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I sentieri di Cimbricus / Il mondo bello e dannato di Andrew

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Sabato 7 Gennaio 2023

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Due mesi fa Andrew Howe era tornato a Los Angeles, la città dov’è nato: ha raccolto sua madre René, colpita da un ictus, e l’ha riportata a Rieti. Ed ora ha deciso di chiudere: il ragazzo dei prodigi, un magnifico e umanissimo incompiuto.

Giorgio Cimbrico

Andrew, il ragazzo dei prodigi, è entrato nei 38 anni e ha deciso di chiudere con l’atletica, nell’ultimo quarto di secolo il suo mondo bello e dannato. Andrew, il primo nero d’Italia, il sabino della California, l’uomo che non è riuscito a essere re. Qualcuno ricorda con rabbia: non è il caso di Andrew. Per lui, solo un valzer di rimpianti: avrebbe potuto vincere due Olimpiadi, avrebbe potuto saltare 8.70, avrebbe … 

Le onde del destino gli hanno riservato gioie adolescenziali, trionfi giovanili, infortuni a catena, una lunga serie di operazioni ai tendini, tentativi di resurrezione, cambi di direzione, ritorni al vecchio amore, il lungo, sogni eccessivi di poter andare ancora una volta ai Giochi, gli ultimi. 

Non ha mai cancellato dal volto l’allegria di chi continua ad aver fiducia in quello che gli può riservare il futuro, senza farsi abbattere dai ricordi ingrati, dalla vita dura che ha attraversato, da un’infanzia di rinunce. 

L’atletica era stata un’illuminazione e così Andrew aveva la luce del sorriso, dell’ottimismo e concedeva i raggi del talento donato dai grovigli del DNA. A quindici anni, quando, chissà perché, lo chiamavano Howe-Besozzi (il cognome del secondo marito di René), aveva iniziato a collezionare record ragazzi, allievi, juniores. Era un piccolo Mida: tutto quello che toccava si ricopriva di una patina d’oro. 

Nel 2004, a Grosseto, diventò campione mondiale juniores nel lungo, in fondo a una gara segnata da un salto che non venne misurato e che scatenò una delle sue poche ire. Due giorni dopo, improvvisò i 200 e corse in 20”28 e voyeur di lungo corso che amano recitare da scettici blu rimasero sbigottiti. Era il secondo tempo di un azzurro dopo il 19”72 di Pietro Mennea. Un paio di settimane dopo, ai Giochi di Atene, ricevette la visita di illustri americani: era l’Atteso. 

Tra il 2006 e il 2007 la sorte fu clemente con lui: a cavallo delle due stagioni, titolo europeo a Göteborg, titolo europeo indoor a Birmingham. Per gli amanti dei numeri quell’8.30 aveva un significato che poteva stordire: al coperto, la stessa misura di Bob Beamon. 

Il Mondiale nella calda e umida Osaka era la grande occasione e Andrew la sfruttò. Sino in fondo, quasi. Atterrò a 8.47, salì in testa all’ultimo turno, diede fiato alla sua gioia portandola a battere sentieri selvaggi. Come avrebbe reagito il panamense Irving Saladino messo con le spalle al muro? Andrew era campione del mondo da dieci minuti quando Saladino saltò con una sicurezza glaciale, dando persino un’occhiata all’asse di battuta, per prender sabbia a 8.57. Il momento più alto è una sconfitta, il simbolo di tutto quello che poteva essere e non è stato.  

Dice che la decisione gli servirà per conoscersi meglio, più a fondo, che vuol rimanere nell’ambiente, che potrebbe lavorare da personal trainer, che, memore delle sue apparizioni a “Ballando sotto le Stelle”, non gli dispiacerebbe trovar posto e occasioni nel mondo dello spettacolo. E’ stato un magnifico, simpatico, umanissimo incompiuto.  

 

 

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