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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Un ciclismo di promesse rimandate

Venerdì 19 Maggio 2023


        ciclismo-1915 

Giro d'Italia '23: tutto è asettico, e se soltanto c’è l’odore lontano di una difficoltà possibile, le tappe vengono trinciate come un pollo. Ieri, da 199 a 75 chilometri, con il consenso di chi organizza e il voto dell’associazione dei corridori.

Giorgio Cimbrico

Molti anni fa, una sera a Briançon. Gino era lì, seduto, impassibile, in sala stampa. E io e gli altri arrivammo tutti trafelati, dopo aver fatto il giro del mondo per arrivare nella città fortificata da Vauban per le slavine che erano scese sul colle dell’Agnello, dettando qua e là pezzi di una fluviale cronaca. “Vai pure lungo – disse quel buonanima di Mario Sconcerti – intanto il pezzo comincia dalla prima e gira in seconda”.

E io e gli altri dettavamo, dettavamo e pensavano di essere dei corrispondenti di guerra, o di una tragedia, o di un’alluvione rovinosa e invece eravamo solo i testimoni di un mondo che stava cambiando e proprio il vecchio Gino seppe schiacciare sull’interruttore della verità.

“Le valanghe, una bischerata. Noi ‘un s’aveva nulla. Solo la scatolina del mastice per aggiusta’ le rote. Ora hanno tutto. Le rote, le biciclette, le maglie”. Gino è folkloristico, disse qualcuno, è anacronistico, appartiene a un’altra epoca, è un dinosauro, un mammut.

Diceva solo quello che pensava, ed era il frutto di una lunga esperienza che aveva segnato la pelle e l’anima: il ciclismo, il suo, era una sofferenza, una sfida, un’avventura, un tuffo nel pericolo, nell’ignoto. Interpretato da loro, quelli che vennero chiamati i “giganti della strada”, o forse i dannati, e anche da chi metteva in scena lo spettacolo e non aveva paura di esser chiamato spietato, padre padrone, assassino obbligando a dar l’assalto al Tourmalet sotto a un acquazzone, al Ventoux in un giorno di sole che martellava, al Bondone in una tormenta di neve.

Era il ciclismo eroico e disperato che ha creato i grandi campioni ma anche i grandi giornalisti (andate a leggervi i vecchi pezzi di Pierre Chany) e che aveva finito per attirare i grandi scrittori perché il ciclismo era un romanzo popolare, una chanson de geste, una rappresentazione per cavalieri tragici (e Chany torna in scena …), una trama senza pietà che incombe – come quella che precipitò addosso a Riviere, a Ocana – un viaggio al termine della notte.

Era una dimensione per coraggiosi, per chi non aveva paura di quel che poteva trovare in giornate da cani, per chi doveva saldare i conti di casa, per chi in corsa mangiava pane e salame e portava una bottiglietta di rosso, di pinard, come i francesi chiamano il vinaccio. Il ciclismo era una trincea prima dell’assalto. La scienza dell’alimentazione non esisteva o, se esisteva, era una cosa da ricchi, da privilegiati. I corridori avevano la loro Cayenna.

E ora tutto è asettico, e se soltanto c’è l’odore lontano di una difficoltà possibile, le tappe vengono trinciate come un pollo. Ieri, da 199 a 75 chilometri, con il consenso di chi organizza, con il voto – on line, ovviamente – dell’associazione dei corridori. Tutto è diventato molto noioso, molto pianificato, come il ritmo dettato dalle squadre più forti che non permettono l’invenzione, l’attacco terremotante, portato da lontano. Un ciclismo di promesse sempre rimandate, giorno dopo giorno. Detto tra noi, una noia. Per chi organizza, un affare.


Foto tratta dalla copertina de Lo Sport Illustrato (Milano-Sanremo) - 30 Marzo 1915 

 


 

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