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I sentieri di Cimbricus / "Gli Anni dell'Avventura" (prima parte)

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Sabato 30 Novembre 2024

 

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Dopo 150 anni il ritratto di un’epoca e l’autoritratto di un giovane che prometteva bene. Come giocatore di polo, come cavalleggero, come corrispondente di guerra, come scrittore. Quello con le dita a V sarebbe venuto dopo.

Giorgio Cimbrico

L’ultimo è stato Gary Oldman, il quattordicesimo Winston Churchill sullo schermo: Oldman ha vinto l’Oscar per “L’ora più buia” e alla produzione è costato 20.000 dollari di sigari cubani. Prima di lui, Richard Burton, Brian Cox, Brendan Gleeson, Albert Finney, Michael Gambon, Tim Spall, Bo Hoskins, John Lightgow, Simon Ward.

Nessuno, né Gesù, né Napoleone, nè Hitler, ha avuto tanti volti che hanno tentato di imitare quello del vecchio Winnie che dalla sua tomba nella brughiera sta per festeggiare il 150° anniversario della nascita: 30 novembre 1874, a Woodstock, che non c’entra niente con uno dei luoghi sacri del rock. Questa Woodstock è nei pressi di Oxford e Blenheim Palace è una sterminata e trionfante costruzione, la celebrazione in pietra della più grande vittoria di John Churchill, primo duca di Marlborough, amico del piemontese principe Eugenio: due dei grandi condottieri della prima parte del Settecento.

Winston, che trovava sempre il tempo per riversare su carta storie, esperienze, pensieri, fatti e finì per portare a casa anche un Nobel per la letteratura, all’avo dedicò una delle sue opere, monumentale quasi quanto la Storia della Seconda Guerra Mondiale e la Storia dei popoli di lingua inglese. Dormiva poco, pensava molto.

La sua magnifica collezione di soldatini può essere ammirata in uno dei saloni della residenza. “Capii solo molto tempo dopo che mio padre mi permise di abbracciare la carriera militare ritenendomi troppo asino per diventare avvocato”, raccontò in una delle sue prime opere, “Gli anni dell’avventura”.

Sono le stagioni che, dopo una serie di disastri scolastici, si aprono con la partenza per l’India. Una delle priorità, sin da quando le cime venivano mollate a Southampton e lungo la navigazione, era fondare un club, dotarlo di una cassa, discutere sulla scuderia da interpellare appena -approdati a Bombay: pare che la Bycullah, che aveva cavalli arabi e comprati nel generoso Balucistan, fosse la migliore. Gli uomini del 4° Ussari stavano per conoscere l’eccitante esperienza del Raj, sognavano gloria sulla frontiera Nordovest contro afghani e pathan dai denti abbaglianti e dalla mira pericolosa e non vedevano l’ora di affidare ai syce, ai mozzi di stalla, i loro nuovi pony. Il torneo interreggimentale di polo li attendeva.

A questo punto – è il 1896 – non resta che lasciare la parola al 22enne sottotenente Winston Spencer Churchill: “Per giocare a polo dovete avere dei pony da polo. L’esperienza diceva che un reggimento trapiantato dall’Inghilterra in India per due anni non avrebbe contato nulla nelle competizioni. Due anni erano il tempo normalmente necessario per mettere insieme una vera scuderia”. Ma la fortuna è dalla loro parte: rilevano subito 25 eccellenti pony dal Poona Light Horse Regiment “e ci mettemmo all’opera”. L’obiettivo era il torneo che assegnava la Coppa Golconda, al via a Hyderabad un mese e mezzo dopo lo sbarco dei giovani ussari che avevano dismesso la giubba con alamari per una tenuta tropicale, vitale nell’attraversamento del Deccan battuto da un sole impietoso.

All’arrivo ad Hyderabad l’accoglienza fu all’insegna di un generale rammarico: al primo turno i novellini dell’India dovevano misurarsi proprio contro la squadra di Golconda, formata dalla guardia del corpo del Nizam, ritenuta la più forte del subcontinente. Sotto 3-0, il 4° finì per spuntala 9-3 e, secondo il racconto di Winston, “nei giorni successivi ci riuscì facile mangiarci gli avversari uno dopo l’altro stabilendo il record mai più superato di una squadra che vince un torneo di prima categoria a neanche cinquanta giorni dal suo arrivo in India”.

Dopo esser andato a fare a fucilate con le tribù afridi del Malakand e aver scritto il suo primo libro (che riscosse un eccellente successo in patria e gli procurò una discreta somma), Winston incontrò la sconfitta a Meerut, a nord, in un torneo dall’esito sorprendente: la vittoria toccò al Durban Light Infantry, un reggimento di fanteria. “Di fronte a loro dovettero cedere tutte le squadre inglesi più forti e così successe delle indiane: tutte le ricchezze di Golconda e del Rajputana, l’ambizione dei maraja e la bravura dei loro splendidi campioni si lasciarono portar via la Coppa della Cavalleria da ufficiali di un’arma appiedata. I loro trionfi li dovettero alla capacità di un uomo, il capitano De Lisle, che in seguito si doveva distinguere nella spedizione di Gallipoli e nella Grande Guerra come comandante di reggimento sul fronte europeo”.

Winston abbandona il polo per andare a praticare l’equitazione e il tiro con la pistola in Sudan partecipando nel 1898 alla carica del 21° Lancieri e rischiando di lasciar la pelle nei pressi di Omdurman contro gli ultimi resti dell’armata mahdista. Ne trae un libro, “La Guerra del Fiume”, e torna in India dove riesce a metter finalmente le mani sulla Coppa di Meerut, “esausti sui nostri pony esausti. Ma non vorrei che il lettore se la prendesse con quei giovani ufficiali che prendevano così sul serio un gioco sportivo. Pochissimi di loro erano destinati a raggiungere la vecchiaia e la nostra squadra non avrebbe più visto una partita. L’anno dopo Savory fu ucciso nel Transvaal, Barnes fu ferito gravemente nel Natal e io diventai un politicante sedentario sempre più handicappato dalla mia sventurata spalla”. L’infortunio fu del tutto casuale: all’arrivo in India, sulla scialuppa che lo portava a terra, afferrò uno degli anelli del molo e quando la risacca portò indietro l’imbarcazione, la dislocazione della spalla poteva manifestarsi nei momenti più inaspettati.

Non chiude qui le sue avventure sul campo: fa un salto a Cuba da osservatore nella guerra ispano-americana e va in Sudafrica per la seconda guerra anglo-boera – “Una guerra per soli sahib” è il titolo di un magnifico racconto di Rudyard Kipling – inserendo un paio di nuove specialità: la corsa, dopo aver evitato la fucilazione per l’intervento del piemontese Camillo ed esser fuggito da un carcere di Pretoria, e la speleologia, dopo aver trovato l’aiuto di un tecnico inglese che nasconde il giovane fuggitivo in una profonda miniera popolata di grossi roditori nei pressi di Witbank offrendogli salmerie all’osso: una pagnotta e una bottiglia di whisky. La sua fuga in treno, sino all’approdo nell’Africa Orientale Portoghese, è seguita dai bookmakers e dai giornali, in un’epoca trionfale per i giornali di Fleet Street, come una spericolata impresa sportiva.

“Gli Anni dell’Avventura” sono il ritratto di un’epoca e l’autoritratto di un giovane che prometteva bene. Come giocatore di polo, come cavalleggero, come corrispondente di guerra, come scrittore. Lui ne era sicuro. Quello con le dita a V sarebbe venuto dopo.

 

 

 

 

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