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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




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MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / Il problema non e' la protesta, e' l'illegalita'

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Martedì 8 Ottobre 2024

        pallone e soldi         

 
Ogni settore della società ha la sua quota di illegalità. E lo sport non ne è escluso. Curve malavitose a Milano: avanti adagio, quasi indietro. Con la giustizia ordinaria. Per quella sportiva, citofonare, non fate conto che qualcuno risponda.

Andrea Bosco

Quando ero studente universitario a Padova, ho occupato (con molti altri) l'ateneo. Sono stato manganellato dai celerini. E per due volte, in due diverse occasioni, sono finito in Questura. Con mio padre che dava i numeri. Protestavamo contro un'Italia bigotta e repressiva. Contro la guerra in Vietnam, ergo contro gli amerikani: eravamo affascinati dal Che, dalla sua barba e dalle sue uniformi. Lotta continua non era solo un giornale: era un modo di esistere.

Protestavamo contro il sistema universitario dominato dai “baroni“ che raramente venivano a fare lezione, ma imponevano un “percorso“ che non prevedeva piani di studio, né mensa universitaria. Ma prevedeva tasse elevate, speculazione (anche allora) per chi cercava un alloggio in affitto. Prevedeva la vergogna della “sessione estiva“ a Bressanone che solo i figli delle famiglie facoltose, potevano permettersi. Per onestà intellettuale, devo dire che all'inizio “okkupavamo“ anche perché le notti in ateneo, dentro ai sacchi a pelo, avevano il profumo del proibito. E perché le compagne di corso (e non di corso) erano, in quelle notti, “disponibili“. Per una di loro mi “ciucciai” l'insopportabile testo di Bordiga, fingendo di apprezzarlo.  

PROTESTE – Si è sempre protestato. E sempre la Polizia ha cercato di frenare le proteste. Ma non era mai accaduto che si protestasse per celebrare l'antisemitismo. Il problema non è la protesta: il problema è la legalità. E se una manifestazione a ragione o a torto viene proibita è chiaro che la “prevenzione“ deve essere più elevata rispetto alla strategia messa in atto a Roma durante la manifestazione di sabato scorso, dal Ministero dell'Interno. Scene di guerriglia urbana già viste in altre occasioni e con motivazioni diverse rispetto a quelle di sabato scorso. I 4 fermi e un arresto su 300 violenti (in un corteo di 6000 manifestanti) sono uno sfregio a quelli perbene (pacifisti o pro Palestina fossero).

Ormai è evidente che la legalità in Italia è una utopia. Che neppure il governo “della fermezza“ e delle misure (restrittive) varate in Parlamento riesce a garantire. In galera nessuno ci va. A parte i fessi e i poveracci che non hanno bravi avvocati. Spesso stranieri senza permesso di soggiorno: illegali che diventano res nullius e che per sopravvivere delinquono. I “colletti bianchi“ al massimo vanno ai domiciliari. Si continua ad evitare di fare la cosa più urgente. Che non è la riforma della giustizia. La cosa più urgente è riscrivere alcune leggi. A costo di aggiornare la Costituzione.

Ci sono leggi sfornate da governi di ogni colore che sono indecenti. Riformare le leggi e riformare la giustizia, per dare al Paese la dignità del diritto. Che non può essere teorica ma deve necessariamente calarsi nella pratica. Le anime candide che invocano Voltaire (pur sapendo che quella frase sbandierata come presidio del liberalismo non la pronunciò Voltaire, ma una donna caduta nel dimenticatoio, tanto per cambiare) mentono: sapendo di mentire. Farisei ipocriti per i quali “l'idea“ (per quanto aberrante, assurda, irrealizzabile) deve sempre prevalere sulla pratica. Meglio – per lor-signori – scivolare sulla merda e magari sbattere la testa sul marciapiede piuttosto che pulirla e rimuoverla, la merda.

Senza legalità, senza il rispetto della legalità (che non significa abuso e intolleranza) una società è destinata ad implodere. Le ideologie contorte e marce che da decenni stanno ammorbando il Paese, hanno portato al trionfo dell'illegalità. A tutti i livelli. Perché quella della legalità è una patata bollente che nessuno ha (e non avrà) coraggio di prendere in mano.

MALAVITOSI – Ogni settore della società ha la sua quota di illegalità. E lo sport non ne è escluso. Curve malavitose a Milano (Inter o Milan non fa differenza): avanti adagio, quasi indietro. Con la giustizia ordinaria. Per quella sportiva, campa cabballus: per informazioni citofonare Chinè, Procura Federale. Ma non fate conto che qualcuno risponda. Del resto: chi ha passato le Info a Javier Zanetti che poi spiegava ai capi ultras di essere soggetti a “controlli“? E' vero che il Tribunale di Milano è una enclave (tra avvocati e magistrati) di interisti. Ma così sembra troppo. O forse no: non lo è.

Chi sono i misteriosi finanziatori di Lionrock società affiliata all'Inter di Zhang, registrata in un paradiso fiscale, implosa con perdita di 150 (mai reclamati) milioni di euro? Soldi sporchi? Restano misteriosi quei finanziatori: più dei piani per lo sbarco in Normandia. E tali resteranno. Fino a quando l'intero ambaradan non finirà in prescrizione. E allora spunterà qualcuno a svelare: con la sua “narrazione“. Del resto se ad Atene si piange a Sparta non si ride.

Il patron della Juventus (e i suoi fratelli) John Elkan è accusato (dopo denuncia della madre) di gravi reati: contro la madre e contro lo Stato italiano. Tutte menzogne, hanno replicato gli avvocati del nipote dell'Avvocato. Clima da tragedia greca: madre contro figli. E figli contro la madre.

Arbitri di calcio: se dico mafia, certamente esagero. Ma se dico protervia nello scrivere protocolli che parano il fondoschiena ai direttori di gara calpestando lo spirito del gioco del calcio (che come si può facilmente evincere si pratica con i “calci“) e sconfina in una idea “mafiosa“ del regolamento, forse non sono lontano dalla realtà. Una domenica di scempi: su ogni campo. La “follia“ perpetrata per sistema. E dai molti complici (da tastiera) sostenuta con la solita frase: “E' il regolamento, bellezze“.

BASKET – E' mancato Maurizio Crovato. Era stato vice di Tonino Zorzi alla Reyer: buon giocatore, sua specialità un movimento di tiro in rovesciata dal post basso. Aveva un anno meno di me. Eravamo stati compagni negli juniores della Die'Nai. Lui titolare (sempre rampognato da Giorgio Dario perché difendeva solo quando ne aveva voglia) io panchinaro stabile, a volte neppure convocato. Era la squadra di Dante, Da Ponte, Lanfrè e di Crovato che sapeva giocarsela anche contro la Reyer nella quale militavano Albonico, Zavagno, Guadagnino.

Era la stagione del Rinascimento del basket veneziano, quando in città, ma anche nelle isole (a Murano soprattutto) negli oratori e in campetti improvvisati trovavi ragazzini di tutte le età a tirare a canestro. Epoca d'oro, sfarinatasi per l'incapacità (a Venezia come altrove) di investire sulla cosa più importante: il capitale umano. Era la stagione nella quale ci ritrovavamo (la “compagnia della Banca“, perché davanti ai finestroni di una banca, si sostava) in Campo San Bartolomeo vicino alla statua di Carlo Goldoni, ad aspettare il passaggio delle ragazze che tornavano a casa: Maurizio ci provava sempre. Cartoline lagunari nel segno della nostalgia. Là dove Bagolina Crovato è andato, qualcuno, al primo allenamento, certamente gli avrà detto: “Piega le gambe“.

Scrivo della Reyer, dove solo le ragazze di Mazzon portano gioia. Non così la squadra maschile, afflitta da tanti infortuni, ma anche da scelte discutibili in fase di mercato. L'allenatore con un filotto di sconfitte tra campionato e coppa è sotto accusa. Ma rimuoverlo ora non appare la soluzione. Caso mai una scelta del genere andava operata ad inizio stagione, investendo magari su un allenatore giovane, tipo quello che a Trento sta offrendo un ottimo basket. Resto del parere che il problema più grande di Venezia sia l'incapacità di fare scouting. Uno come quel Ford (di Trento) bisogna saperlo scovare.

FARFALLA – E' morto Johan Neeskens asso dell'Ajax e della grande Olanda: semplicemente “il centrocampista”. E altre parole non servono.

Se n'è andata anche Lea Pericoli che portò charme ed eleganza nel tennis. Ho preso in mano per la prima volta una racchetta (con mai veramente migliorati risultati) dopo averla vista in tv in bianco e nero. Nel 1959 la ammirai (a Cannes in viaggio con mio papà che ci era andato per lavoro) dal vero, ad un torneo in doppio, non rammento più con quale compagna.

Avevo 14 anni, di carattere ero sfacciato e gli ormoni cominciavano ad incalzarmi. Lei era bellissima: una farfalla che danzava sulla terra rossa, lanciando quei “pallonetti“ che mandavano ai matti le avversarie. A fine gara mentre usciva dal campo le gridai: “signorina Pericoli io ti amo“. Lei alzò la testa, mi fissò e disse: “che carino“, facendomi un cenno con la mano. Molti anni dopo la incrociai nell'ascensore del Giornale. Non ebbi il coraggio di dirle (ammesso se ne rammentasse) che ero “quel“ ragazzetto. Dissi solo “buongiorno“. Lo disse anche lei , sorridendomi .

 

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