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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





Duribanchi / L'uomo che decise di non decidere

Martedì 23 Luglio 2024


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Tra due giorni sarà Olimpiade. Ma il mondo pare non accorgersene: anche il Papa si trastulla con l’idea bislacca della tregua olimpica, una Storia inventata da Erodoto e che non c’è stata neppure in antico. Ma c'è anche molto altro.

Andrea Bosco

Il fatto del giorno non è sportivo. Il fatto del giorno sono le dimissioni del sofferente Joe Biden dalla corsa per le presidenziali USA. Tutto sembra congiurare contro i democratici che ora si sono affidati alla vice di Biden, Khamala Harris. Da qui a novembre (ammesso che alla convention il partito le offra il mandato) dovrà convincere gli americani che Trump è un pericolo e che la sua rielezione sarebbe una jattura per il mondo.

Ovviamente nel mondo non tutti la pensano così (Trump del resto è dato in vantaggio nei sondaggi): Cina e Russia non sono ostili al tycoon repubblicano. In Israele la sua elezione (Trump spostò l'ambasciata USA a Gerusalemme) consentirebbe a Bibi di avere mano libera su tutti i fronti: Gaza, Libano, Yemen, Siria. E nel caso Iran: il “bubbone“ che prima o dopo, non Israele ma il mondo occidentale dovrà affrontare. L'Europa dovrà fare i conti con le spese per la NATO, visto che Trump non ci sente di continuare a fare, come eventuale presidente USA, il “guardiano“ del mondo. Quanto a Kiev e all'Ucraina una eventuale elezione di Trump ne segnerebbe il destino: il probabile smembramento di parti rilevanti del suo territorio affidato a Putin e alle sue smanie imperialistiche.

AMERICA – Non ho competenze (se non elementari) in politica estera. Ne ho qualcuna di storia americana. Il paese che sta pagando un prezzo alto per la globalizzazione. Che non ha portato solo immigrazione crescente (gli Stati Uniti sono un paese meticcio che è nato oltre che dal sangue calpestato dei nativi e degli africani deportati negli stati del Sud, anche da quello degli irlandesi, dei tedeschi, dei polacchi, degli italiani, dei cinesi, più recentemente da quello dei messicani e dei centro americani), ma anche saturazione climatica, eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. L'America bianca rurale sta con Trump. Ma con Trump stanno anche gli ispanici che negli USA si sono costruiti un futuro e che dall'arrivo di altri ispanici e soprattutto da quello degli islamici, quel futuro vedono in pericolo.

Il fatto è che i candidati californiani del Partito democratico sono odiati dall'America bianca che vota Trump. E' questo il principale problema per Khamala Harris: rappresentare un partito, al quale si imputa la decadenza della Nazione. Un partito che ha favorito ogni tipo di eccesso, in fatto di diritti civili, di mode woke, di rimozione della Storia e del Passato. La California ha sempre rappresentato la punta della piramide di quegli eccessi. E' lo stato del “Mercoledì da leoni“, delle bagnine maggiorate, degli hippies e dei motociclisti in chopper: là dove è la vita è sempre stata “spericolata“ come l'aveva Steve McQueen.

L'esatto contrario di “Dio, Patria e Famiglia“ dell'America rurale: quella che vive con un paio di colt e un winchester in casa. E che se “arrivano i cubani o i cinesi, ci pensano loro: da soli“. E' l'America che al Sud coltiva ancora sentimenti razzisti e mal sopporta l' emancipazione degli afroamericani.

Ho girato gli USA in lungo e in largo: la vera America non è a New York, non è a Filadelfia (Boston è già diversa), non a Los Angeles, né a San Francisco e neppure a Miami. Non è nella Silicon Valley. La vera America è altrove. Là dove ancora pascolano mandrie di vacche, dove si raccoglie il cotone, dove nascono e prosperano le sette più strane nel nome di Dio o di qualsiasi altra cosa gli assomigli. E quell'America vota Trump: l'illusionista che dorme come Paperon de’ Paperoni su forzieri di dollari, ma che ha convinto chi lo ama e lo vota di essere il rappresentate “del popolo “.

DECLINO – I democratici stanno pagando gli effetti dell'attentato che Trump ha subito. Ma avendola “scampata“ il vestito del “martire“ dovrà svestirlo. Il fatto è che i democratici pagano la presidenza Obama. E non perché Obama fosse, come disse Silvio Berlusconi, “abbronzato“. Ma perché spendendo quanto gli USA non potevano permettersi, facendo accordi internazionali scellerati, ha dato inizio all'impoverimento degli USA, oltre che al loro declino nello scacchiere mondiale. Non sarà Trump a risollevarli. Ma Trump, abile giocoliere, sta dicendo che lo farà: “l'America sopra tutto“ è solo uno slogan. Oggi nessuno al mondo può stare da solo. Neppure le più feroci autocrazie, che non a caso, cercano nuovi spazi, nuove risorse, nuovi commerci in ogni parte del mondo. Trump però può creare un cortocircuito inarrestabile: quello di una America che si isoli sempre di più. Allo stesso modo una vittoria dei democratici (al netto che alla presidenza ci possa andare Harris o qualche altro) non garantirebbe quella pax alla quale, dal Papa a scendere, tutto il pianeta “ragionevole“ aspira.

C'è un mondo che sta avanzando dall'Africa e dall'Asia verso l'Europa: inarrestabile. E' un mondo povero, è un mondo che cerca migliori condizioni di vita, è un mondo che cerca riscatto sociale e storico. E' un mondo, per quota parte islamico. E questo sarà il problema dei problemi. Perché, come è noto, “pecunia non olet“: i soldi degli emiri hanno ingrassato e stanno ingrassando le società occidentali che stanno letteralmente cedendo (anche ai cinesi) pezzi di città, marchi prestigiosi, persino panorami e località. L'ho visto accadere in Francia dove avevo una casa. Lo vedo accadere a Milano e a Venezia dove casa ho ancora. Città che amo, che sono le mie città, ma che vorrei abbandonare, tanto la vita è cambiata. Tanto la vita si è imbarbarita. Tanto la vita ad un vecchietto come il sottoscritto, nulla può offrire, ormai.

Milano va veloce: troppo veloce. E chi va troppo veloce, alla fine inevitabilmente va a schiantarsi. Inviterei Beppe Sala a vedere e rivedere “Il sorpasso“ di Dino Risi, film che è un affresco di una certa Italia che fu, ma che nel finale documenta quanto l' azzardo e l'eccesso alla fine si concludano in tragedia. A Brugnaro, sindaco di Venezia assillato dai guai (il maledetto terreno del Pilli), non consiglio “Morte a Venezia“: troppo facile. Non saranno le maree e l'innalzamento delle acque a far sprofondare la città: quel bradisismo è in atto da secoli ma tutto sommato può essere tenuto sotto controllo. Venezia sarà distrutta dal turismo. Oggi Venezia è percepita come una nuova Disneyland: aggredita dal turismo becero e cafone che arricchisce albergatori e ristoratori, venditori di vetri e paccottiglie varie, ma distrugge la città. Per la Festa del Redentore c'erano a Venezia 120.000 persone. Una follia considerato che i percorsi dei “foresti“ sono sempre gli stessi: Piazzale Roma, Stazione, Strada Nuova, Rialto, San Marco. Venezia ha (come Milano) meraviglie ovunque: non considerate. A Brugnaro consiglierei di far vendere agli accessi della città il meraviglioso “Corte sconta“ di Hugo Pratt. Un percorso alternativo di Venezia: bello e struggente.

CALCIO – Gravina resiste. Non ci sta ridurre il peso dei Dilettanti di Abete come chiede la Lega di Serie A. Tacciata di egoismo visto che vorrebbe un cambiamento nella mutualità che finora ha consentito al calcio “collettivista“ inventato dopo Calciopoli da una ministra bionda e avvenente, pupilla di un Baffetto, di mandare in scena l'assurdo: i club professionistici che sono aziende private alle quali nessuno ripiana i conti quando vanno in rosso, che contano a livello federale assai meno dei Dilettanti di un uomo (già presidente federale) ferratissimo in filosofia, da Aristotele a Platone, da Socrate ad Epicuro, ma totalmente “fumoso“ in tema calcistico. Il suo nome: Giancarlo Abete. E' lui che consente a Gabriele Gravina, “gattopardo“ (non Bosco dixit, ma Abodi dixit, che forse lo ha detto dopo aver letto Andrea Bosco) con faccia da “Rififi“ di continuare a governare un calcio che ha distrutto, che non vuole lasciare e che con lui non ha alcun futuro.

Al calcio dei dilettanti deve provvedere lo Stato: è calcio sociale ed è doveroso che lo Stato stanzi dei fondi per promuoverlo e sostenerlo. I professionisti fanno business, non devono avere obblighi verso altre realtà. Se siamo in un paese liberale. Non dico liberista, termine che mi fa orrore. Solo nei paesi marxisti si obbligano enti e persone a fare cose a “favore della collettività“. Senza dimenticare che il capo dei dilettanti è l'uomo che “decise di non decidere“. In perfetto stile democristo-manzoniano. Non serve essere tifosi per rammentarlo.

Capitolo Inter : ora esce che Zhang avrebbe un debito con la Premier di 300 milioni di euro. Domanda: cosa ci vuole per avviare una inchiesta sulle mille porcherie dell'ex proprietario cinese dell'Inter? Il permesso di qualche politico potentissimo e tifoso? Più passa il tempo, più emergono cose. E più il sospetto che Zhang sia stato solo un prestanome per conto altrui si inspessisce. Vorrà occuparsene il capo della Procura milanese (interista) che va a pranzo con Ausilio e Marotta? E vorrà dire beo il sindaco interista di Milano, Beppe Sala, nel merito? O è troppo occupato il sindaco a fare ricorso al TAR per l'intestazione dell'aeroporto di Malpensa a Silvio Berlusconi? E' morto Berlusconi, – lo dice uno che con lui ha avuto contrasti di ogni tipo e che da lui non ha avuto mai neppure un biglietto di auguri a Natale – è morto. E per un senso di pietas che evidentemente in certi sinedri è sconosciuto, sarebbe il caso di lasciarlo in pace.

BOLLETTA – Sa Sala di cosa si preoccupano i cittadini di Milano? Dei dehors che questo governo si appresta (complici le amministrazioni locali) a rendere definitivi. Erano provvisori causa Covid: ora si legifera per legalizzarli sine die. E questo farà implodere, prima o poi, il governo Meloni. Che non lo sa (o finge di non saperlo): ai cittadini frega una cippa del premierato e della autonomia differenziata. Gli frega della riforma della Giustizia (che latita). Gli frega che i balneari (che lavorano se va bene sei mesi all'anno) si tolgano dalle scatole dalle spiagge che hanno occupato abusivamente. Gli frega delle liste d'attesa immonde (anche due anni) in materia di sanità. Che costa, che deve avere un sia pur minimo costo, ma che è stata smantellata nel segno del: “tutto gratis”. Follia collettivista.

Niente è gratis: è utopistico pretendere una sanità gratis, una scuola gratis, un welfare totale, un salario minimo, un reddito di cittadinanza. Tutto costa. E un paese in bolletta, con un debito pubblico che neppure si può scrivere, non se lo può permettere. Meloni, se ci tiene a continuare a governare, tenga a bada il leghista tafano. Altrimenti crollerà. E faccia il piacere, Meloni: sciolga la feccia fascista che picchia i giornalisti, al pari della feccia antagonista e anarcoide che ammorba Torino al pari di Venezia. Se ci tiene a continuare a governare. Altrimenti farà come Segni: che aveva vinto il biglietto della lotteria, ma che avendolo smarrito si condannò all'oblio.

PARIGI O CARA – Ci siamo: Olimpiadi. Vale a dire Parigi. Forza Italia? Forza. Con tutte le problematiche che lo sport italiano assomma (tipo, ad esempio, che né il calcio, né il basket, né maschile, né femminile saranno presenti) tifare per i nostri atleti e i nostri colori è doveroso. Poi se Malagò si degnerà di disegnare anche il futuro gliene saremo grati. Si teme il terrorismo a Parigi: e si teme a ragione. L'occasione è ghiotta e ci vorrà un servizio di sicurezza migliore del colabrodo che ha consentito ad uno sfigato di ferire Trump e ammazzare un uomo negli States. Non ricordo quante volte sono stato a Parigi: per lavoro e per piacere. Ricordo che ho portato mia moglie a festeggiare i nostri 25 anni di matrimonio. E ora sono il doppio. Ricordo che ho passato ore al Louvre davanti alla Gioconda e molte di più al d'Orsay davanti ai “Giocatori di carte“ di Cezanne che mi ricordano le atmosfere dei “bàcari“ di Venezia dove andava mio papà a giocare a tresette.

Ci sarò stato almeno una ventina di volte a Parigi nella mia vita. Ma non dimenticherò mai la prima. Diciottenne ci vado assieme a due amici anche loro neo iscritti all'università. Abbiamo una sola meta: Pigalle e le donnine dei bordelli. Ci andiamo il secondo giorno. Io scelgo una fanciulla magra che assomiglia a Natalie Wood. I miei amici due pin up dotate in ogni centimetro del corpo. Il mio incontro è deludente. La fanciulla è di Arles, si guadagna la vita perché ha i genitori anziani, malati e poveri. Per lo più parliamo. Mi viene l'idea che mi stia raccontando una fiaba. Ma la sua storia mi intenerisce. E così, alla fine assieme alla tariffa che ho già allungato alla tenutaria, aggiungo un po' di franchi, brevi manu.

Due giorni dopo andiamo tutti e tre in una discoteca di Saint Germain: il “Tabù“, già covo di esistenzialisti. Dopo qualche tempo mi avvicino ad una ragazza : è bella, ha i capelli corti e tratti marcati. Balliamo, simpatizziamo, limoniamo. Mi si avvicina uno dei miei amici e mi dice: “Guarda che è un uomo“. A me non pare, ma la cosa è un tarlo. Alle tre del mattino loro vanno, io resto. Mi offro di accompagnarla a casa. Andiamo a piedi e attraversiamo Les Halles, i mercati Generali che alle quattro stanno aprendo: il luogo che sarebbe diventato un grande “buco“ dove Marco Ferreri avrebbe girato “Non toccare la donna bianca “. Arriviamo a casa sua e lei dice: “Vuoi salire?“. Io dentro sono un vulcano, ma devo sapere. Saliamo.

La casa è una di quelle che guardano i tetti di Parigi. Lei è una disegnatrice pubblicitaria. Glielo devo dire: le esterno senza mezzi termini il dubbio che sto covando. Lei sussurra: “aspetta un secondo“. Riappare poco dopo in vestaglia. La stanza ha solo la luce di un abat jour. Si apre la vestaglia e dice: “Ti pare sia un uomo?“. Non lo è. La notte è incredibile. Ci svegliamo alle 11 del mattino seguente. Non avevo mai conosciuto una donna così. Decido di restare. Mi restano pochi quattrini ma voglio restare. Ho l'università a Padova che mi attende ma voglio restare con lei. Mi trova un lavoro: come lavapiatti in un ristorante. Ci vado alla sera. Al mattino vendo per strada i quotidiani. Non guadagno molto, ma contribuisco alle spese di casa. Dopo altri tre giorni telefono ai miei genitori. Quando dico che resto a Parigi pensano mi abbiano rapito. Parlo con una mia zia che è la mia confidente e lei comprende. Morale: ci resto quattro mesi. Lei si chiamava Josienne, aveva i capelli ramati e le efelidi sul viso, i tratti da Charlize, solo più duri. Non l'ho mai più rivista. Ma non l'ho mai dimenticata. Come quella mia prima volta a Parigi. Dove non ho solo “partecipato“.


 

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