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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
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I sentieri di Cimbricus / "Orlando as Dorando": piu' di un anniversario

Lunedì 28 Ottobre 2024

 

pizzolato 


“A New York il primo premio era di 26.000 dollari e una Mercedes. Rispetto a quel che prendevamo nelle corse su strada in Italia, 200, 300.000 lire, era tutta un’altra dimensione. Per non dire che io a casa avevo una 127”.

Giorgio Cimbrico

Tutto cominciò con un’estate indiana: il 28 ottobre 1984, su New York, era calato un caldo innaturale e un’umidità da sudest asiatico, 26° e oltre 90% dicono dati impietosi. Al via della maratona, sul ponte di Verrazano, erano in 18.000: la creatura di Fred Lebow, nata quasi per gioco nel 1970, stava crescendo.

“Mentre andavamo alla partenza, io e Gianni Demadonna, davamo un’occhiata al ciclostilato con l’elenco dei premi. Sì, era proprio un ciclostilato. Io non guardavo alla cima della colonna dei numeri, pensavo che fossi finito nei primi dieci, tre, quattromila dollari li avrei rimediati. Rispetto a quel che prendevamo nelle corse su strada in Italia, 200, 300.000 lire, era un’altra dimensione. Gianni era più ambizioso di me e alla fine sarebbe finito quinto. Ricordo che il primo premio era 26.000 dollari più una Mercedes. Io a casa aveva una 127”.

Orlando Pizzolato, vicentino di Thiene, aveva 26 anni ed era allenato da quel buonanima dal ferrarese Giampaolo Lenzi. Ci aveva provato già nel 1983: ventisettesimo. Primo, Rod Dixon, uno dei grandi All Blacks fine anni Settanta, inizio Ottanta, transitato dalla pista alla strada.

“Il gruppetto dei migliori, con Dixon, è andato via quasi subito, a buon ritmo. Io sono rimasto indietro, non troppo. Con il messicano Gomez siamo tornati sui primi, li ho visti affaticati. A metà strada io e Gomez siamo andati via. Al ponte di Queensboro lui boccheggiava. A quel punto ho imboccato la First Avenue, che non finisce mai, e dal bus dei fotografi Franco Fava mi ha detto che avevo 1’10” sui più vicini. Ero più o meno al 30° chilometro e mi sono detto che avrei potuto perdere cinque secondi a chilometro e vincere. In poco tempo era avvenuta la metamorfosi delle mie ambizioni: non puntavo più a un posto tra i primi dieci, tra i primi cinque”.

Da dietro inizia la rimonta del britannico Dave Murphy che riduce e quasi ricuce. “Non ho sentito il bump bump dei suoi passi, ma lo sentivo vicino. Credo sia arrivato a 15”, qualcuno dice a 9”. Ho cominciato ad amministrarmi: miglio dopo miglio a ogni rifornimento, bevevo, camminavo un po’, riprendevo a correre. E’ capitato cinque volte, sino all’ingresso a Central Park. Ho dato un’occhiata indietro, non ho visto Murphy, ho capito che era fatta. Ma non sapevo che quel giorno la mia via vita avrebbe preso una svolta. Quella sera, mi hanno raccontato, ero la terza notizia del Telegiornale, dopo le trattative per il sequestro dell’Achille Lauro e il discorso del Papa”.

Davanti alla vittoria di uno sconosciuto, un giornale di New York titolò “Orlando as Dorando”, Pizzolato come Pietri. Ma con una conclusione felice: il dramma era stato solo sfiorato. “Portavo un paio di Nike rosse, quelle che ho donato al Museo di World Athletics. Me le aveva procurate Massimo Magnai. Erano una misura più grandi ma sono andate bene lo stesso”. Niente a che fare con le super scarpe con solette di carbonio e schiuma sul tallone che hanno prodotto la rivoluzione del nostro tempo.

Un anno dopo, con molti gradi in meno, Orlando fece il bis, con molti minuti in meno, lasciandosi alle spalle il gibutiano Ahmed Salah, vincitore a sorpresa in Coppa del Mondo a Hiroshima 1985, dove Pizzolato finì sesto. Salah è lo stesso che venne saltato da Gelindo Bordin nel finale della maratona olimpica di Seul. Immagine memorabile: il somalo sembra dire: “Ma questo da dove spunta?”.

Gelindo, vicentino come Orlando, era un simpatico spietato. “Agli Europei dell’86, a Stoccarda, abbiamo seguito i primatista del mondo, il gallese Steve Jones, sino a quando è saltato per aria. Soli davanti, ci incoraggiamento in dialetto. Alle ultime battute – ricordo che stavamo suonando l’inno sovietico perché Sedikh aveva vinto il lancio del martello – Gelindo andò via e ancora adesso non so se provai stupore o delusione”.

A fine mese Pizzolato, a lungo direttore di Correre, andrà per la 41ª volta a New York: dal ’92 stende programmi di allenamento per amanti della corsa, per runner, come usa dire adesso, e edizione dopo edizione è la guida di gruppi tra i sessanta e gli ottanta effettivi.

“New York affascina il popolo della corsa. L’iscrizione è diventata molto dispendiosa, 550 dollari, e in quel periodo gli alberghi aumentano di almeno il 20% le loro tariffe, ma quella corsa è una calamita per 50.000”. Per Orlando New York è stata il bivio di un’esistenza. In quel caldo fuori stagione ha imboccato la direzione giusta.

 

 

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