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Duribanchi / La "liberazione" di Cecilia e le "colpe" di Giorgia

Giovedì 9 Gennaio 2025


cecilia


Da sinistra anche questa volta si è rimesso in moto il cigolante Carro di Tespi. Col velato proposito di consegnare il paese per decenni alla destra. E questo non può essere un bene. L'alternanza è un bene. Ma per ottenerla bisogna meritarsela.

Andrea Bosco

Parlano. Analisti, demagoghi, giornalisti, influencer, politici, scappati da casa. Logorroici e imprecisi. Spesso faziosi. La collega Cecilia Sala, dopo venti giorni di dura prigionia, tenuta in ostaggio senza neppure la formalizzazione di una accusa dal regime di Teheran, è stata liberata e ha fatto ritorno in Italia. Applausi bipartisan. Giorgia Meloni è volata negli USA, ha incontrato Trump presidente designato degli Stati Uniti, ha parlato con lui per 4 ore, ed è tornata con in tasca la “ricetta“ per ottenere la liberazione di Cecilia Sala.

Probabilmente il via libera per poter restituire all'Iran quell'ingegnere accusato dagli USA di terrorismo, in carcere a Opera e del quale gli USA hanno richiesto l'estradizione. Con evidenza un “prezzo“ da pagare per la liberazione di Sala ci sarà. Non è detto che il tecnico svizzero-iraniano (che gli USA accusano di aver fornito i droni che hanno ucciso in Giordania tre militari statunitensi in un attentato) sarà subito liberato. Il ministro della Giustizia Nordio ha peraltro questo potere. Forse il tecnico di Teheran andrà ai “domiciliari“ (per ora negati dal tribunale di Milano), forse quella minaccia, ripetuta per 4 volte da Trump durante il suo ultimo discorso (“Se Hamas non libera gli ostaggi prima del mio insediamento, scatenerò sul Medio Oriente, l'inferno“), oltre che ai tagliagole palestinesi era rivolto (indirettamente) anche ai preti col turbante di Teheran.

L'Iran in questo momento è un paese umiliato da Israele e visto con sospetto dagli USA. Ha qualche “amico“ in Europa (il migliore è Bergoglio) e anche l'Italia non si è mai dimostrata (purtroppo) nei suoi confronti, ostile. L'Iran è il paese dove le leggi coraniche prevalgono sul diritto internazionale. E dove se indossi poco correttamente il velo finisci in galera, e magari ammazzata. E dove se sei omosessuale finisci impiccato. Il successo dell'iniziativa di Giorgia Meloni (la priorità era riportare a casa salva e velocemente Cecilia Sala) ha segnato poche ore prima la catastrofe mediatica (peraltro premiata nell'audience) di “Di martedì“ su La7 condotta da Giovanni Floris.

Convocata la consueta compagnia di giro (Augias, Santoro, Di Battista, Piccolotti, Fornero, la professoressa Di Pace che si commosse per la morte di una terrorista, mai pentita, assieme ad altre maschere (monumentale una sindacalista costola di Landini), Floris ha allestito una puntatona che si faceva beffe della “valletta Meloni“, trattata (a sentire i protagonisti del Carro di Tespi di Floris) come una poveretta “presentatasi con il piattino in mano“, dal sovranista massimo The Donald. Meloni ha il problema (per la sinistra) di essere intima di Elon Musk, “l'uomo nero più ricco del mondo che sfrutta il suo immenso potere a scapito dei poveri”, strillava a pieni decibel la sindacalista landiniana.

Il problema “per “Di Martedì“ è stato che (come sovente accade in quella contrada) gli ospiti tra un disgusto accentuato per “questa destra“ e “questa presidente del consiglio“, non ne hanno azzeccato una. Cecilia Sala poche ore dopo era in viaggio per l'Italia: libera. Ora, il successo di Meloni rappresenta una mazzata per la sinistra. Che ancora nella giornata di martedì reclamava chiarimenti in Parlamento per come Meloni era volata negli USA, informandone solo Von der Lyen. Si reclamavano dettagli su una visita “non istituzionale“, priva di cavalli e pennacchi. Il “garbo“ istituzionale prima di tutto. Tanto in galera senza un letto, al freddo e con la luce accesa 24 ore su 24, ci stava Sala, mica loro.

Il successo di Meloni pone però oggettivamente due problemi. Uno interno e uno esterno. Serve a un paese democratico una opposizione credibile che lavori per diventare maggioranza. Oggi la sinistra appare allo sbando, tra le cavolate dei Cinque Stelle e l'istrionismo di Renzi, l'indecisione di Schlein a tutto, il suo pericoloso flirt con Landini che auspica la “rivolta sociale“ e l'appoggio ottenuto da Bonelli e Fratoianni al prezzo di una Ilaria Salis. Una sinistra così frantumata (quasi la realizzazione del sogno del subcomandante Fausto Bertinotti) oggettivamente non può che preoccupare.

E' vero che il Pd nei sondaggi è leggermente cresciuto. Ma sempre nei sondaggi Fratelli d'Italia è simmetricamente cresciuto al pari del Pd. Una sinistra degna di questo nome metterebbe nero su bianco le cose che a suo parere sono da realizzare, incalzando il governo su questi temi. Non sulle irrealizzabili richieste (3000 miliardi sono il debito pubblico – in crescita – del paese) di Landini. Magari dicendo una parola sulla indecente abitudine di scioperare e fermare i trasporti ogni venerdì, creando disagi immani a chi lavora e che i mezzi pubblici è costretto ad usare. Perché se nelle città governano i Sala e i Lepore non c'è alternativa: le auto private, o ti sveni per farle circolare, oppure le lasci in garage e devi affidarti al Caval di San Francesco.

Magari aprendo gli occhi sulla insicurezza che regna ormai nelle città, prese in ostaggio da criminali di ogni etnia, italiani compresi. Magari dicendo una buona volta che occupare abusivamente le proprietà altrui è un reato. A cominciare da quel Leoncavallo di Milano, Centro Sociale reso famoso nei decenni per illegalità di ogni tipo (ci andai a prendere una sera mia figlia quando aveva 18 anni e riteneva che studiare e lavorare fossero cose capitaliste da evitare) ai proprietari del quale, lo Stato dovrà risarcire milioni per mancato sgombero.

Se la sinistra non cambia inevitabilmente consegnerà il paese per almeno un decennio alla destra. E questo non può essere un bene. L'alternanza è un bene. Ma per ottenerla bisogna guadagnarla, convincendo i cittadini. Rispettandoli. Guardando ai loro reali bisogni, non a quelli solo supposti. Il mondo si regge sul capitalismo. Il comunismo ha perduto irrimediabilmente. Serve partire dall'oggettività per sanare le ingiustizie. Che ci sono e sono tante. Una pubblica sanità da riformare (ma chi ha smantellato il sistema sanitario?). Una giustizia da riformare: in Italia la giustizia presenta forme di diffusa iniquità. A cominciare dalle correnti della magistratura. Una redistribuzione della ricchezza: le sperequazioni tra ricchezze sempre più estese e sfacciatamente esibite e povertà, sempre più ampie e sempre più radicali, sono insopportabili.

I salari sono troppo bassi. Ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Per alzare i salari serve abbassare la pressione fiscale. Serve ridurre gli sprechi della pachidermica burocrazia, dove i partiti da decenni vanno a pesca di voti. Serve ridurre (è dura dirlo, ma è così) il welfare: niente ormai può essere gratuito. Non si può avere, come è accaduto in Italia, per decenni un welfare da paesi del Nord Europa e servizi da terzo mondo. Serve riformare la scuola: l'ascensore sociale non funzionerà mai se tutti non si impegneranno.

Fare figli non può essere un privilegio. Ma farli comporta anche fare dei sacrifici. Il “tempo pieno“ a scuola non può essere la panacea. I figli devono sentire la presenza dei genitori, specie fino a quando sono in età adolescenziale. Lo dice uno che rimpiange di non aver dedicato alla figlia tutto il tempo che sarebbe stato necessario: non c'ero mai, immerso nel mio lavoro. (Ma per fortuna c'era mia moglie. Che al lavoro aveva rinunciato nonostante prima di diventare mamma fosse avviata ad una brillante carriera in un istituto bancario. Se mia figlia non è cresciuta “storta“ lo deve a sua mamma). Serve che le nostre università tornino ad eccellere: oggi risultano quasi sempre fanalini di coda. Tutto e subito non si può avere: va detto ai ragazzi che non ci sentono di aspettare, come hanno fatto i loro nonni.

Il problema esterno (anche per Meloni) è rappresentato da The Donald. Uno che vorrebbe annettere il Canada negli stati dell'Unione. Che reclama (nel caso con la forza) il Canale di Panama e la Groenlandia, uno che vuole cambiare nome al Golfo del Messico e che minaccia di scatenare l'inferno in Medio Oriente va preso con le pinze. Questo dovrebbe fare la politica italiana. Non ingobbirsi sugli affari di Musk. Che pare cerchi un castello in Toscana (“per stare più vicino a Meloni“ mi ha messaggiato un amico dalla lingua lunga) e potrebbe acquistare il Liverpool diventando l'incubo di Florentino Perez.

Mi sono dilungato. E quindi al “resto“ dedico briciole.

Ho visto Reyer-Trapani, dopo aver visto Oklahoma-Boston. E sono tentato di dimettermi dal basket. Questa ricerca ossessiva del tiro da tre punti, che ha snaturato il gioco, non la sopporto più. Quasi come il gioco che inizia dal basso del calcio. Quasi come la dannata VAR: nata per sanare gli errori, oggi ne produce di più di quanti non ne sani.

Non so cosa ne pensasse al proposito il grande Rino Tommasi, collega scomparso a 90 anni e con le cui telecronache (impareggiabili i suoi duetti nel tennis con il maestro Gianni Clerici) siamo tutti cresciuti. Capisco l'anagrafe. Ma cara scacchista: anche basta. Dacci un poco di tregua.

Avrebbe avuto 90 anni anche Elvis Presley. I complottisti sostengono sia ancora in vita. Ma quelli credono anche agli UFO e quindi si capisce credano anche a questa cavolata. Il re del rock (che non aveva inventato lui) al quale diede un spinta eccezionale a forza di mosse pelviche e di straordinarie interpretazioni, è uno dei miei rimpianti. Da ragazzino gli preferivo Paul Anka, per via di quella “Diana“ che sentivo vicina. Anche io ero innamorato di una “Diana“, all'epoca. E anche la mia “Diana“ mi aveva spezzato il cuore. Rivista anni dopo, sposata con un geometra del comune di Venezia, ingrassata e con due marmocchi, non potevo credere si fosse ridotta a quel modo. Era una dea. Ma forse ero solo io che la vedevo così. Viva Elvis e viva Las Vegas.

Chiudo con una cosa che mi ha fatto impazzire. Dunque Tg4 nel giorno dell'Epifania. “Pastone“ sulla giornata delle Befane. A Venezia si regata su gusci di noce e alla voga ci sono donne, ma anche maschi vestiti da “maràntega“, con il fazzoletto in testa e il tipico scialletto veneziano. Mia nonna materna ne aveva uno di meraviglioso. Maràntega (con l'accento sulla prima a) in veneziano vuol dire Befana. Deriva dal latino e ha varie accezioni. Cosa dice la poco informata collega in tv? Dice: “la regata delle marantèghe“, con l'accento sulla e. No, collega: marànteghe. Con l'accento sulla a.

Ma la colpa neppure è della collega. Una volta i servizi (io lo facevo per i componenti della redazione che gestivo alla RAI) prima di essere mandati in onda venivano visionati dal capo-redattore di settore e infine dal vice-direttore del Tg. Un servizio televisivo entra nelle case di tutti. E la doppia verifica evitava di mandare in onda sfondoni. Senza voler infierire (l'ho già fatto fin troppo) “marantèghe“ non si può ascoltare. E soprattutto non si dovrebbe ascoltare. E quindi con tutto l'affetto possibile, da veneziano dico: “Ma va in mona collega: ti coe maratèghe".

 

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