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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
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Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
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Duribanchi / Colpirne uno per educarne cento

Martedì 24 Gennaio 2023

 

agnelli-andrea 


“La sensazione che la politica abbia riesumato quel triste adagio è forte. Il Palazzo del calcio ha la coda di paglia, visto che “non poteva non sapere”. Ma non ha vigilato. Del resto lo ha sempre fatto. Chi ha oggi i capelli grigi ...". 

Andrea Bosco

Arrischiamo una dittatura? Alcuni analisti lo ipotizzano. Non perché al governo c'è una esponente di destra il cui partito è nato dalle ceneri di una formazione dalle origini post fasciste. Il percorso di Giorgia Meloni è stato, finora, democratico: di destra ma non autoritario. Segnato caso mai dall'isteria di chi ogni mezz'ora ha richiesto per lei “esami del sangue” a certificazione della sua democraticità. Sacrosanto tenere sotto osservazione un esecutivo dove qualche pulsione “nostalgica”, continua ad appalesarsi.

Ma giusto sarebbe anche evitare di pisciare fuori dal vaso. Perché l'idea che nel nome della democrazia e della libertà, “nulla” sia più perseguibile è malsana. Al pari dell'idea simmetrica che esistano solo “presunti innocenti”. L'affermazione di un magistrato diventato famoso ai tempi di “Tangentopoli” configura un possibile stato di polizia alla Orwell: dove tutti e tutto sono sotto controllo. La storia insegna che è pericoloso far arrivare l'acqua al punto di tracimazione. Ma sembra che la Storia continui a “non insegnare”. Neppure dopo i più recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto gli Stati Uniti e il Brasile.

Serve maneggiare con cura la democrazia. Serve perseguire le mafie e i terroristi con le intercettazioni. E anche i colletti bianchi che con le mafie sono collusi e che con loro fanno affari. Ma fare di ogni erba un fascio nel nome di un giustizialismo ideologico, è cosa pericolosa. Alimenta disparità di pensiero che non riescono a decantare in un corretto dibattito. Nell'era dei social, incontrollabili, il livello di discussione è tra chi si “odia”. Chi odia lo fa, spesso, per dare testimonianza di se stesso. Sono situazioni che i media dovrebbero maneggiare con cura. E alle quali, viceversa, offrono una visibilità sproporzionata.

Il caso degli attivisti di “Ultima Generazione” è emblematico. Le loro gesta nascono da un desiderio legittimo: segnalare alla pubblica opinione il pericolo ambientale che incombe sul pianeta. Ma prima di imbrattare edifici istituzionali o opere d'arte nei musei, gli attivisti “convocano” le televisioni. Affinché il loro agire venga documentato. Quando nessuno risponde all'appello, si auto-documentano a favore di smartphone. Postano i loro raid sul web. Ripresi stabilmente da televisioni e quotidiani. Esistono perché le immagini li fanno esistere. Non per i programmi o per la volontà di discutere. Si può bloccare l'economia di un paese perché “è già tardi”? Ovviamente non si può e chi imbratta ne è consapevole.

Gli attivisti “ledono” ma non “propongono”. Non hanno una filosofia. Il fatto che i loro volantini siano infarciti di schwa, vale a dire di scrittura “fluida”, la dice lunga della loro protesta. Il futuro del pianeta è un mezzo, non il fine. Il fine sembra piuttosto quello di imporre a forza di vernice (lavabile) l'idea inclusiva di una minoranza. Personalmente non ho problemi di “genere”. Ho avuto e ho amici omosessuali. La migliore amica di mia figlia, che conosco da quando era bambina, si è sposata con una donna. Il collega più intelligente che ho incrociato nella mia vita professionale, era gay. Ma confesso che ho difficoltà ad accettare “genitore-1” e “genitore-2”. Non sarà la vernice degli attivisti di “Ultima Generazione” a farmi cambiare idea. Vietato ipotizzare che il mio pensiero sia condizionato dalla fede: essendo agnostico il mio rapporto con il Mistero è problematico.

Maneggiare con cura le esagerazioni. Bollare come “infame” un ministro che tenta di riformare una giustizia ormai inadatta alla complessità di un moderno paese, è cosa cretina.

Ammetto di non avere grande fiducia nella magistratura italiana. Ma sento l'obbligo di averne nella giustizia che amministra. Anche se le valutazioni dei giudici, spesso risultano non comprensibili.

La scorsa settimana il collettivo “Suv-versive” in una strada centrale di Milano ha sgonfiato le gomme alle automobili di grossa cilindrata parcheggiate in sosta. Con tanto di volantino di irridenti scuse collocato sul tergicristallo. Di questo tenore: “Non ce l'abbiamo con te. Ce l'abbiamo con la tua vettura, che essendo di una altezza più elevata del normale, costituisce una prepotenza nei confronti di ciclisti e pedoni, oltre che essere possibile causa di incidenti. Possedere un Suv denota arroganza. E quindi ti invitiamo ad usare il trasporto pubblico.

Gli attivisti, denunciati (ma dei quali si sono, ad oggi, perse le tracce), reputano che le loro azioni non debbano essere considerate “violente”. Famiglia e scuola, con loro, evidentemente, hanno fatto un pessimo lavoro. Ma anche la magistratura non si fa “mancare il pane”. Simone Ficicchia, attivista, in sei mesi ha collezionato 11 denunce. Per violenza privata, danneggiamento, manifestazione non autorizzata, occupazione abusiva di sede stradale. Tra le “imprese” anche l'imbrattamento della Scala e dell'edificio di un ministero a Roma. Ma il giudice del tribunale di Milano non lo ha ritenuto “socialmente pericoloso”. E ha quindi respinto la richiesta della Questura di Pavia di sottoporlo a sorveglianza speciale. La polizia aveva chiesto che a Ficicchia, per un anno, fosse impedito di lasciare Voghera dove risiede.

Ficicchia non sarà “violento”, ma tutto è relativo. Magari gli automobilisti che Ficicchia ha contribuito a non far circolare sul raccordo anulare di Roma stendendosi sulla carreggiata, non la pensano in questo modo. Ha spiegato il giudice: “Senza minimizzare la gravità degli episodi decritti nelle denunce, i giudici segnalano che a fronteggiare i comportamenti di Ficicchia sono sufficienti i fogli di via a lui consegnati dopo ciascuna delle sue imprese”. Peccato che Ficicchia dei “fogli di via” se ne sia sempre infischiato, continuando nel suo operato talebano. Il problema è complesso. La giustizia italiana sembra spesso un gatto che si morde la coda. Di fronte alle valutazioni della quale i cittadini si sentono impotenti, inermi e sovente beffati. Se parcheggi in divieto di sosta ti multano per decine di euro. Ai Ficicchia consegnano un “foglio di via”. Che lui ignora.

Immagino che tutti avrete letto della professoressa di Rovigo che bersagliata da proiettili di gomma in classe esplosi da un fucile ad aria compressa, sbeffeggiata da una intera scolaresca (che alla fine ha postato la bravata sul web), ricoverata per lesioni in ospedale, ha deciso di querelare i suoi alunni. Ha spiegato Luciana Littizzetto, che prima di vivere in simbiosi con Fabio Fazio aveva insegnato come docente: “La colpa non è degli studenti. La colpa è dell'insegnate che evidentemente non è riuscita a stabilire con loro un rapporto empatico”. Tesi stravagante, ma ovviamente c'è libertà di pensiero. Peccato che a forza di idee stravaganti la deriva della violenza passi dai pallini sparati da un fuciletto ad aria compressa, alle aggressioni e alle percosse ai medici al pronto soccorso. Alle violenze in strada nelle ore della movida. Agli stupri ormai quotidiani. Ai femminicidi egualmente quotidiani. L'Italia è diventata il paese dell'illegalità. Dove delinquere è più conveniente che comportarsi onestamente. Da delinquente troverai sempre qualcuno “comprensivo” che ha la “missione” di salvarti: l'anima, il culo e la fedina penale. Da cittadino onesto potrebbero spiegarti che sei solo “un presunto innocente”.

Risultano, invece “probabili colpevoli” i dirigenti della Juventus che al Processo Prisma a Torino arrischiano di venire accusati di “falso in bilancio”. Che, ovviamente, è una accusa gravissima, passibile di pene rilevanti. Nel frattempo la Juventus è stata ghigliottinata dalla giustizia sportiva con 15 punti di penalizzazione in classifica. Per aver fatto “un sistema” (quello delle plusvalenze) nel segno della slealtà sportiva. Nel 2006 c'era “il sentire popolare”. Nel 2023 “il sentimento manettaro”. La Juventus (secondo il Procuratore Federale Chinè e i Giudici della Corte d'Appello Federale) avrebbe operato in modo da “drogare” il mercato, aggiustando il bilancio. Cosa da non escludere, considerato che la Juventus al pari di altre società ha dovuto fronteggiare un cosetta chiamata Covid, di fronte alla quale il Governo allora in carica risultava dubbioso ed incerto sulla possibilità di far continuare il campionato.

Lo stallo andò avanti per mesi. E quando il via libera fu dato le partite si giocarono a porte chiuse in un clima surreale. Ma va anche detto che la Juventus è una società quotata in Borsa, oggetto di valutazione costante da parte della Consob. Le società con le quali ha fatto le plusvalenze non lo sono. Ergo quelle società non sono state né multate, né sanzionate. Bizzarro, ma è così. In Europa solo l'Italia è stata presa da orticaria per le plusvalenze. Il primo processo era stato archiviato. Poi riaperto sulla base delle 15.000 pagine prodotte dalla Procura di Torino. Che ancora non è andata in udienza. Ma la giustizia sportiva, come è noto, è assai più celere di quella ordinaria. E soprattutto la giustizia sportiva ha 10 decimi di vista con gli “inimici”, quanto risulta sovente “miope” con gli amici. Chinè per i “tamponi” della Lazio, schiacciò un pisolino.

In ogni caso per la Juve (processo ordinario a parte) potrebbe andare anche peggio, visto che pende a suo carico un altro procedimento: quello relativo agli stipendi pagati ai giocatori e ridotti (ufficialmente) di alcune mensilità. Di fatto, ipotizza l'accusa, scaricando solo la differenza su un successivo esercizio. Cosa che potrebbe portare ad altri punti di penalizzazione. E' probabile che la Juventus gestione Andrea Agnelli, negli ultimi tre anni, abbia commesso qualche pasticcio. I suoi avvocati lo negano e ora la squadra torinese potrà appellarsi al Collegio di Garanzia del CONI. Che non entrerà nel merito delle sanzioni. Ma potrebbe constatare tali vizi di forma da indurlo ad annullare il procedimento, rigettandolo.

Step successivo: la Juventus potrebbe rivolgersi al TAR. Con la conseguenza (probabile) in caso di valutazione per lei positiva, di bloccare il campionato. Quello che minacciò di fare molti anni fa Gaucci, dopo la retrocessione del Catania. Minaccia che indusse l'allora presidente Carraro (con aggiustamento tipico della FIGC …) ad ampliare il campionato di serie A, portandolo da 18 alle attuali 20 squadre. Difficile che la Juventus si rivolga al TAR. Non lo fece nel 2006 e io reputo non lo farà neppure stavolta. Che la Juventus sia un dito nell'occhio per l'UEFA di Ceferin (dopo l'abortita sortita sulla Superlega) e per la Federazione di Gravina, è evidente. Da presidente del CONI, “sughero” Petrucci ebbe a dire che “una società che vince sempre rappresenta un male per il movimento”. E la Juventus con 19 titoli (e 9 scudetti di fila) in dieci anni, decisamente ha esagerato. Non importa se lo ha fatto come rivalsa per una retrocessione mai digerita. Per due scudetti inopinatamente cancellati. Per uno scudetto assegnato a chi non aveva vinto sul campo.

Nove scudetti di fila sono una enormità: la certificazione del fallimento delle avversarie. “Barando” sostengono i suoi avversari. Forse, relativamente ai bilanci. Ma non barando sul campo. Quello fa parte della “letteratura” relativa alla “Juve che ruba”. Le colpe di Andrea Agnelli si riveleranno forse superiori ai suoi tanti meriti: campioni eccezionali come Ronaldo, Higuain, Tevez, Pirlo, Kedira, Pogba, oggi Di Maria. Uno stadio di proprietà, un J-Medical, un Museo, un centro sportivo multifunzionale, una seconda squadra (unica società a schierarla in Italia), una squadra femminile, ormai nel novero dell'élite europea, un vivaio fiorente che comincia a dare i suoi frutti. Ma la sensazione che la “politica” abbia riesumato quel triste adagio “colpirne uno per educarne cento” è forte. Il Palazzo del calcio ha la coda di paglia, visto che “non poteva non sapere”. Ma non ha vigilato. Del resto lo ha sempre fatto. Chi ha i capelli grigi rammenterà le grandi società che impunemente presentavano fidejussioni false.

Gira voce che una Juventus all'inferno, che ha perso pesantemente in Borsa, potrebbe essere svenduta a qualche titolare di “oleoso” fido in banca, Non saprei. Ma non mi stupirei. Il calcio italiano ormai è stato colonizzato da investitori di ogni paese. Quello che so è che prima di Juventus-Atalanta, il pubblico ha istericamente fischiato sia il cartellone della Serie A, sia il suo inno. Quello che so è che le disdette agli abbonamento Dazn e Sky stanno fioccando. Quello che so (e non mi piace, anzi dissento in modo totale) è che sia Chinè, che Gravina (al pari di sua moglie), sono stati insultati e minacciati sul web. Quello che so è che forse i tifosi, infuriati, stanno sommergendo di mail la Federazione e la Lega.

Da ieri sera alle 23 il servizio mail di Libero e quello di Virgilio (i più usati dagli italiani) sono bloccati. Mentre sto concludendo queste note (lunedì 23 gennaio, ore 18,30) il servizio è ancora bloccato. Io stesso ho dovuto costruire un altro account per poter lavorare. E le mail che dalle 23 di domenica mi sono presumibilmente arrivate risultano bloccate. Ora, sarà anche un guasto al sistema al quale Libero non riesce, al momento, ad ovviare. Ma i tifosi della Juventus sono 12 milioni. E se anche una parte di un tale esercito mai si fosse mossa, l'intasamento del sistema risulterebbe inevitabile.

Chiusura nel segno di Giulio Andreotti, convinto che “a pensar male si facesse peccato, ma che quasi sempre ci si azzeccasse”. Gabriele Gravina potrebbe aver staccato una “cambiale” a Ceferin che ora il Presidente dell’UEFA ha preteso di incassare? Se la Juve non ha sforato il fair play finanziario, Ceferin non può escluderla dalle Coppe. Ma se la Juve manterrà la sua penalizzazione per “slealtà” sportiva, Ceferin potrà escluderla da qualsiasi coppa europea. Anche nel caso la Juventus dovesse recuperare su quel settimo posto che le consentirebbe di partecipare alla Coppetta del Nonno.

 

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