrebbero De Luca e Zaia in Campania e Veneto). E il calcio italiano continuerà sul declivio che porta al baratro. Un calcio italiano che evita di entrare negli antri bui dei rapporti tra club e ultras e la cui giustizia sportiva dispensa assoluzioni, tra indagini più lente di un treno di pendolari e omissioni legate agli “amici degli amici“ è un calcio complice e oggettivamente sporco. E non scrivo di peggio. Ci vorrebbero le indagini di “Report“ (che le aveva promesse, tra l'altro), ma Sigfrido è troppo impegnato a rovistare nella bara di Silvio Berlusconi e negli armadi di Matteo Renzi per dedicarsi anche ad altre questioni.

Non è una supercazzola la forma strepitosa di Federica Brignone: semplicemente bravissima. Goggia? Rotola, rotola: strada facendo rotola, come il “Barattolo“ della celebre canzone. La “belva“ la prenda con filosofia: si rifarà. Ma due cadute di fila fanno notizia.

E' una notizia (supercazzolissima) anche la data fissata dalla WADA, tra due importanti tornei in aprile, per discutere il ricorso su Sinner e magari decidere di “fotterlo“, fermandolo per uno, magari due – vai a sapere – anni, per quel miliardesimo di grammo passato (lui incolpevole) da un dito del suo ex massaggiatore, alla sua pelle. La verità? Tennisticamente (e dagli con la serpentina rossa del correttore), l'Italia è diventata troppo potente: troppi tennisti e tenniste sui tabelloni. Troppi sponsor sui nostri atleti. Troppo interesse mediatico. E poi c'è il “rosso“ che vince sempre. Come è noto, non esiste una sola marca di scarpe, di magliette, di sacche, di beveroni energetici, di asciugamani, di racchette, di palline (e ora anche di spaghetti…). A dire il vero il pranzo è lauto e ce n'è per tutti. Ma la fetta di torta maggiore va a chi eccelle. Credo agli alieni? No: la WADA reputa di potersi rifare una verginità (dopo che i nuotatori cinesi trovati positivi vennero autorizzati a partecipare alle Olimpiadi) a spese di Sinner. E anche la WADA “tiene famiglia“.

E' comparsa la bilancia a casa Milan: Conceicao Sergio ha minacciato i gaudenti e golosi milanisti di metterli a pane e acqua. La bilancia è sempre stata l'incubo dei pugili. Molti allenatori in tanti sport ne hanno fatto una missione. Voglio raccontare un aneddoto che mi svelò anni fa Sandro Salvadore che fu un grande difensore del Milan e poi della Juventus. Che una stagione, visto che lo spogliatoio tiranneggiato da Omar Sivori era diventato un “albergo a ore“, prese un ex militare, allenatore ieratico e severissimo, natali in Paraguay: Heriberto Herrera.

Irriso da Gianni Brera che lo chiamava HH2 e “ginnasiarca paraguagio“ (per via di un modulo, il “movimiento“, che anticipava rozzamente il pressing dell'Ajax) Heriberto vinse a sorpresa con la Juventus più operaia di sempre uno scudetto, battendo sul filo di lana l'Inter di Helenio, Suarez, Corso, Facchetti e Mazzola. Quella Juventus aveva al numero 10 un brasiliano, Cinesinho, di buona tecnica, poca mobilità ma con un tiro (aveva i piedi piccoli e impattava benissimo il pallone), specie su punizione, al fulmicotone. “Cina” (era il suo soprannome) tendeva ad ingrassare. E Heriberto che era solito pesare i giocatori, una volta telefonò alla moglie di Cinesinho dicendo: “Se cresce di un solo etto, non lo rimando più a casa“. Heriberto era un duro (Thiago Motta mi sembrava della sua pasta ma mi sbagliavo e non di poco) che in allenamento “picchiava“ i suoi giocatori per “allenarli al dolore“.

“Cina” a costo di sofferenze, alla fine passa il test bilancia. Heriberto era interessato alla bella sorella della moglie di Cinesinho. E chiede al suo giocatore di combinargli un incontro. “Nessun problema, mister – dice il “Cina” – organizzo una cena a casa mia“. Cena, Heriberto conosce la donna, alla fine “Cina” offre un cognac a Heriberto che lo invita ad unirsi a lui. “Mister, lo sa che non posso, poi la bilancia ...“. Ma Heriberto insiste: un cognac, due, poi a casa. Il giorno dopo alla prova bilancia, “Cina” ha preso quasi mezzo chilo. E Heriberto che era un macroscopico (immaginare l'insulto in ispanico) serafico spiega: “Multa, “Cina“. Il poveretto protesta: “Mister è stato lei ad insistere”. Replica di Heriberto: “E' vero, ti ho tentato. Ma tu avresti dovuto resistere: ti serva di monito“.

Dopo la fine (ma non è detto: è una tetta editoriale che allatta) della Berlusconeide. Dopo M (in arte Mussolini) oggetto di millanta rivisitazioni, libri, documentari, sceneggiati e film. E dopo Craxi (in arte Bettino) la cui vicenda politica ed umana è oggetto in questi giorni di svariate incursioni cartacee. Poco allettante The Donald, poco percorribile Musk (già amato, oggi spregiato e temuto), mentre a Los Angeles è andata in fumo Hollywood (vittima di incuria, del vento, dei piromani, degli eccessi ambientalisti, dei fondi tagliati ai pompieri, dei cavi elettrici mai interrati, della mancanza di acqua, del cambiamento climatico, delle case costruite demenzialmente a ridosso della foresta), il mondo culturale riscopre (per la milionesima volta) il mito di Odisseo.

Il 30 gennaio uscirà nelle sale “Itaca. Il ritorno“ di Uberto Pasolini. Con Ralph Fiennes e Juliette Binoche (nei panni di Ulisse e Penelope), nuovamente assieme trent'anni dopo “Il paziente inglese“. Qui Odisseo è un uomo sfinito dopo un decennio di peregrinazioni, Penelope una donna che ha lottato, credendo nel ritorno del suo uomo. E Telemaco un figlio alla ricerca della propria identità. E' un Ulisse politicamente corretto quello di Pasolini, che ripudia la guerra (in effetti per cercare di non andare a Troia, Ulisse si finse pazzo), e che afferma: “Troia non poteva essere vinta, solo distrutta“. Al che, un uomo commenta: ”Dicono che così saranno le guerre fino alla fine dei tempi“.

A Gaza si lavora per una tregua anche se Hamas reclama l'impossibile che Israele mai concederà. Anche se i gerarchi di Putin dichiarano che “i paesi baltici dovrebbero appartenere alla Russia“. Anche se Trump reclama Panama, la Groenlandia, fa capire che gli piacerebbe molto che il Canada diventasse uno stato dell'Unione e minaccia “l'inferno in Medio Oriente“ se prima del suo insediamento (da condannato, roba mai vista negli USA) gli ostaggi israeliani non verranno rilasciati. Il problema è che ufficialmente gli ostaggi risultano essere 98. Ma le stime degli analisti affermano che un terzo siano cadaveri tenuti in frigo. E che i vivi non superino la quarantina.

Troia come emblema di tutte le guerre. Il cavallo come l'apri-scatola per farle cessare. Tradotto: l'inganno. Pasolini investe Odisseo della tunica della menzogna “a fin di bene“. Storia intrigante con attori che si annunciano bravi nei rispettivi ruoli. Io sogno sempre che qualcuno si cimenti su quell'altro Ulisse: quello di Dante che decide di morire, varcando le Colonne d'Ercole, pur di “sapere“. Quello di Dante è un Ulisse astronauta: uno che sfida l'ignoto, sapendo che il mare Oceano lo inghiottirà assieme ai suoi uomini e alla sua nave. Dante lo sbatte all'Inferno tra i mentitori, “in basso“ nelle cantiche. Ma Odisseo che sfida l'ignoto e gli dei, in un altro film, ce la farebbe a raggiungere quella terra “grande come un continente“ di cui scrive Platone nel “Crizia“ e nel “Timeo“. O magari si fermerebbe “prima“ nella grande isola che sta, secondo Platone, tra le Colonne d'Ercole e questa misteriosa terra. Alcuni reputano che il grande filosofo abbia descritto Atlantide.

Fantascienza? No: supercazzola. Una delle più conosciute della storia. Pare che Platone si rifacesse ai testi (perduti ) di Solone. Uno che era stato in Egitto in “quella biblioteca“ poi distrutta dagli arabi (solita storia, un libro basta: quello con il Paradiso popolato da decine di vergini per ogni martire) e che aveva incontrato i “maghi“ del Faraone. Quelli di cui Mosè si fa beffe (anche allora gli ebrei non scherzavano) costringendo il sovrano a liberare il suo popolo dalla schiavitù. Quindi supercazzola: come se fosse antani. Con lo scappellamento a destra. E in quale altra direzione, se no, di questi tempi, governati – come sostiene un mio amico – dalla “ducetta”?

 

 

 

 

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