I sentieri di Cimbricus / Questa e' proprio una corsa per vecchi
Martedì 30 Luglio 2024
Per molti Kipchoge è il più grande maratoneta della storia e un terzo successo alle Olimpiadi lo proietterebbe di qui all’eternità: meglio di Bikila e di Cierpinsky, gli unici nella storia dei Giochi ad aver centrato due successi.
Giorgio Cimbrico
La maratona può essere un paese per vecchi o il luogo per un’ultima sfida venata di malinconia: Kenenisa Bekele ha 42 anni, Eliud Kipchoge quasi 40. Si sono incontrati per la prima volta proprio a Parigi, ventun anni fa: Kipchoge era uno sconosciuto ragazzo, Bekele era l’erede di Haile Gebrselassie. Allo Stade de France i 5000 furono il terreno dello scontro.
Bekele aveva già vinto il titolo mondiale dei 10.000, il marocchino Hicham el Guerrouj, campione dei 1500, aveva appena intrapreso il cammino per l’accoppiata olimpica che gli sarebbe riuscita un anno dopo ad Atene. Con una volata iniziata alla campana, Kipchoge lo sconosciuto lasciò el Guerrouj a 3 centesimi e Bekele a 33.
Un lungo tempo è passato: Bekele ha vinto tutto quel c’era da vincere in pista e sui prati, Kipchoge ha collezionato qualche piazzamento importante per poi sparire e ricomparire nel 2013. Era diventato un maratoneta, il Maratoneta: quindici vittorie nelle sue prime diciassette discese sull’asfalto, i record del mondo berlinesi, il progressivo avvicinarsi alle due ore sino ad accettare la chance e il denaro offerto da Jim Radcliffe per metter un piede in un nuovo mondo: la data, il 12 ottobre 2019, in cui 42 chilometri vennero lasciati alle spalle in1h59’41” con l’aiuto di una legione di lepri, diede un significato simbolico a quella corsa su un viale viennese.
Due settimane prima anche Bekele, a 37 anni, aveva offerto la fase finale della sua metamorfosi: a Berlino, 2h01’41”, a due secondi dal record del mondo (ufficiale) di Kip, campione olimpico a Rio e, cinque anni dopo, a Sapporo. Per molti Kipchoge è il più grande maratoneta della storia e un terzo successo alle Olimpiadi lo proietterebbe di qui all’eternità: meglio di Bikila e di Cierpinsky, gli unici nella storia dei Giochi ad aver centrato due successi.
Il tempo passa: a Londra, uno dei suoi terreni di conquista, Kipchoge è vittima di un attacco di otite che gli fa perdere il senso della direzione; a Boston soffre sulle colline spezzacuore e a Tokyo è lontano dai primi. La sua divina percentuale scende. Anche Bekele avverte che il trascorrere degli anni è una dannata seccatura; qualche buon piazzamento sulle piazze importanti, qualche ritiro. Alla fine dell’anno scorso, a Valencia, chiude in 2h04’19”, record mondiale per over 40.
E così si ritroveranno ancora, da Parigi a Versailles e ritorno. Difficile azzardare con quali prospettive. Più semplice individuare le ambizioni: la terza corona per Kip, il Grande Slam su tutte le distanze per Kenenisa. Davanti a loro, il fantasma di chi sarebbe diventato campione olimpico e avrebbe “forzato” le due ore senza bisogno di lepri: Kelvin Kiptum, primatista mondiale con 200’25”, morto a 24 anni, il 10 febbraio di quest’anno in un incidente d’auto sulle buie strade attorno a Eldoret, la sorgente dei campioni.
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