I sentieri di Cimbricus / Le scosse telluriche dell'atletica
Mercoledì 31 Luglio 2024
Ogni tanto ritornano. Sono gli avventurosi che fidando su statistiche ed algoritmi si lanciano nello scivoloso terreno delle previsioni: calcolare i limiti dello sport. La riprova ce l'ha offerta Jozsef Schimidt che ci ha appena lasciato.
Giorgio Cimbrico
Gli analisti e i matematici – solo ogni tanto, per fortuna… – si cimentano nella ricerca dei limiti umani e in previsioni che danno un uomo capace di saltare, come un gatto, 2.54 nel 2034 e una donna di volare i 100 in 10”41 nel 2042. Non conoscono la storia dell’atletica e dei suoi esiti, che ignora la regolarità delle curve dettate dai calcoli.
Il salto in alto donne conobbe un forte progresso tra il 1977 (primo 2.00, “ventrale” di Rosemarie Ackermann) e il1987: 2.09 di Stefk Kostadinova: nove centimetri in diece anni. Dopodiché entrò in una fase “dormiente” di quasi 37 anni, interrotta molto di recente, dal 2.10 di Yaroslava Mahuchikh, ucraina di Dnipro.
La situazione del salto in alto uomini può apparire analoga, almeno nelle premesse: dieci centimetri in 15 anni (dal 2.35 milanese, annata 1978, di quel buonanima di Vladimir, ora Volodymyr,Yashchenko al 2.45 scavalcato a Salamanca nel ‘93 da Javier Sotomayor. Da quel momento solo gli attacchi, senza esito, di Bogdan Bondarenko e Mutaz Essa Barshim.
(In un universo parallelo, Valeri Brumel non si frantuma una gamba, passo dopo passo porta il record mondiale a 2.33 e a Dick Fosbury, sopraffatto da tanta superiorità, non viene in mente di inventare un nuovo stile).
L’asta si differenzia dal momento della nascita della “politica” di un centimetro alla volta inventata da Sergei Bubka, brevemente abbracciata da Renaud Lavillenie e oggi normale condotta di Armand Duplantis: a far data dal primo 6.00 (parigino, come il 2.10 della Mahuchikh), 24 centimetri di progresso in 39 anni. In questo caso è consentito aderire ai calcoli degli specialisti e predire che Duplantis (7 cm in quattro anni) salirà a 6.30 entro il 2027.
Di fronte a vecchi record caduti dopo tempo lunghissimo (Kostadinova e Schult a livello mondiale, Andrei e Szewinska, nel caso di Irena dopo quasi mezzo secolo, in ambito nazionale) prende il sopravvento una teoria all’apparenza rozza ma sostenuta dalla realtà: l’atletica è una dimensione attraversata da scosse telluriche impresse da campioni che hanno saputo sfruttare condizioni favorevoli e uno stato di forma non lucido ma cromato: Randy Matson 21.78 quando 20 metri e mezzo erano la quota per il livello mondiale, Bob Beamon, Usain Bolt a Pechino e a Berlino, i 400 ostacoli di Tokyo sono solo una manciata di esempi.
La prossima frontiera può essere l’attacco al record più vecchio, l’1’53”28 datato 1983 di Jarmila Kratochvilova. La pretendente è Keely Hodgkinson: 55”5 e 57” ed è fatta. Oplà.
Jozef Schmidt ovvero le beffe della storia
La storia che scorre e cambia i nomi, i luoghi, i destini: è stata una costante nell’esistenza di Jozef Schmidt e poi Szmidt, nato in una famiglia tedesca a Byton, sino al 1945 Beuthen, in Slesia, nei secoli svedese, austriaca, polacca, tedesca, ancora polacca: morto due giorni fa a Zagozd, prima Neu Schoenewalde. Aveva 89 anni, aveva fatto il meccanico e dopo un periodo in Germania aveva preferito tornare dalle sue parti. Una settimana prima se n’era andata sua moglie.
Jozef, classe 1935, manterrà un posto nella storia dell’atletica: il primo a superare i 17 metri e presente in pedana in quel giorno messicano che rivoluzionò il salto triplo.
Campione europeo nel ’58, elesse a suo giorno dei giorni il 5 agosto 1960 quando a Olsztyn (Allenstein, sino al plebiscito del 1920) saltò 17.03, un’enormità meglio del 16.70 del sovietico Oleg Fedoseyev. Un mese dopo vinse a Roma il suo primo oro olimpico rimbalzando a 16.81 e lasciando a distanza di sicurezza i sovietici Goryayev e Kreyer.
Dopo il secondo successo europeo, venne anche il secondo oro olimpico, ancora davanti a due sovietici, Fedoseyev e Kravchenko, toccando 16.85 dopo essersi fatto praticare un’iniezione di Novocaina: un ginocchio era malmesso.
Nel 68, l’estemporaneo 17 metri del finlandese Puusi era suonato quasi come una curiosità, un piccolo lampo. Ma l’uragano si stava avvicinando. Perse il record mondiale in qualificazione (Giuseppe Gentile 17.10) e il giorno dopo… Jozef si mantenne regolare, ai suoi massimi livelli: 16.89, meglio che a Roma, meglio a Tokyo. Finì settimo e tutti quelli che lo precedettero – Saneyev, Prudencio, Gentile, Walker, Dudkin e May –andarono ai di là del confine che lui aveva superato per primo. Colpi di scena e quattro record del mondo, sino a 17.39 del rimbalzista che veniva dall’Abkhazia. I
Povero Jozsef: il 16 ottobre 1968 era il primo della storia, il giorno dopo il settimo.
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