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I sentieri di Cimbricus / Non solo un record quello di Ruth

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Lunedì 14 Ottobre 2024

 

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Il mondiale di Ruh Chepngetich è un diamante con molte facce. Quella che manda più riflessi luminosi è rappresentata dalla prima discesa di una donna sotto le 2h10’. Il primo uomo era stato, nel 1967, l’australiano Derek Clayton.

Giorgio Cimbrico


E’ la prima, buona chiave per procedere nell’analisi di una prestazione che rimarrà. Perché in realtà Ruth ha abbattuto due muri collocando il record a meno di dieci minuti da quello maschile, 9’21”, più o meno tre chilometri. Nelle Olimpiadi e nei Mondiali del futuro può avere diritto di cittadinanza una sola maratona. Mixed, open, aperta.

Evitando il tempo delle pioniere e delle suffragette per inoltrarsi nella storia a partire dal 1984, quando la maratona donne ebbe – finalmente – accesso alle Olimpiadi, il differenziale è via via diminuito: proprio nel 1984 l’aviere gallese Steve Jones aveva corso a Chicago – percorso veloce da sempre – in 2’08’05” e un anno prima Joan Benoit, poi oro a Los Angeles, aveva chiuso la dura Boston in 2h22’43”. Nel 1998, su altre strade filanti, quelle berlinesi, Ronaldo da Costa aveva dato una forte scossa, 2h06’05”, poco dopo l’ascesa al vertice di Tegla Loroupe, 2h20’43” a Rotterdam.

Cinque anni dopo, ancora a Berlino, Paul Tergat aveva dato inizio alla sua avventura da maratoneta fissando il record a 2’04”55 e riportando gli uomini con un vantaggio superiore ai dieci minuti dopo la furiosa galoppata londinese di Paula Radcliffe, vittoriosa in fondo al Mall in 2h15’25”. Tra il 2018 e il 2019, il gap era tornato netto: 2h01’39” di Eliud Kipchoge e 2h14’04” di Brigid Kosgei, a Berlino e a Chicago, i nomi che ricorrono come costanti nelle cronologie e nelle progressioni.

Proprio a Chicago, la città del vento, è soffiato il turbine di Ruth Chepngetich, 2h09’56”, confermando che quanto a resistenza alla fatica, uomo e donna corrono su sentieri molto vicini. Domenica solo nove uomini hanno corso più forte di lei. Impressionanti anche i distacchi inflitti ad avversarie capaci di prestazioni di livello assoluto, sotto le 2h18’: l’etiope Asefa Kebede a 7’36”, la kenyana Irine Cheptai a 7’55”.

Ruth, 30 anni e mamma, viene dalla miniera inesauribile della Rift Valley, a nord di Nairobi. “Credevo in questo record del mondo e ora il mio sogno è diventato realtà”. Il progresso è stato violento quanto quello che l’anno scorso, a Berlino, l’etiope Tigist Assefa aveva impresso scendendo a 2’11’53”, due minuti e 11”, sul primato di Brigid Kosgei. Quel tempo era stato collocato tra i record durissimi da attaccare. Poco più di un anno dopo arriva questo 2h09’56”: Assefa staccata di 600 metri virtuali in un “gioco” che colloca Kosgei a un chilometro abbondante, Radcliffe a 1500 metri e Benoit a quattro chilometri e spiccioli.

Passaggi velocissimi sin dal via: 5000 in 14’ netti, uno stordente 30’14” ai 10 km, assicurato dai due scanditori che Chepngetich ha voluto nella sua avventura, una scorta che detta il ritmo giusto e che le fa da schermo. Alla mezza maratona, 1h04’16” (a 14” dal suo ex-record del mondo sulla distanza), con una proiezione attorno alle 2h08’30”.

“Qui a Chicago mi sento a casa mia, è la quarta volta che vengo, conosco bene il percorso”. Tre vittorie, un secondo posto l’anno scorso, alle spalle di Sifan Hassan, nel giorno in cui Kelvin Kiptum corse in 2h00’35” prima di essere spazzato via da un incidente sulle buie strade attorno a Eldoret. “Dedico il mio record a Kelvin. Ora il Kenya torna ad avere i due record del mondo, tutti e due stabiliti qui”. Un ricordo per Kiptum è arrivato anche da John Korir, vincitore in 2h02’43”, sesto di sempre, e passato quasi inosservato.

Nella seconda parte il ritmo cala, ma di poco, 1h05’40” per i 21 km che restano, mentre vengono raccolti gli asfissiati della prova maschile. Al 40° km Ruth prende e lascia sul posto l’etiope Wolde, uno da meno di 2h04’. E’ in quel momento che, rimasta sola, chiede alla testa e alle superscarpe di duellare con il cronometro. Il record è fatto, si tratta di collocarlo nella dimensione storica dell’abbattimento di una barriera. Ci riesce per quattro secondi, toccando il vertice di una vita di corsa che l’aveva vista campionessa del mondo, nel 2019, nella fornace di Doha.

 

 

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