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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Pensieri in barca / Olimpiadi, dal mitico passato ad un incerto futuro

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Domenica 11 Agosto 2024

 

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“Non tutte le medaglie hanno lo stesso peso agli occhi di chi segue le gare da casa, ma per il nostro CONI tutti quelli che sono saliti sul podio, meritano 180 mila euro per l'Oro, 90 mila euro per l'Argento e 60 mila per il Bronzo.

Gianluca Barca

Da 2800 anni il miracolo si ripete. Dopo ansie, polemiche, paura dei ritardi, dopo gli inevitabili appetiti, non sempre tutti leciti, che l’organizzazione di un grande evento inevitabilmente sa suscitare; dopo le attese, i timori per l’ordine pubblico, per il crescere delle spese, l’impatto sull’ambiente et cetera, et cetera, a un certo punto le Olimpiadi si materializzano e, chi più chi meno, tutto il mondo ne resta rapito.

Persone che mai hanno assistito a un torneo di scherma discettano con gli amici di parate e di stoccate, appassionati dell’ultima ora si identificano nelle bracciate dei nuotatori. Sulle chat, le più disparate, c’è chi chiede come si può far parte di una squadra di hockey o dove si può giocare a badminton. Al bar si discute delle decisioni degli arbitri del judo, o della pallanuoto, e perfino del sesso delle pugili: mamme mandate a letto i bambini.

Il barone che nel 1896 resuscitò le Olimpiadi dall’oblio ne sarebbe fiero: il suo motto –, Citius, Altius, Fortius, più veloce, più alto, più forte, citazione cui il pensiero dominante ha recentemente aggiunto un più rassicurante Communiter/Together –, da oltre un secolo continua ad affascinare gli spettatori di ogni età. Che davanti ai teleschermi rivivono i giochi che facevano sulla spiaggia, o in cortile, da ragazzini: chi arriva primo laggiù, chi lancia più lontano, chi salta più lungo, più in alto, chi riesce a colpire un bersaglio in fondo al giardino. Non vogliamo le bambine, dai sì puoi venire anche tu, sembri un maschio puoi giocare. Ma non esagerare, per favore.

Chissà se De Coubertin era consapevole di aver resuscitato dall’Antica Grecia, un “brand” come si dice oggi, destinato a diventare il più antico del mondo. Un altro prodotto dell’età assiale, quella compresa tra l'800 a.C. e il 200 a.C. e alla quale vengono fatti risalire i prodromi delle moderne religioni.

Fatto sta che a Parigi in questi giorni si sono radunati più paesi che in un’assemblea generale dell’ONU. Nel mondo continuano le guerre, certo, la vecchia tregua olimpica è diventata una chimera. E benché sopraffatte dal denaro e da tanti interessi commerciali, le Olimpiadi restano uno straordinario spazio di emozioni. Ma per chi suona la campana, non quella dell’ultimo giro di pista o dell’ultima vasca in piscina?

Luciano Ravagnani lucido chansonnier di più di mezzo secolo di gare, di ogni disciplina, dice lo sport in origine era di chi lo praticava. Pelope aveva addirittura dedicato le Olimpiadi agli dei. E fu questa una delle ragioni per cui Teodosio, l’imperatore romano, nel 393 le cancellò in quanto celebrazione pagana.

Nell’epoca moderna lo sport è diventato intrattenimento per gli spettatori. Per antonomasia quelli delle tivvù che, da un certo punto in poi, mezzo secolo o giù di lì, hanno cominciato a pagare il conto del banchetto. Con la pretesa, è ovvio, di apparecchiare la tavola.

Tutto cominciò a Londra, nel 1948, i primi Giochi del dopoguerra, per i quali la BBC versò un gruzzolo di ghinee, pari a circa 30 mila euro di oggi. A Roma, nel 1960, si era già arrivati a 400 mila dollari, saliti a 4 milioni e mezzo per le Olimpiadi di Città del Messico del 1968.

A Parigi 2024 il giro d’affari complessivo è approdato intorno ai 4 miliardi e mezzo, dei quali 750 milioni da diritti televisivi e 2 miliardi di partnership di varia natura. Insomma un business straordinario: sempre più alto, sempre più grande, per usare le parole di De Coubertin. Che non pensava certo di misurare l’impatto dei Giochi in euro, dollari, sterline, yen.

E così per far crescere il bottino, per arrivare in tutte le case, a tutte le fasce di età, in tutti gli angoli, anche i più remoti, del pianeta, ecco che si aumentano in modo esponenziale le discipline: ad Atene, nel 1896, le competizioni furono in tutto 43, divise in nove discipline: atletica leggera, ciclismo (su strada e su pista), ginnastica, lotta, nuoto, scherma, sollevamento pesi, tennis e tiro a segno. Solo uomini. A Parigi, nel 1924, le gare furono 126 (115 maschili, 10 riservate alle donne, una – il tennis – mista), 17 sport, 21 discipline.

Quest’anno siamo arrivati a oltre 40 sport per un totale di 329 eventi, 152 femminili, 157 riservati agli uomini e venti per squadre miste.

Abbiamo visto la Breakdance, e il Taekwondo, il Surf –, disputato a Tahiti per raggiungere anche i territori di oltremare –, e l’Arrampicata libera (boulder e velocità), il Tennis tavolo o il pingpong. Non tutte le medaglie hanno lo stesso peso agli occhi del pubblico che segue le gare da casa (“le medaglie non si contano, si pesano”, ha detto qualcuno citando la frase di un vecchio economista che parlava invece di “azioni”), ma per il nostro CONI tutti quelli che sono saliti sul podio, indipendentemente dalle specialità, meritano un trattamento uguale: 180 mila euro per l'oro, 90 mila euro per l'argento e 60 mila per il bronzo. Nessun altro paese paga i suoi campioni e campioncini tanto quanto l’Italia.

Ma come disse Enrico di Navarra, Parigi valeva bene una mossa. Ovvero aprire il portafoglio e sganciare un bel po’ di denaro. It’s the Olympics stupid! La frase originale in realtà parlava di “economy” non di “Olympics” ma ormai sono quasi la stessa cosa. Lunghissima vita ai Giochi.

 

 



 

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