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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Beata corporazione del tennis

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Lunedì 30 Gennaio 2023

 

sebalenka 

Va avanti per la propria strada, senza ipocrisia. Governata dai giocatori e dalle giocatrici, e così libera di far scendere in campo quelli e quelle che lo meritano, senza bandi, senza esclusioni, senza il peso di influenze esterne. 

Giorgio Cimbrico 

Non risulta che tra la seconda parte degli anni Sessanta e la prima dei Settanta, americani e americane fossero stati scacciati dalle più importanti manifestazioni sportive malgrado sul Vietnam piovessero migliaia di tonnellate di bombe, aggiunte a quel “detersivo” che ripuliva la jungla, il napalm. Anche via terra gli USA andavano per le spicce. Per chi lo avesse dimenticato c’è il nome di un villaggio entrato nella galleria degli orrori: Mi Lai. 

Torniamo al tennis che è meglio: agli Internazionali d’Australia la finale donne è stata tra Elena Rybakina, kazaka di passaporto, nata a Mosca, e Aryna Sabalenka (nella foto, a Melbourne), bielorussa, detta la tigre per via di un tatuaggio che le adorna un braccio e per l’aggressività del suo gioco. Ha vinto Sabalenka e nella grafica, durante il match, accanto al suo nome, c’era un quadratino bianco. Tra le quattro semifinaliste anche un’altra bielorussa, la veterana Victoria Azarenka, due titoli Slam proprio a Melbourne. 

Il tennis va avanti per la propria strada. E in campo possono tranquillamente andare l’omonimo del meraviglioso monaco-pittore Andrej Rublev, Danil Medvedev dal sofferto volto destojevskiano, Karen Khachanov dalle radici paterne armene e disposto a rischiare attacchi e critiche per aver appoggiato la causa di Yerevan nel conflitto con l’Azerbaijan per un pezzo di territorio conteso in Nagorno-Karabach. 

Correnti di indignazione hanno investito il padre di Nole Djokovic, tifoso di Putin. E’ evidente che gli indignati di professione ignorano la storia e i profondi legami tra russi e serbi. Prima di indignarsi sarebbe meglio acquistare un testo, anche in edizione economica, sulle origini della Grande Guerra. Tra non molto sulla partecipazione di russi e bielorussi di entrambi i “generi” si pronuncerà l’All England di Wimbledon. 

Ci si sta abituando all’assenza dei russi (fondamentali in alcune discipline, e le prime che vengono in mente in questa stagione sono lo sci di fondo e il pattinaggio di figura, quello che un tempo chiamavamo artistico) ma l’ipocrisia, che è il trave portante su cui poggia il mondo che ci circonda, spinge a manovre più o meno garantiste, per una riammissione “controllata”, in vista dei Giochi di Parigi. Ovviamente senza bandiera, senza inno, senza scritte identificative su maglie e tute, e sotto l’etichetta di Atleti Neutrali Autorizzati, una strada abbastanza agevole per gli sport individuali (se verrà comprovata l’estraneità al doping che ha colpito alla linea di galleggiamento il Comitato Olimpico russo e un buon numero di Federazioni), meno per gli sport di squadra. 

Il presidente Macron, padrone di casa, è favorevole a un’apertura per dare ecumenicità all’Olimpiade che segna il ritorno dei cinque cerchi a Parigi a un secolo di distanza da un’edizione che tutti hanno amato, e il CIO sta esaminando il problema, alla luce di un complesso cammino di qualificazione che sta per prendere il via. Il fronte di un no indiscriminato è in questo momento guidato dalla Gran Bretagna che critica apertamente il “governo” di Losanna per le chances che volano nell’aria. 

In questi giorni sempre più aspri, scanditi dal ticchettare delle lancette dell’orologio dell’Apocalisse, se ne sentono e se ne annotano di tutti i colori. “L’esercito russo sta per sgretolarsi” ha detto David Petraeus, ex-comandante in capo dell’esercito americano, ex-direttore della CIA. Di sicuro avrà notizie fresche e attendibili grazie a quella rete di satelliti spia in grado di controllare quel che si mangia a colazione al Kremlino o nella dacia di cui fu ospite Silvio Berlusconi. Ma la storia, da Pietro il Grande in poi, ha detto il contrario: svedesi, francesi e tedeschi ne sanno qualcosa. Con una sola eccezione: il 1917, l’anno della rivoluzione. Quella volta il “rullo compressore” si disgregò davvero.

In tutto questo guazzabuglio di minacce, di ricatti, di boicottaggi possibili, di atteggiamenti obliqui, di ricerca di compromessi, piccoli, insignificanti suiveur e voyeurs del bel gesto esultano (privatamente) per la bella ascensione di Danil Lysenko a 2.38. Da quasi sei anni non si assisteva a un salto così, Nel filmatino reperibile in rete, Danil –, 25 anni, nativo di Birsk, Repubblica dei Bashkiri –, appare molto magro, molto tirato e anche fortunato: l’asticella ballonzola e rimane al suo posto. 

Giovanissimo, finì secondo ai Mondiali londinesi del 2017, vinse i Mondiali indoor del 2018 e in quella stagione entrò a far parte del club dei 2.40. E’ stato squalificato quattro anni per via di whereabout mancati e per frode appoggiata dalla bandita federazione russa: per uno dei controlli mancati venne presentato un certificato di ricovero in ospedale per un attacco di appendicite. Quell’ospedale, semplicemente, non esisteva.  

 

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