I sentieri di Cimbricus / Tommasi: "Prima di Internet, c'ero io"
Giovedì 9 Gennaio 2025
Frutto di una memoria prodigiosa, sostenuta da uno studio continuo – Rino non buttava via il tempo che la vita concede – e dall’abitudine, mai perduta, di annotare in quei taccuini che sono il suo lascito, la sua biblioteca di Babele.
Giorgio Cimbrico
Quando Phelps stava per andare in vasca, era il momento di chiamare Rino che, nell’infinita sala stampa di Pechino, teneva aperto un libriccino su cui vergava numeri con una calligrafia minuta: non era il codice di Hammurabi ma una statistica sui calci d’angolo che investiva la stagione e il passato.
A quel punto Rino lasciava la sedia, metteva in mostra la sua alta statura, il portamento eretto, e si avviava, in calzoncini corti e calzini altrettanto ridotti, verso la piscina stringendo le maniglie di una borsina di Wimbledon. “Potresti regalarmela: chissà quante ne hai”, azzardò un giovane collega. “Non posso: ho la collezione completa degli ultimi quarant’anni”, rispose inviando piccoli, benevoli raggi dagli occhi penetranti.
Ora che se n’è andato, quando i 91 anni non erano lontani e la nebbia oscurava da tempo la sua visione chiara e razionale, se ne raccontano molte sul suo conto e alcune, con un certo compiacimento, vengono proprio da lui. “Rino, please”, disse John McEnroe quando stava per battere e Rino aveva alzato troppo la voce, che aveva penetrante quanto chioccia era quella del suo compagno di avventura, Gianni Clerici. Il loro commento era uno strano cocktail, un dialogo tra due vecchie signore inglesi all’ora del tè: annotazione tecniche e statistiche, squarci estetici, storie affascinanti e se tutte non erano vere, pazienza. Oggi, in pieno proibizionismo, sarebbero ammoniti, censurati, rimossi. Il dottor Divago e Computerino, si erano ribattezzati.
Amava autodecorarsi: “Prima di Internet, c’ero io”. Frutto di una memoria prodigiosa, sostenuta da uno studio continuo – Rino non buttava via il tempo che la vita concede – e dall’abitudine, mai perduta, di annotare in quei taccuini che sono il suo lascito, la sua biblioteca di Babele.
Tommasi è stato una figura unica, atipica: veronese (vero nome, Salvatore), figlio di Virgilio, a lungo primatista italiano di salto in lungo, negli anni Sessanta è stato il re della boxe romana costruendo cartelloni che avevano nel clou Rinaldi, De Piccoli, Burruni, Benvenuti, Mazzinghi. I risultati al botteghino furono formidabili. Passato sulla sponda del giornalismo parlato e scritto, amava vantare 157 trasvolate sulla rotta Europa-America per “coprire” serate e nottate memorabili.
Inizi di buon livello sulla terra rossa lo convertirono al tennis che seguì per La Gazzetta dello Sport, per Canale-5, per Telepiù, antenata di Sky. Alla fine degli anni Ottanta teneva una rubrica sul Secolo XIX.
Rino aveva il culto della precisione, non ammetteva errori e li sottolineava in qualsiasi situazione, con certi “ehm ehm” diventati proverbiali. “Hanno scritto fittucine, non va bene”, osservava, girando tra le dita il menù di un ristorante italiano che con la cucina nostrana aveva scarso legame.
In meno di due settimane, addio a Gian Paolo Ormezzano e a lui, Rino. Fine di un’epoca, sipario. Addio.
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