Duribanchi / Un intreccio dalle mille sfaccettature
Martedì 3 Dicembre 2024
“Israele e Palestina, guerra infinita. Ma nella gran confusione che mescola ebraismo, giudaismo, semitismo, sionismo una cosa è certa: ebrei e Israele sono la medesima cosa. Una democrazia in un oceano di autarchie.”
Andrea Bosco con Carlo Parra
La tragica vicenda palestinese è un intreccio dalle mille sfaccettature. Dove le ragioni degli uni risultano parallele a quelle degli altri. La Palestina è un vulnus, una ferita che nel tempo si è ingigantita per la responsabilità, a livello politico e religioso, di tanti. E' una storia che comincia ben prima della nascita dello stato di Israele. Prima dell'inizio della seconda guerra Mondiale.
Aggravata dalla persecuzione da parte della Germania nazista degli ebrei. La Palestina era un protettorato inglese. E gli ebrei, almeno alcune fazioni estremistiche, li combattevano. Con gli attentati e le bombe.
I Cananei arrivarono dalla penisola araba nel 6000 AC creando i primi insediamenti a Ebla e Gerico. Gli ebrei vi giunsero nel XIII secolo AC quando quelle terre già dominate dagli egiziani videro l'insediamento dei Filistei, etnia forse arrivata dall'isola di Creta. Si reputa che attorno al 1200 AC nuclei ebraici si siano formati a Canaan negli altopiani dei futuri regni di Giuda (al Sud) e di Israele (al Nord). Tribù unite attorno ad un santuario centrale a Silo.
I palestinesi dal VII secolo DC sono parte del popolo arabo dal quale hanno appreso lingua, cultura, religione, mescolandosi con loro anche dal punto di vista etnico. E' possibile che Cristo fosse un palestinese. Ma ai tempi della sua predicazione, sotto la dominazione romana, la Palestina non esisteva. Quelle terre si chiamavano Galilea, Giudea, Samaria. La Gran Bretagna ne prese il controllo dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella prima Guerra Mondiale. La maggioranza della popolazione era araba, una minoranza ebraica, ma altri gruppi etnici di minore entità erano presenti.
Ci fu un tempo nel quale il gran Mufti di Gerusalemme Amin al Husseini era alleato di Hitler. Pedina che i nazisti usarono in chiave anti-britannica. Hitler promise ai palestinesi, ai curdi e ai nazionalisti dell'Iraq ”l'indipendenza dei protettorati se avessero scatenato rivolte“, fornendo nel contempo materie prime e informazioni all'intelligence tedesca. Sullo sfondo il sogno svanito del grande Stato arabo ipotizzato da un inglese, agitatore, sabotatore, visionario (ma innamorato del deserto e della cultura beduina): T.E. Lawrence.
Lo stato di Israele proclamato il 14 maggio 1948 (dopo approvazione delle Nazioni Unite), dal primo ministro della neonata nazione David Ben Gurion, nasce da un compromesso. Dal senso di colpa degli alleati che avevano sconfitto l'Asse, ma che avevano ignorato troppi segnali (Chiesa compresa) su come Hilter avesse messo a punto il nefando piano per sterminare gli ebrei nelle camere a gas. La risoluzione dell'ONU prevedeva “due popoli e due stati“. Cosa mai avvenuta.
Gli arabi, presenti al 90%, per lo più musulmani, in Transgiordania avevano ricevuto l'assicurazione dagli inglesi presenti nell'area fin dal 1922 che mai la Jewish National Home in Palestine, sarebbe stata da intendersi come nazione ebraica in Palestina e che la commissione sionista della Palestina non avrebbe avuto alcun titolo per amministrare il territorio. Ma questo prima dello scempio nazista. Da allora la guerra e la morte sono state la costante di quelle terre. Il 15 maggio del 48' un giorno dopo la proclamazione, Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq aggredirono il neonato stato ebraico considerandolo un invasore.
Oggi il mondo parla di Hamas e di Hezbollah come prima parlava di Olp, uno dei tanti movimenti nati per la liberazione della Palestina. Il leader di Olp, Yasser Arafat, si presentò all'ONU con una frase restata celebre: “Vengo in pace con un ramoscello d'ulivo in una mano e un mitra nell'altra: fate in modo che non cada il ramoscello“. Una delle pagine più tragiche (una tra le mille di una carneficina che appare senza fine) fu l'attentato da parte del gruppo terroristico Settembre Nero a Monaco di Baviera nel 1972, durante le Olimpiadi, quando un commando irruppe negli alloggi degli atleti israeliani, uccidendone un paio e prendendone in ostaggio altri nove. Il tentativo di liberarli da parte della polizia tedesca portò alla morte di tutti gli atleti, di cinque fedayyn e di un poliziotto tedesco. La vendetta di Israele sarebbe stata terribile: ogni palestinese coinvolto nell'ideazione di quell'attentato fu infatti sistematicamente eliminato negli anni successivi ad opera del Mossad, il servizio segreto di Israele.
Nei cortei “pro pal“ in Italia, in Europa, nel mondo, si sente gridare “Palestina libera“. Facendo esplodere un sentimento antisemita che data dalla notte dei tempi. I “deicidi“ a lungo rinchiusi nei ghetti, bollati quali assassini del Salvatore. Gli ebrei, però, il loro Messia ancora lo stanno attendendo. Ma il discorso sarebbe lungo e coinvolgerebbe i testi sacri e l'interpretazione dei medesimi. Nella gran confusione che mescola ebraismo, giudaismo, semitismo, sionismo una cosa è certa: ebrei e Israele sono la medesima cosa. Una democrazia in un oceano di autarchie. A volte governata da conservatori, a volte da riformatori di sinistra, a volte condizionata da integralisti fanatici, il cui fanatismo è paragonabile a quello dell'estremismo islamico.
L'odio verso gli ebrei è antico e nasce dai pregiudizi. Dagli egizi che li tenevano in schiavitù, ai cristiani, fino ai musulmani, la figura che spicca è quella dell'ebreo “errante“ che fugge sempre da qualcuno perché colpevole di ogni male del mondo. La Russia (ex URSS) con la pubblicazione di “Protocolli dei Savi di Sion“ ha da sempre contribuito alla diffusione delle più clamorose menzogne nei confronti degli ebrei. A cominciare da quella che sacrificassero i neonati dei quali addirittura si sarebbero nutriti. La lobby ebraica che condiziona il mondo è un falso storico. Anche se certamente i gruppi economici gestiti da ebrei sono molto potenti e controllano svariati mercati nel mondo.
Oggi la presenza dell'Iran che predica la cancellazione di Israele, chiamata da Theeran “entità sionista“, ha aggravato gli scenari, stante il rapporto diretto dell'Iran con Putin. E' emerso che i vertici di Hamas fossero a Mosca prima dell'eccidio del 7 ottobre del 2023. Strage che ha portato alla conseguente ritorsione di Israele e alla carneficina in atto da un anno a Gaza. Anche se il numero delle vittime è oggetto di rivendicazioni di parte: 45.000 secondo Hamas, meno di 10.000 secondo le stime diffuse dall'ONU. Numeri comunque mostruosi in un contesto nel quale la guerra viene fatta attraverso (e inevitabilmente contro) i civili inermi.
Sono circa 90 (non si sa se tutti ancora in vita) gli ostaggi israeliani nella mani di Hamas. Che ha rapito persino i cadaveri del pogrom del 7 ottobre in attesa di farne merce di scambio. Ogni famiglia palestinese che perde in battaglia un suo componente ha diritto ad un risarcimento da parte di Hamas. Che garantisce sussidi ai famigliari dei martiri caduti per la causa di Allah. La risposta di Israele è stata ancora una volta terribile: uno alla volta, tutti i capi di Hamas e di Hezbollah sono stati eliminati. Oggi è in atto una fragilissima tregua in Libano, peraltro sistematicamente violata dalle parti. E nel frattempo, per la prima volta, Israele ha attaccato direttamente l'Iran e l'Iran ha replicato: con controreplica di Israele.
L'insediamento di Trump alla Casa Bianca potrebbe portare a sviluppi: forse positivi, forse negativi. Israele non permetterà mai che l'Iran si doti di armi nucleari. Nel contempo nessuno conosce la deterrenza di Israele. Ma pare verosimile disponga di ordigni nucleari. Contestato anche in patria, il premier israeliano Nethanyau, è peraltro saldo al governo. La Corte Internazionale ha spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura per “genocidio“ innescando polemiche di ogni tipo. Mandato, peraltro, emesso anche contro Putin con risultati risibili. Egualmente accadrà, presumibilmente, per “Bibi”. La presidenza Trump chiarirà anche il destino della Palestina. Israele sta vincendo sul campo ma si è alienata il consenso di mezzo mondo.
Durante la sua prima presidenza, Trump aveva spostato l'ambasciata USA a Gerusalemme, dando un segnale importante per la sua politica in Medio Oriente. Proseguirà su questa strada? Gerusalemme è un nervo scoperto. Da secoli arabi, cristiani ed ebrei ne rivendicano la “proprietà“. Tutti chiedono “pace“. Ma nessuno sa come raggiungerla. Dopo il pogrom del 7 ottobre del 2023, “Bibi” affermò che gli attentatori, e gli ideatori del massacro, erano “morti che camminano“. Quasi tutti sono stati eliminati dal Mossad. E in molti reputano che il leader iraniano Khamenei che invoca la morte di “Bibi”, potrebbe non morire di vecchiaia nel suo letto. Non si rammenta nella storia una faida di queste dimensioni. Il mondo che protesta e sfila in corteo pro Palestina confonde i termini della questione: mettendo in un unico calderone guerra a Gaza e a Beirut, conflitti sociali e ostilità verso i governi. In una stagione di ribellismo che non si vedeva nel mondo dal 1968.
Ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera che il sangue con il quale i manifestanti imbrattano le foto della premier Meloni rammentano “il giovane palestinese che alcuni anni fa si affacciò alla finestra di un edificio all'interno del quale erano stati appena linciati due soldati israeliani catturati nel territori occupati. Il giovane aveva partecipato al linciaggio e tutto contento ne mostrava alla folla festante l'esito spaventoso rimastogli sulle mani“. Orrori rivendicati oggi come “libertà“, nel segno della “pace“. In un labirinto dal quale sembra impossibile uscire.
Protestare è un diritto. Ma la protesta che vede folle, in aumento, scendere in piazza, non mette mai al centro il “come“ ma solo il “chi“. E' una protesta che non è a favore di “qualche cosa“, ma sempre e solo – come spiega della Loggia – contro “qualcuno“. L'odio è una molla potente. Ma non risolve i problemi. I problemi si risolvono con il compromesso. Che inevitabilmente non può che scontentare le parti in causa. Per primo dovrebbe saperlo il vescovo di Roma che troppo spesso dà l'impressione di essere anti-occidentale. Fino a definire l'Iran, paese che giustizia i gay, che imprigiona e tortura le donne colpevoli di non indossare correttamente il velo, un paese da “considerare“. Un paese che ha l'ossessione del corpo delle donne è un paese – al netto della real politik del pontefice – da condannare, non da considerare.
“Due popoli e due stati“ era una bella idea. Oggi, verosimilmente, è una utopia impossibile – a breve – da percorrere. Oggi al massimo si deve lavorare per un cessate il fuoco che consenta, a Gaza come nel Libano, che la vita prevalga sulla morte. Ma sarà difficilissimo chiudere le ferite che una guerra spietata (come sempre sono quelle di religione), ha inferto. Israele ha il diritto di esistere e di salvaguardare la sua sopravvivenza. I palestinesi egualmente ne hanno il diritto. Ma dovrebbero decidere se per loro sia la migliore delle soluzioni, quella di continuare a sostenere Hamas. Che, verosimilmente, anche in caso di una tregua, in vista di una ricostruzione di Gaza, non potranno continuare a governare la “striscia“. Israele non lo permetterebbe: anzi, non lo permetterà. Si sta lavorando, lodevolmente, per la pace. Consapevoli, purtroppo, come spiegava il Duca di Levis in “Massime, precetti e riflessioni“ che “ tutti i popoli sono per la pace, nessun governo lo è“.
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