Osservatorio / La lezione di Del Piero: da non perdere
Sabato 23 Novembre 2024
Se non l’avete ancora fatto, dovreste guardate su SKY il documentario di Federico Ferri e Federico Buffa sui 50 anni di “Pinturicchio”. Più di un insegnamento per la nostra dirigenza sportiva, povera di uomini e di progetti.
Luciano Barra
Che Del Piero fosse un super, non mi riferisco al calcio od ai suoi micidiali calci di punizione, l’avevo già capito da tante delle sue interviste. La classe nel parlare, il non dimenticare mai la gavetta, l’umiltà che traspira nella sua personalità, il rispetto per la Juve (anche se ne avrebbe ben donde per lamentarsi di come è stato liquidato), le scelte di vita da calciatore e non ultima da genitore (trasferirsi a Los Angeles per far crescere ed educare i figli in inglese e lontano dall’Italia dove tutto sarebbe stato per loro più facile) ne fanno un esempio di sportivo di cui andare orgogliosi, anche se non si è juventini o calciofili.
Oggi si parla molto, e giustamente, di Jannik Sinner per il suo sapere essere un esempio di umiltà anche fuori dal campo e si ricordano Valentino Rossi o Alberto Tomba, per qualità diverse, anzi opposte. Ma Del Piero per me li batte tutti.
Non perdete l’ultima parte dell’intervista quando i due abili intervistatori cercano di carpirgli un’informazione su cosa farà lui “da grande” dopo i 50 anni appena compiuti. Lì Del Piero è reticente ma qualcosa in testa ce l’ha. Senza dire nulla semina la sua strada con alcuni milestone: ricordare le ascese, le cadute, le sconfitte, saper vedere dal di fuori, capire il processo per tornare in alto, dieci anni di apprendistato dopo aver appeso le scarpe al chiodo, umiltà nel sapere che c’è qualcuno più bravo di te, ecc.
Purtroppo in moltissimi casi di grandi campioni abbiamo visto la loro carriera costruirsi soprattutto sulle glorie ed i successi sportivi. Qui vediamo una persona che sa che deve ripartire da capo, con umiltà, con l’esperienza di quanto fatto e conscio della sfida. Che lezione per molti ex-atleti e soprattutto per molti dirigenti dello sport italiano.
Credo che Alessandro Del Piero potrebbe tranquillamente fare il presidente di una importante Federazione Sportiva e tanto altro dello stesso livello. Ma non l’avreste visto male a capo della Fondazione Milano/Cortina? Forse lui – dopo aver diretto orchestre di decine di solisti in campo – non sarebbe in grado di gestire con le giuste motivazioni un’organizzazione di tal genere?
Ho già ricordato gli esempi di ex campioni in Francia. Lì, ex come Jean Claude Killy a meno di 30 anni ha fatto il co-presidente del Comitato Organizzatore dei Giochi Olimpici Grenoble 1968 (l’altro era Michel Barnier, attuale primo ministro della Francia); o di una serie di quarantenni come Michael Platini, presidente del Comitato Organizzatore dei Mondiali di Calcio del 1998, o di Tony Estanguet, presidente del Comitato Organizzatore dei Giochi di Parigi 2024, o di Martin Fourcade in ballo per essere il presidente del Comitato Organizzatore dei Giochi Invernali del 2030 assegnati alla Francia sulle Alpi Francesi.
E qui ancora una volta i francesi ci hanno dato una lezione. Come? Inserendo nel loro bid per i Giochi Invernali del 2030 l’OVAL del Lingotto di Torino per le gare di ghiaccio in pista lunga. Quell’impianto in Italia l’abbiamo scartato per far parte dell’impiantistica di Milano/Cortina per scegliere invece di costruirne uno a Rho, solo temporaneo e da smantellare dopo i Giochi.
Ho avuto la fortuna di vivere momenti dove i presidenti delle Federazioni si chiamavano Beppe Croce, Artemio Franchi, Primo Nebiolo, Antonio Matarrese, Bruno Grandi, Renzo Nostini, Claudio Coccia, Francesco Zerbi e tanti altri. E ai vertici dei CONI Regionali c’erano personaggi come Giordano Goggioli a Firenze, Pino Orlandi a Palermo, Giorgio Bertotto a Venezia, Andra Arrica a Cagliari, Edo Benedetti a Trento, ecc.
Ma non si può dimenticare (e non posso dimenticarlo proprio io che fui nominato Segretario Generale della FIDAL a 27 anni) colleghi come Giuliano Pacciarelli al Ciclismo, Gianfranco Briani alla Pallavolo, Dario Borgogno al Calcio, Gianfranco Cameli al Tennis, Giovanni Petrucci al Calcio, Enzo Vittorioso al Nuoto, Aldo Stefanini alla Scherma, Roberto Contento agli Sport Invernali e tutta una serie di ex-atleti e/o Maestri dello Sport come Tito Morale, Renato Di Rocco, Gigi Cimnaghi, Michele Maffei, Alberto Berto, Beppe Gentile, Pier Luigi Gatti, Gianfranco Carabelli, Beppe Brunetti e, unica donna, Carla Giuliani. E adesso?
Va anche ricordato come prima del Duemila l’Italia ricopriva tantissimi ruoli (soprattutto presidenti) in campo internazionale. Oggi siamo ridotti a due soli presidenti di Federazioni Olimpiche (Ivo Ferriani al Ghiaccio e Luciano Rossi al Tiro). Ma si ricoprivano tanti ruoli perché c’era una volontà ed una strategia nel conquistarli. Il CONI era sempre a fianco delle diverse candidature e spesso risultava determinante vista la sua credibilità e forza internazionale. Si arrivò anche a finanziare con contributi i diversi ruoli occupati o da conquistare.
In quest’ultimo decennio ricordo solo una lotta fratricida del CONI contro Paolo Barelli, allora in forte ascesa e lanciato a diventare presidente della Federazione mondiali di Nuoto, una delle più importanti degli sport olimpici. Si dice che le vere motivazioni – quelle amministrative furono tutte debellate nelle varie sedi di giudizio, ma il danno rimase – perché un’ascesa di Barelli in così importante incarico avrebbe portato lo stesso a divenire Membro del CIO e quindi di ostacolare l’ingresso in quel ruolo di qualcun altro. Leggi il presidente del CONI Giovanni Malagò.
Come mai questa epopea dirigenziale non si ripete più? I motivi sono diversi. Il primo è stato causato dalla riforma Melandri che ha voluto, in modo populistico, appiattire i requisiti per accedere alle cariche nazionali. Oggi chiunque – basta che dichiari di essere stato tesserato in gioventù (e chi non lo è stato e chi può smentire il contrario?) – può concorre a qualsiasi carica, anche a quella di presidente del CONI. Il secondo è stato quello di aver cancellato da parte di Petrucci & Pagnozzi all’inizio degli anni Duemila, la struttura periferica del CONI, abolendo i Comitati Provinciali e di fatto eliminando a livello dirigenziale una competitività elettorale necessaria per formare un buon dirigente. E ciò ha contaminato anche le strutture delle Federazioni.
Ancora, sempre agli inizi degli anni Duemila, aver tagliato il cordone ombelicale che legava Federazioni e CONI, evitando il necessario travaso di “sangue fresco” dai campi di battaglia federali ai ruoli più programmatici nazionali. Ed infine aver cancellato tutta una serie di Comitati e Commissioni che sono sempre stati lo scheletro di una buona organizzazione, limitando la loro esistenza solo a materie legali/amministrative e non a tematiche prettamente propositive.
Ed infine la politica che si è regolarmente spalmata in questi ultimi 25 anni di non pungolare presidente federali e segreterie generali di alto profilo. Il quieto vivere e la mediocre continuità sono state la base per garantirsi future rielezioni. Siamo arrivato a Petrucci che giustificava le assenze di un importante presidente di Federazione sostenendo che “una Federazione si può gestire anche col telefono”.
Va detto che tutto questo ha avuto inizio negli anni Duemila ed è proseguito senza alcun tentativo di correzione nell'ultimo decennio. Al punto che ancora oggi siamo costretti ad assistere ad episodi a dir poco raccapriccianti. Qual'è la Federzione in auge al momento? Il tennis chiaramente. E qual'è il presidente piùdi successo? Angelo Binaghi naturalmente. Lui, non contento dei successi dei suoi ragazzi, ha già fissato il suo nuovo obiettivo: "Voglio far diventare il Tennis lo sport più praticato in Italia."
Cosa cui avevano ambito negli ultimi quarant'anni presidenti delle Bocce come Luigi Luigi Sambuelli e poi Romolo Rizzoli, forti degli oltre un milione di tesserati e dei ricchi risultati internazionali. Di quella campagna non se ne hanno più tracce. Ma quella di Binaghi è ancora più ambiziosa quando promette, in questa dichiarazione rilasciata poche ore dopo la vittoria di Sinner al Master di Torino: "Non siamo morti democristiani, non è detto che dobbiamo morire calciofili." E Binaghi è uno "dei mejo." Qualcuno gli dovrebbe ricordare che chi tocca il calcio muore.
L'uscita di Del Piero può interrompere questo trend? Forse head hunters per ruoli in altri settori della vita saranno interessati e faranno la fila per accaparrarsi i suoi servigi. Nel mondo dello sport - a cominciare dal calcio - si chiuderanno tutti nella loro torre eburnea "come se nulla fosse".
Comunque grazie a SKY ed ai due Federico (Ferri e Buffa) per averci fatto capire quanto siamo piccini.
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