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Giornale di attualita' storia e documentazione sullo Sport Olimpico in Italia

  Direttore: Gianfranco Colasante   

Gianfranco Colasante
BRUNO ZAULI
“Il più colto uomo di sport”




Gianfranco Colasante
MITI E STORIE DEL GIORNALISMO SPORTIVO
La stampa sportiva italiana
dall’ Ottocento al Fascismo
(le oltre 400 testate dimenticate)





I sentieri di Cimbricus / Nobili incroci tra sport e storia

Martedì 17 Gennaio 2023

 

churcill-polo 


Tra i tanti personaggi che hanno attraversato la storia lasciando nel bene e nel male segni profondi del proprio passaggio, non pochi avevano preso molto sul serio dei giochi sportivi così apparentati allo sport dei giorni nostri.

Giorgio Cimbrico 

La scomparsa di Costantino di Grecia, sovrano, esiliato dopo il golpe dei colonnelli, campione olimpico nel 1960 sul mare di Napoli, fa scattare la molla del meccanismo di un tema: molti di quelli che hanno fatto e attraversato la storia, hanno fatto anche lo sport. Fatto nel senso di praticato, Spesso fuori dai nostri schemi. Prima di ingrassare come una bestia (vedi ritratto di Hans Holbein), Enrico VIII) era un eccellente giocatore di tennis.

Il campo piastrellato esiste ancora, è nel palazzo reale, in stile Tudor, di Hampton Court) ed è possibile affittarlo e giocare dove Enrico, tra un matrimonio e l’altro, si esibiva con la racchetta. Il tennis ha largo e illustre spazio: Michelangelo Merisi, più noto come Caravaggio, ammazzò a coltellate un avversario ma non è chiaro se sia stato per divergenze su qualche punto. Era uomo e artista di violenti chiaroscuri e bastava poco per farlo incazzare. Quasi due secoli dopo, la rivoluzione che stava per deflagrare ebbe il suo primo atto, a Versailles, nella Sala della Pallacorda, dove i delegati del Terzo Stato si riunirono. Esiste sull’argomento un bellissimo disegno di Jean Louis David. 


Qualche anno prima un giovane piantatore – e padrone di schiavi – della Virginia si dilettava nel salto in lungo e c’è che sostiene fosse capace di andare oltre i 6 metri: era George Washington, generale, primo presidente e uno dei padri della patria. Anno più anno meno, a Vienna un giovane bassino e non atletico praticava con un certo profitto il gioco del biliardo: era Wolfgang Amadeus Mozart. 

La fine del Settecento e gli esordi del XIX secolo misero in mostra le capacità equestri di Napoleone Bonaparte, capace di galoppare da Boulogne alla Boemia e successivamente da Madrid a Parigi in cinque giorni. Aveva testa fina e chiappe dure l’Imperatore che solo più tardi quando le emorroidi non gli diedero scampo si servì della carrozza. Nello stesso periodo diede prova di sé nel campo della vela Horatio Nelson, ma la vera impresa, datata 1789, è quella di William Bligh che, abbandonato su una scialuppa dagli ammutinati del Bounty nei pressi delle Fiji con i pochi rimastigli fedeli, riuscì a portarli in salvo a Timor dopo una “regata in solitario” di 4000 miglia. 

Non è noto qualche sport praticasse Arthur Wellesley, meglio conosciuto come Duca di Wellington ma qualche disciplina deve averla frequentata dal momento che ha coniato la celebre frase: “La vittoria di Waterloo è nata sui campi di scuola”, dove stava rinascendo l’atletica e si giocavano gli antenati del calcio e del rugby.  

Giuseppe Garibaldi si rivelò come nuotatore quando ragazzo, a Nizza, contribuì a salvare marinai in difficoltà e più tardi, cavalcando, sparando e duellando nelle guerre sudamericane, finì per diventare uno dei fondatori del pentathlon moderno. 

Winston Churchill merita una lunga digressione. Racconta che una delle priorità, sin da quando le cime erano state mollate a Southampton e lungo la navigazione, fu quella di fondare un club, dotarlo di una cassa, discutere sulla scuderia da interpellare appena fossero approdati a Bombay: pare che la Bycullah, che aveva cavalli arabi e del Balucistan, fosse la migliore. Gli uomini del 4° Ussari stavano per conoscere l’eccitante esperienza indiana, sognavano gloria sulla frontiera Nordovest contro afghani e pathan dai denti abbaglianti e dalla mira pericolosa e non vedevano l’ora di affidare ai syce, ai mozzi di stalla, i loro nuovi pony. Il torneo interreggimentale di polo li attendeva. 

A questo punto – è il 1896 – non resta che lasciare la parola al nostro testimone e protagonista, il 22enne sottotenente Winston Spencer Churchill: “Per giocare a polo dovete avere dei pony da polo. L’esperienza diceva che un reggimento trapiantato dall’Inghilterra in India per due anni non avrebbe contato nulla nelle competizioni. Due anni erano il tempo normalmente necessario per mettere insieme una vera scuderia”. Ma la fortuna è dalla loro parte: rilevano subito 25 eccellenti pony dal Poona Light Horse Regiment “e ci mettemmo all’opera”. L’obiettivo era il torneo che assegnava la Coppa Golconda, al via a Hyderabad un mese e mezzo dopo lo sbarco dei giovani ussari che avevano ovviamente dismesso la giubba con alamari per una tenuta tropicale, vitale nell’attraversamento del Deccan battuto da un sole impietoso. 

All’arrivo ad Hyderabad l’accoglienza fu all’insegna di un generale rammarico: al primo turno i novellini dell’India dovevano misurarsi proprio con la squadra di Golconda, formata dalla guardia del corpo del nizam e ritenuta la più forte del Raj. Sotto 3-0, il 4° finì per spuntala 9-3 e, secondo il racconto di Winston, “nei giorni successivi ci riuscì facile mangiarci gli avversari uno dopo l’altro stabilendo il record mai più superato di una squadra che vince un torneo di prima categoria a neanche cinquanta giorni dal suo arrivo in India”. 

Dopo esser andato a fare a fucilate con le tribù afridi del Malakand e aver scritto il suo primo libro (che riscosse un eccellente successo in patria e gli procurò una discreta somma), Winston incontrò la sconfitta a Meerut, a nord, in un torneo dall’esito sorprendente: la vittoria toccò al Durban Light Infantry, un reggimento di fanteria. “Di fronte a loro dovettero cedere tutte le squadre inglesi più forti e così successe delle indiane: tutte le ricchezze di Golconda e del Rajputana, l’ambizione dei maraja e la bravura dei loro splendidi campioni si lasciarono portar via la Coppa della Cavalleria da ufficiali di un’arma appiedata. I loro trionfi li dovettero alla capacità di un uomo, il capitano De Lisle, che in seguito si doveva distinguere nella spedizione di Gallipoli (infausta operazione che costò all’ispiratore Churchill la carica di Primo Lord dell’Ammiragliato) e come comandante di reggimento sul fronte europeo”. 

Winston abbandona il polo per andare a praticare l’equitazione e, buon per lui, il tiro con la pistola in Sudan partecipando nel 1898 alla carica del 21° Lancieri e rischiando di lasciar la pelle nei pressi di Omdurman contro gli ultimi resti dell’armata mahdista. Da lì torna in India e riesce a metter finalmente le mani sulla Coppa di Meerut, “esausti sui nostri pony esausti. Ma non vorrei che il lettore se la prendesse con quei giovani ufficiali che prendevano così sul serio un gioco sportivo. Pochissimi di loro erano destinati a raggiungere la vecchiaia e la nostra squadra non avrebbe più visto una partita. L’anno dopo Savory fu ucciso nel Transvaal, Barnes fu ferito gravemente nel Natal e io diventai un politicante sedentario sempre più handicappato dalla mia sventurata spalla” 

Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, era nato un anno prima di Churchill e il 29 gennaio cadrà il 150° della nascita: noto come esploratore e utopico fondatore della colonia in terra somala che porta il suo nome e dove è sepolto, ha lasciato trace importanti nell’alpinismo prima con la conquista delle più ardue vette alpine, poi con l’ascesa al Ruvenzori e con una delle prime spedizioni verso il tetto del mondo, il Karakorum. 

Dell’altro Duca, Amedeo d’Aosta, comandante del presidio dell’Amba Alagi (e, come Luigi, presidente dello Yacht Club Italiano di Genova), rimangono belle immagini mentre solcava a vela il golfo di Trieste. Abitava a Miramar, residenza fatale a Massimiliano d’Asburgo. Bel posto ma fama sinistra.    

Mao amava nuotare e le sue traversate dello Yang Tze venivano fotografate e diffuse da “Nuova Cina”. Qualcuno sosteneva fossero fotomontaggi, e anche piuttosto rozzi. Sulle sue imprese il Grande Timoniere scrisse una poesia: “Nuotando”. 

Gli americani definirebbero Benito Mussolini un all around: esistono filmati in cui il Duce nuota, scia, scende con lo slittino, scavalca ostacoli in groppa a un destriero, alza lob sul campo da tennis di villa Torlonia. 

George Patton, il generale d’acciaio, partecipò al pentathlon dei Giochi di Stoccolma del 1912e finì quinto, alle spalle di quatto svedesi. Aveva la medaglia d’oro a disposizione ma – proprio lui che portava alla cintura un paio di Colt – fallì il tiro con la pistola – 21° su 39 – e non mancò, collerico com’era anche in gioventù, di accendere polemiche: “Il mio proiettile è passato in un bersaglio già bucato”. 

Il ring fu la prima arena di Nelson Mandela, promettente pugile prima di abbracciare la carriera forense e di finire a lungo in galera. La nobile arte codificata dal marchese di Queensberry ha visto tra i suo adepti anche Amin Dada quando prestava servizio negli East African Rifles: Dopo la fuga il folle e sanguinario dittatore dell’Uganda venne accolto dall’Arabia. 

La solitudine del maratoneta si adattò perfettamente a Alam Turing, espugnatore del codice Enigma e padre del computer: partecipò nel 1948 al campionato inglese sulle 26 miglia e finì con un onorevole piazzamento, quarto in 2h46. Dopo, sarebbe venuta l’accusa di omosessualità, al tempo in Gran Bretagna un reato, e il suicidio, con una mela avvelenata. Quella che oggi, sbocconcellata, appare su molti pc.  

 

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