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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

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I sentieri di Cimbricus / Il quarto di miglio e' cosa loro

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Giovedì 25 Luglio 2024

 

hudson-smith


L’erede di Eric Liddell è nato nel cuore dell’Inghilterra, nelle Midlands, a Wolverhampton. Lo scozzese volante era venuto al mondo molto più lontano, a Tientsin, Cina. Ma giusto un secolo più tardi, a Parigi potrebbe tornare a salire l’Union Jack.

Giorgio Cimbrico

Vada come vada a Parigi (l’americano Quincy Hall, 43”80, è molto temibile) cento anni dopo quel quasi esordio vincente, Matthew Hudson-Smith, prossimo ai 30 anni, granatiere nero che tocca gli 1,94, ha già lasciato il segno: due volte – 44”26 e 44”07 – sotto il 44”33 del DDR Thomas Schönlebe, che ha tenuto per 36 anni, e ora prima incursione di un europeo sotto i 44”, un assalto a vasto raggio, 43”74 e dodicesimo posto di sempre per chi ha raccolto molto, sin dalla giovane età, e ora ha la chance di metter le mani sulla posta più alta.

La storia dei britannici del quarto di miglio e del loro inseguimento al vertice del continente (Iwan Thomas, Roger Black e Mark Richardson arrivarono maledettamente vicino) può essere riassunta con un paio di cifre: venti uomini tra 43”74 e 45”01i. Allo Stadio Olimpico, dietro Hudson-Smith, ennesimo gran salto di Charlie “Red” Dobson, 44”23, secondo all time. E vittoria di Samuel Rearddo, 44”70 nella serie B. I britannici hanno una 4x400 molto temibile. Non è una novità.

E questo riporta a sessant’anni or sono, a Tokyo, quando uno dei “capitani coraggiosi”, Robbie Brightwell, consigliò la fidanzata Ann Packer di correre anche gli 800. Robbie era finito quarto nei 400 con più di un rammarico e Ann aveva conquistato la medaglia d’argento dei 400, al debutto olimpico, dietro l’australiana Elisabeth Cuthbert. “Frequentavo poco la distanza ma bene o male superai i due turni e in finale fu più facile di quanto pensassi”. Al ritorno in Inghilterra si sposarono, lavorarono a lungo come insegnanti e Ann si ritirò.

Aveva 22 anni, la stessa età di Keely Hodgkinson, la biondina di Wigan, culla del rugby a XIII, che, lo dice anche lei, è stufa di arrivare seconda: è capitato ai Mondiali, alle Olimpiadi e ai Giochi del Commonwealth. Giustiziere, Athing Mu e Mary Moraa. Mu ha chiuso i Trials in lacrime, Moraa è stata lasciata a un secondo da Keely nel faccia a faccia di Eugene. Hodgkinson è formidabile nel tener alto il ritmo tra la campana e i 600: è in quel tratto che stronca e guadagna. In una volata secca e breve può esser vulnerabile.

La forza d’urto delle britanniche si è manifestata a Londra: Hodgkinson 1’54”61, Jemma Reekie un secondo tondo in più, Georgia Bell 1’56”28. Possono puntare a un grande slam? Il tempo di Keely è il sesto di sempre, dopo Kratochvilova 1983, Olizarenko 1980, Jelimo 2006, Semenya 2018 e Quirot 1989. Meno di un secondo e mezzo da quell’1’53”28 coperto dalla polvere del tempo.

Quarant’anni fa, al Coliseum di Los Angeles, Alessandro Andrei lasciò a Michael Carter la testa dopo il primo turno di lanci. Poi andò avanti e chiuse 21.26 a 21.09. A parte la provenienza di Andrei e di Leonardo Fabbri (fiorentini di quartieri diversi, Scandicci e Bagno a Ripoli), può essere incoraggiante constatare che sia Carter che Ryan Crouser abbiano avuto legami con il football: il primo sino a conquistare il SuperBowl con i San Francisco 49ers, il secondo durante la sua carriera universitaria in Texas, con i Longhorns.

Leo è appassionato di football, ma quello con la palla rotonda e colorato di viola. Anche in questo caso, soccorrono le cifre: all’aperto, Fabbri undici gare, undici vittorie e trenta lanci oltre i 22; Crouser, due gare, una vittoria, una sconfitta, cinque lanci oltre i 22. Dal 2016 solo Joe Kovacs, in un paio di occasioni, aveva avuto la meglio sul gigante dell’Oregon, due volte campione olimpico.

Noah Lyles ha avuto una grande gioia: Time gli ha dedicato la copertina individuandolo come il volto dell’Olimpiade che sta prendendo il via. Per chi ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili, un momento da ricordare e un documento da mettere in archivio. L’approdo europeo dopo i Trials lo ha offerto in una formidabile condizione, 9”81: con lui la corsa sta diventando un’arte: Lyles, di misure molto normali (1,80 per 70) è l’uomo vitruviano che si muove in fretta, non più chiuso nella gabbia delle proporzioni perfette. Anche nel suo caso un rinvio: sessant’anni fa a Tokyo vinse Bob Hayes, molto diverso da lui, ma nato nella stessa terra, la Florida. Bob era di Jacksonville, Noah di Gainesville.

Dopo il magnifico miglio di Eugene, Josh Kerr non si è più visto. Danny Mackey, allenatore dello scozzese che passa molto del suo tempo in New Mexico, dice che Josh si è preparato analizzando se stesso, le caratteristiche degli avversari e lavorando molto duramente su “ripetute” di 600 e 1000 metri con recupero ravvicinato. Lo scopo è l’attacco a lungo raggio, appena prima della campana, per guadagnare quel metro che potrebbe risultare fatale a Jakob Ingebrigtsen. Josh ha due anniversari da onorare: i 70 anni del “Miracle Mile” di Roger Bannister e la seconda vittoria olimpica di Sebastian Coe.

Ancora Parigi, un secolo fa: terzo e ultimo oro olimpico, sui 10 km, di Ugo Frigerio che giovanissimo ne aveva conquistati due ad Anversa. Per Massimo Stano, che recuperato dal fortuito incidente in Turchia (brutta distorsione calpestando una bottiglietta abbandonata), la chance del bis e di avvicinare l’unico azzurro capace di un tris ai Giochi.

Vicina al terzo oro olimpico la famiglia Alekna: a vent’anni dal secondo successo di papà Virgilius, Mykolas va allo Stade de France da favorito e da primatista mondiale dopo aver abbattuto dopo quasi 38 anni, nella generosa Ramona, il “concerto” brandeburghese di Jürgen Schult.

Nell’ultimo appuntamento ospitato dallo Stade de France, i Mondiali 2003, gli 800 videro la vittoria di Djabir Said Guerni che abitava non lontano dal teatro del suo successo. Un altro algerino con le sue stesse iniziali, Djemal Sedjati, è salito vertiginosamente: l’anno scorso il giovanotto di Orano aveva ritoccato di tre centesimi il record nazionale di Said Guerni portandosi a 1’43”06. Quest’anno è esploso a Parigi e a Montecarlo, 1’41”56, 1’41”46, terzo di sempre, a poco più di mezzo secondo dal capolavoro londinese di David Rudisha. Sedjati possiede un finale esplosivo sia si corra a ritmo di 1’45” o nei pressi del record del mondo. Solo Emmanuel Wanyonyi, che toccherà i 20 anni durante i Giochi, può provare ad arginarlo.

A Parigi 2003 Kim Collins portò il titolo dei 100 a St Kitts, isole Sottovento. Julian Alfred ha buonissime possibilità di far apparire nel medagliere il nome della sua piccola patria, St Lucia, isole Sopravvento. Vincere probabilmente no, ma sia sui 100 che sui 200, vicina a Sha’Carri Richardson e a Gabby Thomas.

 

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