- reset +

Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / In memoria di un vero "vizioso" di sport

PDFPrintE-mail

Venerdì 27 Dicembre 2024

 

        gpo 


“Gianpa è stato un Mozart del giornalismo e un onnivoro dello sport. Era per certi versi un ‘rossiniano’ che ispirava simpatia per il suo aspetto fisico e per come si poneva. Ma soprattutto era l‘ultimo grande del ‘mestieraccio’ in via di estinzione.”

Andrea Bosco

“Ormai da qualche tempo non stava bene in salute, ma abbiamo avuto fortuna e ce lo siamo goduti ancora a Natale”, ha spiegato il figlio Timothy, collega del Corriere della Sera. Il verbo usato da Timothy è quello più appropriato. Gianpaolo Ormezzano, torinese, classe 1935 che se n'è andato nella sua città a 89 anni, era un collega che ti “godevi”. Eterno ragazzaccio, talentuoso, un vulcano di idee e una capacità nello scrivere da fuoriclasse.

Gianpa, come lo chiamavano gli amici (lui si firmava Gpo), per spirito creativo è stato un Mozart del giornalismo. Si innamorava di una idea e poteva produrre un articolo o un libro che si leggevano di un fiato. Era geniale. Tifosissimo del Torino nel 2004 pubblicò per Armenia Edizioni “Il Vangelo del vero Anti Juventino”. Ma la sua tremendista passione granata non gli impedì di avere una lunga e vera (ricambiata) amicizia con Giampiero Boniperti: l'uomo chiamato Juventus. Al punto da pubblicare nel 1958, come editore, “La mia Juventus” raccontata (con la prefazione del mitico Carlin: termine abusato ma per Carlin necessario) da Boniperti giocatore che per le ultime sue stagioni da calciatore scendeva in campo accanto a Charles e Sivori.

Boniperti lo avviò alla conoscenza di Gianni Agnelli. Raccontò Ormezzano che una mattina prestissimo (l'Avvocato soffriva di insonnia e dormire gli pareva tempo sprecato), Agnelli lo chiama per chiedergli: “Lei cosa ne pensa di Zico, questo brasiliano che ha preso l'Udinese?”. In un'altra occasione Gianpaolo, che era una linguaccia, gli suggerì (Agnelli in fatto di moda faceva tendenza): “Avvocato, vada allo stadio con i calzini viola: e verifichi, la domenica successiva, quanti spettatori li indossano di quel colore”.

Gli piacevano le biografie. Oltre che di Boniperti fu ghostwriter di Enzo Ferrari e del suo amico Omar Sivori. El Cabezòn durante i Mondiali in Argentina lo tirò fuori (assieme ad altri colleghi) da una situazione complicata con la polizia locale. Ma scrisse del “vecio” Bearzot e del Torino. Scrisse per il Guerin Sportivo, per La Stampa, per Famiglia Cristiana. Di Tuttosport, dove aveva iniziato diciassettenne (come accadeva ai nostri tempi) come “abusivo” e del quale sarebbe, anni dopo, diventato direttore. Ma si dedicò, come “moviolista” anche a una rubrica de Il Giornalino.

Nato da una famiglia originaria di Crocemosso, aveva praticato praticamente tutti gli sport – sci, calcio, basket, nuoto, podismo, credo anche un poco di ciclismo. Ma soprattutto fin da giovanissimo aveva praticato il “mestieraccio”. Non credo abbia mai messo ai piedi un paio di pattini. Ma visto che era “onnivoro”, un vero “vizioso” di sport, nel 1962 esordì in televisione alla RAI conducendo dal Palazzo del Ghiaccio di Torino una trasmissione per ragazzi sul pattinaggio artistico. A differenza di molti che frequentano la professione in modo superficiale, Gianpaolo era attento e scrupoloso: si documentava come lo avrebbe fatto un “topo di biblioteca”.

Aveva ricevuto “le mostrine” al capezzale di Fausto Coppi. Mezzo secolo da inviato: per i Giochi Olimpici, per lo sbarco sulla Luna. Visse l'attacco terroristico di Settembre Nero a Monaco di Baviera, e il Mundial che consacrò gli azzurri in Spagna: in ogni luogo Gianpaolo ha sempre raccontato con estrosa vena, 25 edizioni nel suo carnet, tra Olimpiadi, Mondiali, Giri, Europei. Un inviato davvero speciale che sapeva scrivere di tutto e su tutti. Non sono sicuro abbia praticato il ciclismo. Ma so che al ciclismo Ormezzano ha dedicato un romanzo “Giro d'Italia con delitto”. Oltre a “La fine del campione” e a tre volumi della “Storia del ciclismo” con cui vinse il “Bancarella Sport”. Tra le sue opere anche una “Storia dell'atletica” e una “Storia del calcio.”

Opinionista televisivo a Mediaset, nella trasmissione di Maurizio Mosca – “l'Appello del martedì” – raccontò di essere andato a Parigi (aereo noleggiato da Gpo: svenandomi” se la rideva Gianpaolo) assieme a Paolo Rossi che nella Ville Lumiere doveva ritirare il premio come miglior giocatore del Mundial iberico: solo loro due. Visto che Gianpa era un fiorettista disse a Pablito: “Tu hai fatto sei gol al mondiale, toccando la palla al massimo sette volte”. Rispose Rossi con autoironia: “Facciamo dieci”.

Ormezzano piaceva a tutti perché oltre che un grande affabulatore era di una disarmante sincerità. Una volta, lo chiamo sotto le feste di Natale per salutarlo e mi risponde: “Vivo per miracolo”. E senza fronzoli mi racconta di come erano andate le cose. Era un uomo per certi versi “rossiniano” che ispirava simpatia per il suo aspetto fisico e per come si poneva con il prossimo. Piacque anche alla Gialappa's che lo volle per la competenza e lo humor a “Mai dire gol”. Alla RAI partecipò sempre come opinionista a “90° Minuto”. E sempre come opinionista a TMW Radio nei post gara dove (non infrequentemente) ci incrociavamo. Per qualche tempo anche SportOlimpico ha goduto della sua straordinaria vena.

Non ho la pretesa di aver raccontato tutto di lui. Altri amici, meglio di me, sapranno farlo. Anche per parentesi di vita assieme vissuta. Voglio solo riferire due episodi: invitato nel 2017 al Festival della Disperazione di Andria raccontò di quel “nooo” esclamato dalla compagna di Gigi Meroni accanto a lui in ospedale, quando (l'asso del Torino era stato travolto sulle strisce pedonali), un medico tra quelli che avevano cercato di salvarlo, si presentò a loro e allargò le braccia. Quel “nooo”, confidò Giampaolo, ancora mi risuona spesso nella testa.

Il secondo è cestistico: lui che aveva seguito lo sbarco sulla Luna da Cape Canaveral, alle Olimpiadi di Roma del 1960 c'era stato da inviato. Aveva visto Berruti e Wilma Rudolph, aveva visto Mohamed Ali che ancora si chiamava Cassius Clay. E aveva visto gli americani del parquet: West, Lucas, Bellamy e Oscar Robertson. Una volta mi disse: “Jordan è davvero speciale. Ma lo era anche Robertson. Che è stato Jordan, prima di Jordan. Un poco come Sivori è stato Maradona, prima di Maradona”.

E' morto per un malore. Mi piace pensare non abbia sofferto. Ai medici, in vita, si era abbondantemente affidato. Parafrasando l'intercalare con il quale chiudeva ogni conversazione o ogni mail o messaggio – “ viva noi – con affetto “viva te, Gpo”.

 

 

Cerca