Duribanchi / "Per fortuna che c'e' la Belva"
Martedi 17 Dicembre 2024
Non è la migliore, però lei è Sofia Goggia, empatica come poche, una forza della natura che dopo aver temuto di non sentire più “il fuoco dentro”, ha spiegato che questo è solo l'inizio della sua (ennesima) vita sportiva.
Andrea Bosco
Per fortuna viviamo in Italia. Dove ne accadono di ogni (tipo uno sciopero ogni tre giorni, con contorno di cortei, violenze, okkupazioni, di case, di università e di scuole, mescolando la tragedia di chi perde il lavoro, punito dalla globalizzazione selvaggia, sempre inseguita e mai stigmatizzata, con la violenza sulle donne, la guerra in Palestina dei genocidi israeliani, mai una parola contro la bestialità di Hamas.
Mai una bandiera russa bruciata contro la guerra del macellaio Putin in Ucraina, la destra “fascista“ che ormai governa mezza Europa, oltre che dal prossimo gennaio anche gli Stati Uniti, il divieto di mettersi al volante dopo aver “pippato“- non piace a Blasco ma non a tutti è consentita una vita spericolata alla Steve McQueen – le misure contro chi guida consultando il cellulare e magari uccide chi transita sulle strisce pedonali.
E ne ho elencata solo qualcuna: fossi puntuale non mi basterebbero i tomi dell'enciclopedia britannica. Una cosa però va detta: scioperare è un diritto garantito dalla Costituzione. Ma la Costituzione dovrebbe garantire anche il diritto ad ogni singolo cittadino di potersi muovere, usando i servizi. Ma se i servizi vengono per 24 ore sospesi, il diritto del singolo non viene garantito. E una Costituzione che non lo fa, non è buona Costituzione.
PROTESTA – Democrazia non è: faccio il cazzo che mi pare. Ci sono alcuni aspetti della protesta che condivido e che potrebbero portarmi in piazza a sfilare. Ce ne sono altri che mi disgustano. Perché impongono con protervia il pensiero di pochi. Cade il governo Meloni? Può essere. E poi? Governicchio di sinistra magari appoggiato esternamente da qualche voltagabbana? E' improbabile: si tornerebbe a votare. E difficilmente uscirebbe una maggioranza diversa da quella attuale. Considerato che i sondaggi danno Fratelli d'Italia addirittura in crescita rispetto alle ultime elezioni. E che Giorgia Meloni è stata incoronata da un organo autorevole ma non di “destra“, come “la donna più potente d'Europa“, definita da Trump (prossimo presidente USA), “ fantastica“, lodata dalla CNN e dal Financial Time.
Meloni si può visceralmente detestare o altrettanto visceralmente apprezzare. Ma certamente non può essere liquidata come “ininfluente“ come continuano a sostenere gli avversari. La verità è che solo inciampando (vedi provvedimento che alza gli stipendi della casta, vedi la follia di annullare le multe ai no Vax, vedi la testardaggine nel portare avanti una “autonomia differenziata“ che non potrebbe stare in piedi: ci sono regioni del Sud che senza assistenzialismo e rimesse economiche dello Stato andrebbero in default) o esponendosi al fuoco amico (vedi alcune irrealizzabili pretese di Salvini e quelle concorrenziali di Tajani) o ancora evitando di realizzare velocemente una riforma della giustizia non più rinviabile (nonostante gli strepiti del dottor Santalucia), il governo potrebbe evaporare. Ma, per ora, proprio non sembra “aria“.
ARABIA FELIX – Ma per fortuna viviamo in Italia. Perché fossimo in Francia, neppure “Buon Natale“ potremmo augurarci. Da noi, al massimo, qualche dirigente scolastico talebano fa togliere i crocifissi dalle aule o magari vieta il presepe. “Per non offendere la sensibilità di altre confessioni“. Le “altre confessioni“ in realtà se ne sbattono. Una sola eccepisce, una sola protesta. Quella per la quale la legge del Corano è più importante di quelle del paese nel quale (chi la pratica) vive: quella islamica. L'islamizzazione del mondo è da tempo cominciata. Non esiste un Islam “moderato“. E' una invenzione dei progressisti occidentali. Esiste un Islam ricco sfondato che ottiene per “acclamazione“ (alla faccia della democrazia) da Infantino, presidente della FIFA, il mondiale del 2034.
Tutti d'accordo. Con la sola astensione della Norvegia che ha chiesto un monitoraggio sui diritti umani in Arabia Saudita che il mondiale si è aggiudicata. Mica per niente: da quelle parti, i giornalisti che dissentono vengono prelevati in una ambasciata (risulta al signor Erdogan? Risulta al presidente Biden? Risulta a Matteo Renzi, conferenziere preferito di Bin Salman?, risulta ad Abodi, a Gravina, a Malagò?) fatti a fette, inceneriti e dissolti nell'aria del deserto. Si giocherà anche in una città (d'inverno, facendo sospendere i campionati di tutto il mondo, come già accaduto in Qatar) che ancora non esiste, ma che esisterà: al modico costo di 500 miliardi. Non ho capito bene se di euro o di dollari. Roba da Peter Pan, tipo “L'isola che non c'è“. Per dettagli citofonare Edoardo Bennato.
MILANO DA BERE – Sono andato a salutare in Comune, alla Camera Ardente, là dove era esposta la salma, Paolo Pillitteri. Non sono andato ai funerali: li detesto. A troppi e di troppi amici e amiche ho presenziato. Paolo era uno di loro. Mi mancherà la sua ironia e il suo humor anglosassone. Le nostre chiacchierate sul cinema e sui film di Federico Fellini che lui adorava. Su “Rocco e i suoi fratelli“ e su quella Milano che era socialista e solidale e che si ribellava, negli anni dell'immigrazione dal Sud ai cartelli che spiegavano che non si affittava ai “meridionali“. Di Mani Pulite parlava pochissimo. Anche se qualche cosa sui magistrati del “Pool“, prima che diventassero i giustizieri del sistema, avrebbe potuto dirla. Visto che alcuni di loro abitavano, ad equo canone, nelle case del Comune. Magari con vista Duomo.
Non aveva nostalgia della “Milano da bere“ e dei suoi eccessi. Ma era solito dire che quella Milano aveva fatto “divertire quasi tutti“. Era la Milano che cavalcava il berlusconismo, la Milano della moda, dello shopping, delle modelle, delle discoteche, degli affari impossibili che diventavano possibili. Dei paninari e degli “zanza“ dei centri sociali (altro rinvio per lo sgombero del Leoncavallo) e degli yuppies “imbruttiti“. Era la Milano nella quale entravi alla sera in un disco-bar e potevi uscirne accompagnato da una sosia di Pamela Anderson. Era la Milano delle grandi mostre e del Milan degli invincibili che se la giocava soprattutto con la Juventus. Oggi entrambe nobili decadute.
BERGAMO E PIÙ – Il nuovo che avanza si chiama Atalanta (con merito). Del resto Il Sole 24 Ore “ha stabilito che Bergamo è la città d'Italia dove si vive meglio e dove migliore è la qualità della vita”. Ne avevo parlato la scorsa settimana e la statistica non era stata ancora pubblicata. Milano è al 12° posto, in regresso. Roma addirittura è cinquantanovesima e non si capisce come farà a gestire il Giubileo ormai imminente. Per la cronaca di 200 opere previste, ne sono state completate 60. Andamento romano: lento.
La mia passione juventina è diventata da tempo tiepida. Domenica scorsa – per Juventus-Venezia – non sapevo per chi tifare. Il pareggio ha scontentato tutti, anche il sottoscritto. Perché il Venezia avrebbe meritato di vincere e perché pur essendo ancora imbattuta in campionato (e aver perso una sola gara in Champion's) la pareggite che affligge la squadra di Motta è il sintomo di un male neppure oscuro, io reputo, legato alla preoccupazione dei giocatori di eseguire gli schemi del proprio allenatore più che di assecondare l'istinto. Oggi va così: oggi Maradona, Pelè, Sivori, Zico (ma anche Baggio, Del Piero, Totti) non sarebbero quelli che conosciamo. Oggi farebbero i “terzini“ come accade ad Yldiz, confinato sulla fascia sinistra e sovente chiamato a correre a ritroso. La Juventus sta vivendo un anno di transizione. Non è da scudetto e non lo vincerà. Ma sta scivolando in classifica, lontana dal quarto posto che assegna la partecipazione alla Champion's. E questo dovrebbe preoccupare Thiago Motta (e i tifosi) più dei pareggi. Quanto al Venezia, temo sia virtualmente spacciato. Neppure gioca male. Ma è fragile e sfortunato. Per chi scrive è stato un fine settimana tragico. Del pari dell'Allianz ho detto.
GATTI DI MARMO – Della paga beccata dalla Reyer a Tortona dall'ex De Raffaele è difficile scrivere: squadra sbagliata e (pare) irritata contro l'allenatore. Possibile: ma quei giocatori (tutti, nessuno escluso) li ha scelti Spahija. Che non è il miglior allenatore del mondo. Ma neppure i giocatori sono i migliori. Evito di fare i nomi. Ma certe “mani quadrate“ e certi “gatti di marmo“ sono una indecenza per il parquet . Visto che se piove, facilmente grandina, la Reyer femminile che non aveva mai tradito (almeno sul piano del gioco) lo ha fatto per due volte di fila nel fine settimana: a Saragozza e in casa in campionato contro Campobasso. Stanche? Certamente. Con la testa al Natale? Magari anche.
Resto del parere che le addizioni fatte in estate (ad esclusione di Miccoli, ragazza da formare ma di buona grana) siano stati inserimenti interessanti ma poco funzionali alla squadra. Serviva un'ala grande con punti nelle mani ed è stata presa una guardia. Serviva un centro (al posto di Sheppard): Stankovic difende meglio dell'americana, ma a stento arriva in doppia cifra sul tabellino. E questo pesa. In più, la ripresa di Santucci si sta rivelando più lenta del previsto. E a mio modesto parere, Villa (ormai imprescindibile) ha bisogno di rifiatare. Sta giocando dall'anno scorso senza mai saltarne (tra campionato, coppa, nazionali) una. Poi visto che il mio cuore batte anche per l'Olimpia dai tempi nei quali andavo a casa di Cesare Rubini a parlare di Crippa e di Trieste, l'Armani ha perso il derby con Varese. Come accadeva anche a Rubini. Soprattutto perché Varese aveva Dino Meneghin, l'“americano“ nato ad Alano di Piave che era più forte di quasi tutti gli yankees che arrivavano da oltre oceano. Oggi Varese un Meneghin non ce l'ha. Ma oggi l'Armani può vincere a Barcellona e naufragare in Italia. Questione di priorità.
VITA DA BELVA – Ma per fortuna c'è la Belva. Che undici mesi fa, era fratturata in più punti e con le stampelle. Ma che a Beaver Creek in Colorado, su una delle piste più impegnative del mondo, prima è arrivata seconda nella Libera e poi ha conquistato il podio in SuperG. Lei è Sofia Goggia con l'erre moscia da Bergamo. Che ha spiegato di saper fare solo la “polenta taragna“ (quella che mangia Renzo, a proposito di Don Lisander), che alla fine ha accennato a dei passi samba ancora con il casco in testa, e che prima di scendere si era sentita al telefono con l'amica quarantenne Lindsey Vonn per accertarsi delle condizioni della pista che la statunitense aveva monitorato.
La Belva ha 32 anni e dopo quanto le era accaduto, una “normale“ avrebbe messo gli sci in cantina. Ma la Belva è speciale. Non è la migliore: Federica Brignone ha vinto più gare di lei. Però lei è Goggia, una forza della natura che dopo aver temuto di non sentire più “il fuoco dentro“, ha spiegato che questo è solo l'inizio della sua (ennesima) vita sportiva. Brignone è calma e composta (lo testimonia le bella intervista a Sky fatta in coppia da Federico Buffa e Federico Ferri) ma se io mi occupassi di sci, venderei l'anima al diavolo per intervistare Sofia Goggia, una che minimo tre titoli te li offre. Sofia in ebraico significa “sapienza di Dio“. In greco “saggezza“. Ma chi forse meglio ci ha preso, sono stati gli arabi: per loro Sofia significa “pietra verde“, simbolo di amore ed empatia. Insomma la Goggia. Che è empatica come pochi. E che non puoi non amare a meno di non essere (ed è comprensibile) la mamma della Brignone.
SANGUE E SMORFIA – Il sangue di San Gennaro (il rito si svolge tre volte l'anno) stavolta non si è sciolto. Il cardinale di Napoli, Sepe, ha invitato i fedeli a non trarne cattivi presagi. Ma hai voglia: a Napoli quando il sangue non si scioglie, la vendita di cornetti rossi e ferri da cavallo sale a dismisura. Se il sangue non si scioglie, la “sfiga“ è assicurata. Mica solo a Napoli: nell'orbe terraqueo. Quando si scioglie, giocare il 18 (“il sangue” nella Smorfia) rende ricchi quanti si affidano al Lotto. Nel 2018, un anonimo vinse la bellezza di 5 milioni. Ora se anche San Gennaro è talmente incazzato (forse per via di quel “fallo“ smisurato che gli hanno piazzato in piazza, spacciandolo come arte) da non far sciogliere il sangue, nella cabala, è il numero 89 a rappresentare il presagio di sventura. Il mondo solitamente non ci fa caso. A Napoli sta andando alla grande il 30 (‘o maluocchie), il 49 (‘o curniciello) e il 57 (‘o scartellato): il terno anti malavventura. Facile che qualcuno ci guadagni.
Ma ho parlato con un caro amico partenopeo: il timore a Napoli è che il presagio significhi che Antonio Conte non vincerà lo scudetto. E una simile “scurcionata“, neppure a San Gennaro verrebbe perdonata. In ogni caso meglio incrociare le dita e “Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio / corna, bicorna, capa r'alice e capa r'aglio. Sciò, sciò ciucciuvè, uocchio, maluocchio, … funecelle all'uocchio, ... diavulillo, diavulillo, jesce a dint'o pertusillo … sciò sciò ciucciuvè, jatevenne, sciò sciò“. Non ci credo, ma è sempre meglio provare con lo scongiuro di Peppino Pappagone. Perché, l'ultima volta che il sangue di San Gennaro non si è sciolto, poi è arrivato il Covid. “Terque, quaterque, testicula tacta, omnia mala fugat “. Non lo scrivevo dai tempi del mio primo anno all'università e non credo sia necessaria la traduzione. Ero una matricola e la goliardia era un divertente rituale. La scritta campeggiava, con altre, sul mio papiro incerato. Il rituale prevedeva anche un “jactato pilo“. Non vado oltre nella, peraltro intuibile, descrizione.
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